domenica 10 marzo 2024

La Francia abolisce il diritto alla vita

E' triste notizia della cronaca di questi giorni l'avvenuta approvazione da parte del Parlamento francese dell'inserimento nella propria Costituzione del "diritto" all'interruzione di gravidanza. La Francia è il primo Paese europeo che decide di rendere l'aborto un diritto fondamentale, come se appartenesse a quelli garantiti dalla Dichiarazione Universali dei Diritti Umani. La stortura è evidente: l'interruzione volontaria di gravidanza è la deliberata soppressione di una vita umana e ciò è totalmente contrario all'art. 3 della D.U.D.U.: "Ogni individuo ha diritto alla vita". La Francia, quindi, considerando un diritto ciò che è invece un delitto, si pone automaticamente fuori dal consesso delle Nazioni civili.

Questo sfortunato Paese è arrivato purtroppo al culmine di un processo di imbarbarimento tale da considerare la palese violazione di un diritto fondamentale dell'essere umano un diritto fondamentale esso stesso. Viene così distrutto il concetto dell'indisponibilità della vita umana che, quindi, diviene soggetto al relativismo morale. Con questa decisione la Francia ha scelto di non garantire più il diritto alla vita.

Nasce così una nuova "religione di Stato", il "laicismo", che per far valere i suoi criminosi dettami ha bisogno di assolutizzarli in modo da poterli imporre a tutti. Infatti alla cricca laicista francese non era più sufficiente che il ricorso all'aborto fosse già garantito da una legge ordinaria, la legge Veil del 1975, ma occorreva una censura definitiva perché un conto è modificare una legge dello Stato, altra cosa è la modifica di una Costituzione. Ciò significa che coloro che sono legittimamente contrari all'abominio dell'aborto e che, quindi, volessero proporre leggi a tutela del nascituro o dell'obiezione di coscienza, non possono più farlo perchè fatalmente anticostituzionali. E' questo il modo di agire del laicismo, la negazione della libertà di pensiero e di coscienza per l'imposizione del pensiero unico.

In genere le leggi che permettono l'interruzione volontaria della gravidanza, come la legge 194 in Italia, considerano tale tragica evenienza, almeno teoricamente, come una estrema misura da applicarsi solo dopo che si sia esperita tutta una serie di verifiche ed accorgimenti volti a tutelare, finchè possibile, la vita della madre e quella del nascituro. Con l'inserimento dell'aborto in Costituzione cade anche ques'ultima barriera, il nascituro è proprietà della madre che, in nome di una distorta concezione dell'autodeterminazione, può disporre come vuole della vita umana del figlio. Come al solito è sempre il soggetto più debole che soccombe, la legge della jungla. Tragicamente questa situazione si traduce anche nella totale inutilità di ogni forma di prevenzione dell'aborto, perché essendo divenuto un diritto costituzionale nessuno lo può più limitare o disciplinare in alcun modo.

Ma oltre a queste considerazioni, l'inserimento in Costituzione esclude definitivamente la possibilità che possa venir riconosciuto un qualche ruolo dell'uomo nella responsabilità del concepimento. Concetto giuridicamente aberrante che introduce una discriminazione sessuale in una Carta Costituzionale dove l'uomo non ha alcuna voce in capitolo su suo figlio e, con la scusa di una falsa definizione del diritto all'autodeterminazione, la donna finisce per essere abbandonata alla solitudine dell’aborto e alle sue devastanti conseguenze psicofisiche. E' proprio questo aspetto ad essere quello più paradossale: alla donna viene fatto credere di essere "libera" e la si manda incontro ad una tragedia, mentre l'uomo è esautorato da ogni responsabilità e,come al solito, la passa liscia.

Invece la vita umana viene concepita dalla donna e dall'uomo, e quella vita non è di loro proprieta, ma un dono che deve essere accolto e se proprio ciò non è possibile o voluto, allora di comune accordo si può decidere di affidare quella vita in adozione. Ma il tutto è responsabilità della donna e dell'uomo, nessuna delle due figure può o deve sottrarsi.

Ma la Francia non può essere completamente succube di una mentalità che premia la morte contro la vita, quindi resto unito ai tantissimi francesi che non si sono fatti irretire dal laicismo e spero sulla loro testimonianza culturale, politica e sociale in difesa della dignità umana della donna, dell'uomo e del concepito.

mercoledì 7 febbraio 2024

Biglino e l'astronave di Ezechiele

Come è noto lo "studioso" piemontese Mauro Biglino è uno dei più conosciuti esponenti italiani contemporanei della teoria pseudeoscientifica del "paleocontatto", quella bizzarra convinzione, non suffragata da alcuna prova scientifica, che la Terra sia stata visitata in passato da civiltà aliene e che queste avrebbero dato vita all'esistenza dell'umanità. Biglino è convinto che riferimenti precisi di tali fatti siano riportati su testi antichi, primo fra questi la Bibbia.

Ho analizzato molte delle argomentazioni di Biglino riguardanti la supposta presenza di alieni nella Bibbia, dimostrandone la completa inconsistenza, ma non ho ancora affrontato quella che è certamente considerata la "prova" principale, ossia la visione del profeta Ezechiele che troviamo nel primo capitolo dell'omonimo libro. Mi riferisco alla nota visione del "carro di Yhaveh", un mezzo dotato di ruote che discende dal cielo tra grande fragore. Per Biglino nessun dubbio, Ezechiele descrive una vera e propria astronave, con tanto di ali e ruote, in un frastuono di motori e turbìne. Nelle sue conferenze Biglino propone spesso la lettura di questa visione perché fa sempre effetto sul suo auditorio, composto di persone per lo più a digiuno di esegesi biblica, che rimane molto impressionato. Stessa impressione che ultimamente ha mostrato il noto personaggio mediatico Fedez nel suo podcast on line "Muschio selvaggio".
 
Nonostante la meraviglia suscitata, in realtà Biglino non dice niente di nuovo, non fa altro che riportare una vecchia teoria dei primi esponeneti della "paleoastronautica", come l'italiano Peter Kolosimo, lo statunitense Zacharia Sitchin o lo svizzero Von Daniken. In particolare quest'ultimo, nel suo libro "Carri degli dei?", scrive: “Qui il profeta dichiara di aver assistito ad una visita da parte di esseri celesti scesi dal cielo a bordo di una fantastica macchina volante E’ incredibile, Ezechiele, non solo descrive ciò che vede, ma anche ciò che sente”. Per Von Daniken il profeta descrive delle creature che viaggiavano su dispositivi lucenti con ruote, con un velivolo simile ad un trono che emetteva un rombo simile ad una cascata. Secondo lui, e naturalmente anche per Biglino, ciò dimostrerebbe che navi aliene sarebbero veramente esistite. Ma la cosa non si limita a questo, oltre a Von Daniken addirittura un ingeniere della NASA, un certo Josef F. Blumrich, si lascia convincere che il profeta Ezechiele avesse visto davvero delle astronavi aliene e in un suo libro tenta addirittura di ricostruire una nave spaziale seguendo le istruzioni molto dettagliate di Ezechiele (Josef F. Blumrich: "Le astronavi di Ezechiele" , Corgi Books, 1974).

Ma è davvero così? Ezechiele vide veramente delle astronavi aliene? Ovviamente no, si tratta di una semplice suggestione dovuta ad una ignoranza di fondo circa le regole dell'esegesi di un testo antico. Per renderci bene conto leggiamo un estratto del primo capitolo del libro di Ezechiele:

"Il cinque del quarto mese dell'anno trentesimo, mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine [...] Qui fu sopra di lui la mano del Signore. Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. Le loro gambe erano diritte e gli zoccoli dei loro piedi erano come gli zoccoli dei piedi d'un vitello, splendenti come lucido bronzo. Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d'uomo; tutti e quattro avevano le medesime sembianze e le proprie ali, e queste ali erano unite l'una all'altra. Mentre avanzavano, non si volgevano indietro, ma ciascuno andava diritto avanti a sé".

La regola principale per poter capire il significato di un testo antico è innanazitutto tener conto del contesto. Ezechiele era uno dei sacerdoti del regno di Giuda al tempo del re Ioiachim nel VI secolo a.C. Nel 597 fu deportato a Babilonia e la sua attività profetica ebbe lo scopo di rincuorare i suoi fratelli nella prigionia. La missione a cui fu chiamato fu quella di riferire al popolo di Israele in esilio delle terribili calamità che si abbatteranno sulla Giudea, in particolare sui falsi profeti e sulle nazioni vicine fino a che, sotto il regno del Messia, Israele e Giuda saranno restaurate. Il libro di Ezechiele, quindi, propone la figura di Ezechiele come quella del sacerdote che diviene un profeta attraverso il quale Dio promette il Messia e la restaurazione di Israele. Tutto ciò si realizza attraverso un rapporto privato tra Dio ed Ezechiele che avviene per mezzo di visioni, infatti è solo Ezechiele che "vede" la magnificenza della presenza di Dio. Quindi non abbiamo una comparsa casuale della visione, come potrebbe essere quella di un testimone qualsiasi che all'improvviso si trova di fronte ad uno spettacolo eccezionale, ma la visione è una caratteristica letteraria propria del manifestarsi del divino che deve comunicare col profeta per trasmettergli un messaggio fondamentale. Von Daniken, e tutti i suoi epigoni, non tengono affatto conto di tale aspetto, si limitano al mero dato letterario, ma invece è proprio questa mancanza a rendere insostenibile la loro interpretazione.

Per Von Daniken e, quindi, anche per Biglino, nubi e turbini di fuoco diventano oggetti volanti, gambe e zoccoli diventano carrelli di atterraggio e le ali diventano complicati sistemi di atterraggio ad elica, ma si tratta di interpretazioni che risentono fortemente della petizione di principio secondo la quale ciò che vide Ezechiele deve per forza essere un'astronave aliena e che viene indicata con i termini del tempo, non sapendo spiegare altrimenti una tecnologia sconosciuta con la giusta terminologia scientifica. Ma a far cadere questa rappresentazione è il fatto che Von Daniken ha semplicemente interpretato in modo molto forzato una visione che utilizzava elementi dell’epoca che nulla hanno a che fare con un’astronave aliena o sistemi di propulsione futuristiche, le immagini utilizzate appartengono chiaramente ad un linguaggio costituito da figure di animali, ruote, gemme preziose, ecc. tipiche della iconografia mesopotamica. Ezechiele, ad esempio, parla solo di trono, ma senza alcuna forma, né di disco, né di altro. C'è da considerare, inoltre, che questo profeta dimostra una grande proprietà di linguaggio con un vocabolario piuttosto ampio, come si può vedere dalle complicate descrizioni che ricorrono in tutto il suo testo. La lingua ebraica possiede tranquillamente parole come "cerchio" o "disco" (מַעְגָּל, magal), "finestra" (חַלּוֹן, sfida) o "essere verde con grandi occhi” (להיות ירוק עם עיניים גדולות), quindi una descrizione senza tanti "paragoni" era perfettamente possibile, ma, semplicemente, Ezechiele non stava descrivendo un'astronave aliena.

In ambito accademico la "paleoastronautica" non ha alcun riconoscimento e nello studio dell'esegesi biblica e della lingua ebraica antica ancora di meno, però uno studioso accademico che si è preso la briga di smentire le fantasiose sciocchezze degli "ufologi biblici" è stato il Dott. Michael Heiser noto studioso di lingue semitiche ed ebraica. Egli ha articolato la sua critica in due punti:

1) "Il libro di Blumrich, come altri scritti dai teorici degli antichi astronauti, presenta la solita debolezza cioè la tendenza ad ignorare il vocabolario di Ezechiele. Per esempio, il trono sul quale siede Yahweh, non è mai descritto come una lastra rotonda o d’argento, non si parla mai di sagome a forma di disco, si tratta di un particolare che deve essere aggiunto artificiosamente nel testo ed è quello che fanno questi autori oppure modernizzano le descrizioni che sono presenti";

2) "tutti gli elementi della visione di Ezechiele riferiti a esseri o oggetti possano essere contabilizzati nell'iconografia del mondo antico del Vicino Oriente. Ezechiele stava prendendo in prestito immagini divine familiari ai Babilonesi (e che gli ebrei in esilio avrebbero senza dubbio visto) per "informare" il suo pubblico che il Dio di Israele era il vero Dio ed era ancora attivo (cioè, LUI, YHWH, era ancora sul trono sui cherubini , non qualche dio babilonese, nonostante le circostanze di Israele). Usare immagini e letterature dell'antico Vicino Oriente per scopi teologicamente polemici era una pratica comune per gli scrittori biblici (cfr. l'epopea di Baal e il confronto tra Elia e i profeti di Baal)".
(https://www.sitchiniswrong.com/ezekielnotes.htm).

A tal riguardo la coincidenza delle immagini presenti nella visione di Ezechiele con l'iconografia tipica mesopotamica può essere approfondita nel libro del grande storico delle religioni, Othmar Keel, "Visions of Yahweh and Seal Art: Una nuova interpretazione delle maestose rappresentazioni in Isaia 6, Ezechiele 1 e 10 e Zaccaria 4", Verlag Katholisches Bibelwerk, Stoccarda, 1984-85.

Ma a togliere definitivamente ogni dubbio è il fatto che il libro di Ezechiele dice chiaramente che il profeta ha avuto delle visioni, cioè delle sensazioni mistiche, un'esperienza soprannaturale, niente di reale, sensibile. In Ez 1,3 si legge che “la mano del Signore fu sopra di lui”. La Bibbia di Gerusalemme, che Biglino usa spesso a sproposito per confermare le sue tesi, a proposito della mano del Signore che era sopra Ezechiele commenta: “Espressione frequente in Ezechiele per indicare l’estasi". Infatti questa forma di espressione la troviamo proprio all'inizio di ogni visione di Ezechiele (Ez 3,22; 8,1; 33,22; 40,1). Ovviamente Biglino sa bene tutto questo, quindi si affretta a precisare, come fa anche nel podcast di Fedez, che il termine ebraico usato per "visione" ha il significato di "vedere" in modo materiale. Ma in realtà non è così, il termine che ritroviamo per "visioni" nel libro di Ezechiele è "מַרְאָה"(mar'ah) che non è lo stesso usato per "vedere" cioè "רָאָה" (raah). Questo termine indica, come leggiamo nel prestigioso vocabolario di ebraico biblico on line Brown-Driver-Briggs, la facoltà visionaria propria dei Profeti: "מַרְאָה noun feminine vision, as means of revelation" 

Nel libro di Ezechiele il profeta utilizza sempre questo termine per descrivere le sue esperienze soprannaturali: "I cieli si aprirono ed ebbi visioni divine" (Ez 1, 1), "Uno spirito mi sollevò fra terra e cielo e in visioni divine mi portò a Gerusalemme" (Ez 8, 3), ecc.
Ma anche senza conoscere l'ebraico da una semplice lettura si capisce bene la natura delle visioni di Ezechiele, infatti possiamo leggere: "Così dice il Signore Dio: Guai ai profeti stolti, che seguono il loro spirito senza avere avuto visioni" (Ez 13, 3), "La mia mano sarà sopra i profeti dalle false visioni" (Ez 13, 3), Ma anche in altre parti della Bibbia il termine "mar'ah" indica le visioni profetiche, come ad esempio, nel libro dei Numeri: "Oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell'Altissimo, di chi vede la visione (maḥăzêh) dell'Onnipotente, cade e gli è tolto il velo dagli occhi" (Num 24, 16).

Perché Biglino leggendo alla lettera non dice chiaramente che si tratta di visioni soprannaturali, ma lascia credere che si tratti di realtà? E' palese che si possano dare solo due risposte a questa domanda, o Biglino è talmente ignorante da non saper usare un dizionario, oppure è in totale malafede e mententendo cerca di turlopinare i suoi seguaci al puro scopo di ottenere un guadagno economico. Purtroppo sappiamo che Biglino sa usare molto bene i dizionari di ebraico e questo fatto ci restituisce un quadro non molto edificante dell'imbonitore torinese.


BIBLIOGRAFIA

Josef F. Blumrich: "Le astronavi di Ezechiele" , Corgi Books, 1974;
Othmar Keel, "Visions of Yahweh and Seal Art: Una nuova interpretazione delle maestose rappresentazioni in Isaia 6, Ezechiele 1 e 10 e Zaccaria 4", Verlag Katholisches Bibelwerk, Stoccarda, 1984-85;
https://www.sitchiniswrong.com/ezekielnotes.htm
https://biblehub.com/bdb/4759.htm

domenica 31 dicembre 2023

Buon 2024!!!

E' con non poca difficoltà che sto riprendendo la mia attività di apologetica sul mio blog, gli ultimi tre anni passati, con la pandemia, la scomparsa della mia cara mamma, e altre vicissitudini, mi hanno tenuto lontano. Ma la voglia c'è sempre, c'è tanto da fare e da studiare, la fede cristiana è sempre più attaccata da ogni parte, non si può pensare di restare nella propria "confort zone", occorre rendere testimonianza alla Verità e aiutare tutti coloro che possono cadere nelle trame di chi ci vuole male e distruggere la nostra fede. Questo blog resta e sarà sempre un porto sicuro per tutti coloro alla ricerca della obiettività storica a servizio principalmente dei confusi e di chi sente la propria fede in pericolo. Ovviamente anche i non credenti e i critici in genere sono benvenuti per un confronto.

Auguro a tutti i visitatori del blog un buon 2024, che la Grazia del Signore Nostro Gesù Cristo ci doni ogni bene.   

martedì 26 dicembre 2023

L'idea laicista dell'amore

Siamo in pieno tempo natalizio, il Natale di nostro Signore, ancora una volta ci porta il dolce messaggio della nascita di Cristo, ci dona la speranza di un mondo migliore dove le cose vecchie sono sparite e ci attendono quelle nuove, dove l'immagine della Sacra Famiglia ci insegna il valore fondamentale dell'unione famigliare come luogo dell'Amore che accoglie ed educa la vita.

Purtroppo, come ogni anno, anche stavolta si assiste al penoso spettacolo della cagnara laicista che sbraita di una festa non inclusiva, di una celebrazione scopiazzata dal paganesimo, della "violenza" del presepe ed addirittura del nome stesso, "Natale", visto come un marchio di infamia. Ma quest'anno non è stata tutta questa paccottiglia laicista a catturare la mia attenzione, bensì una intervista, ormai risalente a qualche settimana fa, rilasciata dalla Cortellesi, la famosa attrice italiana che ha ottenuto recentemente un grande successo con il suo ultimo film "C'è ancora domani".

In questa recente intervista la Cortellesi ha dichiarato: "L'amore con una persona può essere una cosa bella, ma non può essere un traguardo, non può essere un punto di arrivo. E' questo che viene raccontato in questa storia: una madre che pensa che il matrimonio possa essere un traguardo, ma un traguardo è una realizzazione personale, bisognerebbe fare una grande festa per una realizzazione personale e non per un matrimonio. Per un matrimonio va bene solo un brindisi..."

Ho trovato questo modo di ragionare esemplificativo della pericolosa deriva del pensiero laicista, ossia la progressiva negazione del valore della donazione e del sacrificio per il beneficio dell'altro. La Cortellesi dice che l'amore per una persona non può essere un traguardo, ma questo può esserlo solo la realizzazione personale. Che idea ha la Cortellesi dell'amore? A giudicare dalle sue parole l'amore vero sarebbe quello che si prova per se stessi, il resto è solo un contorno. Ma l'amore verso se stessi non è altro che egoismo, cioè porsi al centro di tutto, al primo posto, con gli altri che vengono sempre dopo. E così qualsiasi cosa che dà fastidio va rimossa, eliminata, perché è solo la soddisfazione personale che conta. Questo vale per tutto e tutti, per i malati che danno fastidio, per coloro che hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore, per loro diventa un diritto scegliere di morire per togliersi di torno. Tutto ciò vale anche per le vite che nascono, quelle innocenti, che hanno principalmente bisogno del nostro amore. Per liquidarle diviene un diritto la loro uccisione, una immonda deroga dalla sacralità della vita umana innocente. L'abisso dell'abominio a cui conduce la mancanza d'amore.

Il film della Cortellesi cade in questo abisso dove viene attaccata l'istituzione della famiglia come luogo dell'amore. Il donarsi reciprocamente, il soffrire ed il sacrificarsi per i figli, per il e la consorte, coltivare il valore della condivisione, della comprensione, della tenerezza non è un traguardo, una realizzazione, ma una gabbia, una seccatura da cui fuggire.

Ma una vita che non è al servizio dell'altro che senso ha? Qual è il suo scopo? Perché la consideriamo un valore assoluto? Ma, soprattutto, una vita simile, è una vita felice?

domenica 24 dicembre 2023

BUON NATALE 2023

 



A TUTTI I LETTORI DEL BLOG

E A TUTTI I NAVIGATORI DEL WEB

UN CARO AUGURIO DI

BUON NATALE NELLA PACE DEL SIGNORE

giovedì 9 novembre 2023

La "cultura" della morte del laicismo

In questi giorni stiamo assistendo all'ennesimo tragico teatrino laicista volto a distruggere il valore universale della vita per propagandare la sua "cultura" della morte. Sto parlando di Indi Gregory, la bambina inglese di otto mesi, affetta da una malattia genetica ritenuta inguaribile, che i medici, nel suo "best interest", vogliono sopprimere togliendoli il respiratore che la tiene in vita. L'Italia, così come fece, purtroppo vanamente, per il piccolo Alfie Evans, il bambino di Liverpool morto in seguito alla sospensione di supporti vitali il 28 aprile 2018, ha concesso la cittadinanza italiana alla bimba dando la possibilità, così, ai suoi genitori di poter ricoverare in Italia la loro piccola figlia. Ma le istituzioni inglesi sono spietate, la bambina deve morire, infatti nonostante la lotta disperata dei genitori, i giudici inglesi non recedono dal loro intento: niente Italia, la vita di Indi non ha senso, va soppressa.

Di fronte a questa intransigenza mi chiedo: ma perché questa inflessibilità dei giudici inglesi? forse perché la piccola Indi tiene occupato un posto in ospedale ed utilizza macchinari che potrebbero essere più utili a chi ha maggiori possibilità di sopravvivenza? Ma i genitori hanno intenzione di portare Indi in Italia, il problema non si pone. Così anche per il problema finanziario: nessun peso sul sistema sanitario britannico essendo tutte le cure a spese dello Stato Italiano. Ma, allora, perché? Perché il trasporto sarebbe fatale alla piccolina? E che senso ha questa obiezione, se la vogliono uccidere? Allora, forse, perché sarebbe inutile prolungare le sue sofferenze? Quindi, anche contro la volontà del malato o dei suoi congiunti, i giudici inglesi ritengono giusto uccidere chi soffre di malattie senza possibilità di guarigione? Allora perché non eliminare tutti i portatori di handicap che soffrono o le persone affette da patologie croniche? Semplicemente allucinante, orrore puro.

Io ho il sospetto che questa intransigenza sia, in realtà, una posizione ideologica fatta sulla pelle delle persone. L'eutanasia non deve essere messa in discussione, in nessun modo, quindi la piccola Indi deve morire, la sua vita non ha senso e, quindi, non ha valore. E' questo il modo di pensare dei laicisti: la vita umana non è un valore oggettivo, ma soggettivo. E' lo stesso, identico, modo di pensare e di fare del nazismo e di tutti i sistemi laicisti di ogni epoca che hanno ripudiato l'oggettività del valore fondamentale della vita umana che è tale sotto ogni forma e in qualunque circostanza.

Così come è successo per nazioni come il Belgio, che nel 2016 ha permesso per la prima volta la "dolce morte" ad un minorenne, adesso c'è il Regno Unito che arriva addirittura ad ignorare e/o agire contro il consenso dei genitori del minorenne. Un drammatico piano inclinato che ci sta conducendo verso l'abisso. Per questo è importante lottare contro tale aberrazione e non cedere nemmeno di un passo.  

venerdì 30 giugno 2023

I miti sulle Crociate: i crociati si macchiarono di crimini efferati come la conquista di Gerusalemme.


La guerra è, forse, il più bestiale comportamento umano, lo scatenamento delle violenze più atroci e delle crudeltà più efferate. Ogni guerra, dalla più antica a quella più moderna, è solo uno spaventoso dramma, una tragedia per l’umanità. Ma per la vulgata laicista ci sono guerre molto più drammatiche ed efferate di altre e tra queste ci sono sicuramente le Crociate. Tra le accuse che vengono solitamente rivolte alla Chiesa ed ai cristiani cattolici non manca mai lo stracciarsi delle vesti per il comportamento eccessivamente violento e criminale tenuto dalle armate crociate nelle loro guerre di conquista. Secondo la polemica laicista le cosiddette “armate di Cristo” si abbandonarono a massacri di popolazioni, trucidando ebrei e arabi e seviziando chiunque si trovasse sul loro cammino, lasciando l’illuminata civiltà islamica in rovina. In particolare fa sempre molta impressione l’orrendo massacro della popolazione di Gerusalemme a cui si abbandonarono i crociati quando, nel luglio del 1099, all’epilogo della prima Crociata, la città venne conquistata. A mo’ di esempio, tra i tantissimi, si può citare il New York Times che nel 1999 considerò le crociate un genocidio paragonabile nientemeno alle atrocità hitleriane o alla pulizia etnica del Kosovo (New York Times, 20 giugno 1999, sez. 4, p.15).

Ma è stato davvero così? Veramente le armate crociate si sono comportate con una violenza ed una crudeltà ben maggiore delle armate islamiche e di ogni altro esercito di allora? Ovviamente no, si tratta dell’ennesima esagerazione di chi non conosce la storia, oppure la conosce fin troppo bene, ma la piega ai suoi interessi ideologici. In realtà le spedizioni crociate si comportarono e fecero la guerra come qualsiasi altro esercito del tempo, e come purtroppo accade per qualsiasi esercito in guerra, non sono mancati episodi di crudeltà ed efferatezza. Certamente può far impressione che dei cristiani, seppur soldati in guerra, possano derogare dai loro principi morali ed abbandonarsi a massacri di civili, ma ciò che occorre sempre ricordare è che non fu il Papa, quindi la Chiesa, ad ordinare i massacri e le violenze. Questi furono compiuti da soldati che agirono al di fuori e contro le intenzioni della Crociata. Alle crociate non parteciparono solamente truppe regolari sotto il controllo dei loro signori e del legato pontificio, ma turbe di pellegrini che al di fuori di ogni controllo, incitati da monaci indisciplinati e da ogni sorta di predicatori improvvisati, che compirono razzie e massacri di cui furono vittime specialmente le comunità ebraiche. Ma dovunque i vescovi cattolici e i governanti fedeli all’imperatore si opposero ai massacri, difendendo principalmente gli ebrei. Come esempio si legga questo mio articolo in proposito.

Mi si dirà che saccheggi e bottino delle città musulmane conquistate non erano perpetrati solo dalle formazioni irregolari, ma che furono compiuti anche da quelle “regolari” con a capo Re, Baroni e legati pontifici. Questo è vero, ma anche qui occorre valutare il fatto che le Crociate furono spedizioni che avevano uno scarso, se non inesistente, supporto logistico. Finché attraversavano territori amici, i vari stati cristiani fornivano loro i necessari vettovagliamenti, ma una volta in Asia, in territorio nemico, tale approvvigionamento poteva avvenire solo attraverso i saccheggi. Quindi, come per qualsiasi altro esercito in quelle condizioni, anche l’esercito crociato aveva la necessità di fare continuamente bottino per garantirsi almeno la sussistenza. Così scrive lo storico J. Riley Smith riferendosi alla prima spedizione crociata: “Il passaggio dei crociati nei Balcani e in Anatolia fu indubbiamente accompagnato da una serie di saccheggi. Ma d’altra parte, i crociati non avevano un sistema stabile di rifornimenti, quindi la loro sopravvivenza era legata alla capacità di procurarsi dei viveri. Mentre in territorio cristiano dipendevano dalle donazioni dei governanti locali, una volta entrati nella devastata terra di nessuno in cui l’Asia Minore si stava trasformando si ritrovavano lontani da qualsiasi punto di incontro con le spedizioni dall’Europa fino a che non raggiungevano Antiochia, dopo la quale ricevevano comunque approvvigionamenti molto limitati. Tutti i condottieri, grandi o piccoli, sapevano che il seguito si aspettava da loro almeno un livello minimo di sussistenza e già questo potrebbe bastare per spiegare l’ossessione del bottino” (Jonathan Riley Smith, Storia delle Crociate, A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 60).

Come detto all’inizio, nell’immaginario collettivo resta sempre come immagine iconica dell’efferatezza delle Crociate, e come argomento tra i più utilizzati dalla retorica laicista, la conquista di Gerusalemme da parte dei Crociati della prima spedizione del 1099. Ma da dove proviene questa forte impressione? Le fonti storiche, in effetti, ci raccontano di un massacro senza precedenti, ad esempio un anonimo soldato crociato testimone oculare racconta che dopo un penoso assedio per i crociati, durato ben cinque settimane, il 15 luglio 1099 i cristiani entrarono a Gerusalemme: “Uno dei nostri cavalieri, di nome Letoldo, salì sulle mura della città. Quando raggiunse la cima tutti i difensori della città fuggirono rapidamente lungo le mura e per le strade. I nostri uomini allora li inseguirono e li braccarono, uccidendoli e massacrandoli fino al Tempio di Salomone. E là scoppiò una tale carneficina che i nostri erano immersi fino alle caviglie nel sangue del nemico” (Robert George Dalrymple Laffan “Select documents of european history 800-1492” Henry Hold & Company, New York 1929). Un altro storico, Raimondo d’Aguilers, cronachista testimone oculare, tratto da "Historia Francorum qui ceperunt Iherusalem" (Storia dei Franchi che conquistarono Gerusalemme), riferisce che: “Se diciamo il vero, non saremo creduti: basti dire che nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava col sangue all'altezza delle ginocchia e del morso dei cavalli. E fu per giusto giudizio divino che a ricevere il loro sangue fosse proprio quel luogo stesso che tanto a lungo aveva sopportato le loro bestemmie contro Dio. Essendo la città piena di cadaveri e di sangue, molti fuggirono alla torre di Davide chiesero sicurtà al conte”. Usando gli stessi termini, nel settembre del 1099, tre potenti condottieri crociati, l'arcivescovo Daiberto, Goffredo duca di Buglione e Raimondo conte di Tolosa, si vantarono di fronte a papa Pasquale II delle imprese dei crociati a Gerusalemme: "E se volete sapere cosa ne fu dei nemici che trovammo là, sappiate che nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava con il sangue dei saraceni all'altezza delle ginocchia dei cavalli" (Colman J. Barry “Readings in church history” Christians classics, Westminster (Maryland) 1985, p.328).

Queste le fonti cristiane e possiamo notare che esiste un crescendo di violenza e distruzione nelle varie cronache, ad esempio all’inizio si parla del sangue del nemico che arrivava alle caviglie, poi il sangue arrivò fino alle ginocchia ed al morso dei cavalli. Ovviamente siamo di fronte ad un fenomeno di propaganda, un fenomeno del genere non è neanche lontanamente possibile. Affinché si possa versare così tanto sangue non bastava l'intera popolazione di Gerusalemme, neppure se agli abitanti si fossero aggiunti i rifugiati provenienti dalle regioni circostanti. Nient'altro che retorica, una vanteria dei cronisti cristiani o dei condottieri crociati per enfatizzare la loro impresa. Tutto ciò è confermato dalle stesse fonti musulmane sull’accaduto caratterizzate da resoconti laconici e privi delle esagerazioni dei cronisti cristiani. Intorno al 1160 due cronisti siriani, al-'Aziml e'Ibn al-Qalanlsl, descrissero la presa di Gerusalemme da parte dei Crociati e nessuno dei due fornì una stima delle vittime. Al-'Azlml disse soltanto che i crociati "... raggiunsero Gerusalemme e la sottrassero agli egiziani. Goffredo la conquistò. I suoi uomini diedero alle fiamme la chiesa degli ebrei". 'Ibn al-Qalanlsl aggiunse qualche dettaglio: "I franchi presero d'assalto la città e se ne impossessarono. La maggior parte dei suoi abitanti fuggì verso il tempio e in tantissimi furono uccisi. Gli ebrei si rifugiarono nella sinagoga e i franchi la bruciarono a loro insaputa. Quindi, il 22 sa'ban [14 luglio] di quell'anno, il tempio capitolò, ed essi distrussero i sepolcri e la tomba di Abramo" (Hillenbrand “The Crusades: islamic perspectives” Routledge, Oxford, 2000, p. 261). Questo prova anche che per gli standard bellici dell'epoca, il saccheggio di Gerusalemme non era niente che esulasse dall'ordinario. A quei tempi mettere a ferro e a fuoco una città sotto assedio che resisteva agli invasori era un principio militare generalmente accettato. Nel caso invece in cui non avesse opposto resistenza era doveroso mostrare pietà.

Ma ben presto gli autori musulmani capirono il valore propagandistico dell'enfatizzare il numero delle vittime, così anche se le prime fonti islamiche, come abbiamo visto, non ne specifichino il numero, 'Ibn al-GawzT, circa un secolo dopo l'accaduto, scrisse che i crociati a Gerusalemme "... uccisero più di settantamila musulmani". 'Ibn al-'AtTr, un contemporaneo di Saladino, XII secolo, riporta la stessa cifra (Francesco Gabrieli “Storici arabi delle crociate” Einaudi, Torino 1973, p. 10). Lo storico del XV secolo 'Ibn Tagribrrdl arriva a parlare addirittura di centomila vittime. Così, un secolo dopo l'altro, l'entità del massacro si è ingigantita ed è nata la leggenda del misfatto più terribile della storia.

I musulmani, d’altro canto, si comportarono nello stesso identico modo molto prima dei Crociati. Nel 645, ad esempio, fu sottoposta all’assedio la grande città di Alessandria in Egitto, l’armata musulmana comandata da Amr ibn Aasi fece irruzione nella città massacrandone gli abitanti e abbandonandosi a saccheggi e incendi. (John Bagot Glubb “Le grandi conquiste arabe” Aldo Martello, Ed. Milano 1963 pp 386). Successivamente nel 1148, ad Aleppo, il comandante musulmano Nur ed- Din (Noradino) non esitò a ordinare l'uccisione di tutti i cristiani; nel 1268 le forze del sultano mammalucco Baybars sottrassero Antiochia ai crociati uccidendo migliaia di cittadini, distruggendo le chiese di San Paolo e San Pietro, massacrando tutti i preti e i monaci e bruciando i vangeli (Thomas F. Madden “Le crociate. Una storia nuova” Lindau, Torino 2005, p.261). Ma, sicuramente, l’esempio più eclatante fu il comportamento dell’armata ottomana di Mehmed II quando espugnò la città di Costantinopoli il 29 maggio 1453 spezzando la lunga e disperata resistenza opposta al loro assedio. E anche qui, come riporta lo storico Steven Runciman, vi furono fiumi di sangue. I soldati musulmani “uccidevano chiunque incontrassero nelle strade, uomini, donne e bambini, indiscriminatamente. Il sangue scorreva a fiumi dalle alture di Petra al Corno d'Oro. Ma poi la violenza si placò, e i soldati realizzarono che prigionieri e oggetti preziosi avrebbero portato loro maggiori profitti” (Steven Runciman “Gli ultimi giorni di Costantinopoli, 1453” Piemme, Casale Monferrato, 1997, p. 156). Proprio come i crociati, che violarono i santuari tanto della sinagoga quanto della moschea, i musulmani profanarono monasteri e conventi, privandoli dei loro abitanti, e saccheggiarono le abitazioni private. Inoltre occuparono la Hagia Sophia, che per quasi mille anni era stata la più grande chiesa della cristianità.

E’, quindi, storicamente provato che le armate musulmane, nell'invadere una città, si comportarono spesso nello stesso identico modo dei Crociati. Il che non vuole certamente giustificare la condotta dei soldati cristiani, un'azione atroce non ne giustifica un'altra, ma dobbiamo sempre ricordare che non fu il Papa, non fu la Chiesa ad ordinare i massacri e le violenze. Questi furono compiuti da soldati che agirono al di fuori e contro le intenzioni della Crociata. L'intenzione di questo mio articolo, piuttosto, è spiegare che il comportamento dei crociati a Gerusalemme non fu né più né meno di quello degli altri eserciti dell'epoca.

Bibliografia

R. G. Dalrymple Laffan “Select documents of european history 800-1492” Henry Hold & Company, New York 1929;
C. J. Barry “Readings in church history” Christians classics, Westminster (Maryland) 1985;
J. Riley Smith, Storia delle Crociate, A. Mondadori Editore, Milano 1994;
S. Runciman “Gli ultimi giorni di Costantinopoli, 1453” Piemme, Casale Monferrato, 1997
Hillenbrand “The Crusades: islamic perspectives” Routledge, Oxford, 2000;
F. Gabrieli “Storici arabi delle crociate” Einaudi, Torino 1973;
J. Bagot Glubb “Le grandi conquiste arabe” Aldo Martello, Ed. Milano 1963;
T. F. Madden “Le crociate. Una storia nuova” Lindau, Torino 2005;
Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge 1992;
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” Lindau, Torino, 2010.

lunedì 29 maggio 2023

I "Sindaci Arcobaleno" e l'utero in affitto.


Secondo la legge italiana il sindaco, l'organo monocratico a capo del governo di un comune, può solo esercitare "le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia" (comma 3, art 50 del Dlgs 267/2000). Questo perché la figura del sindaco è quella del primo cittadino, cioè del garante della legalità, del rispetto della legge.

Ma in Italia esiste una particolare tipologia di sindaco che sorprendentemente è al di sopra della legge e tende sostanzialmente a fare quello che gli pare quando deve propagandare la sua posizione ideologica. Sto parlando dei cosiddetti "sindaci arcobaleno", i simpatici primi cittadini di molti comuni italiani, tra cui molto grandi come Milano o Roma, che in barba alla legge e alle direttive degli organi dello Stato, con la scusa di "proteggere" fantomatici diritti, si arrogano il potere di piegare le istituzioni alla propria ideologia. Mi sto riferendo al fatto che questi personaggi, riunitisi il 12 maggio scorso a Torino, con la scusa del rispetto dei "diritti universali" (sic), hanno difeso la loro illegale registrazione come genitori di coppie omogenitoriali e relativo riconoscimento dei loro bambini dello status di "figlio".

Molto coscienziosamente, infatti, la sentenza n. 38162 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del dicembre scorso aveva stabilito che i bimbini nati all'estero con la maternità surrogata o di due madri, nati sia in Italia che all'estero, possono essere riconosciuti in Italia come figli di entrambi i genitori con l’adozione, che richiede l’approvazione di un giudice, e non con la trascrizione diretta all’anagrafe, che, invece, è un semplice atto amministrativo. Un atto, tra l'altro, che mira a cambiare le regole, un atto di forza in pieno stile laicista volto a sovvertire le regole di uno Stato democratico. La Cassazione, infatti, chiarisce che "spetta prioritariamente al legislatore individuare il ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della persona umana, allo scopo di fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore".

Ma l'azione dei "sindaci arcobaleno" non è solo illegale, ma anche irresponsabile e pericolosa. Infatti ciò che eufemisticamente viene chiamata "maternità surrogata", non è altro che la vergognosa pratica dell'utero in affitto. La trascrizione come figli in Comune dei bambini ottenuti con tale pratica infame, non fa altro che incentivarla e, quindi, favorire la mercificazione del corpo umano.

Tra le menti illuminate dei "sindaci arcobaleno", quella che sicuramente spicca fra tutte è la mente del sindaco di Roma. Soldatino perfetto, pronto a tutto per soddisfare i diktat laicisti, il 10 maggio scorso il sindaco Gualtieri ha pensato bene di censurare la campagna dell'associazione "Pro Vita" a favore del riconoscimento come reato universale della pratica dell'utero in affitto, provvedendo alla rimozione dei loro manifesti, affissi legittimamente. La motivazione è stata, quantomeno, ridicola. La campagna contro l'utero in affitto avrebbe "violato la libertà di scelta delle famiglie sul tema della procreazione".
Da non crederci! Il sindaco di Roma che ritiene la pratica dell'utero in affitto "una libertà di scelta". Peccato, però, che in Italia tale pratica è fuori legge, infatti l’articolo 12 della Legge 40/2004 sulla procreazione assistita prevede esplicitamente che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600mila a un milione di euro”. Ma che cosa sarà mai un'apologia di reato pur di imporre la dittatura di pensiero laicista?
Purtroppo nel nostro Paese la deriva laicista è sempre più forte, opponiamoci finché siamo in tempo.          

lunedì 24 aprile 2023

"La Madonna piange, e Odifreddi raglia"

L'allusione, nel titolo, al simpatico quadrupede domestico fa il verso a quello "provocatorio" del nostro simpatico matematico Piergiorgio Odifreddi, campione delle schiere laiciste, paladino della razionalità opposta alle credenze cristiane, che ha
pubblicato sul suo canale You Tube, col titolo : La Madonna piange, e Odifreddi ride" l'intervento che ha fatto a Rete 4, durante il "TG4 Diario del Giorno" dell'11 marzo scorso, circa il susseguirsi dei fenomeni soprannaturali, o presunti tali, delle statuette della Madonna che piangono.

Chiamato a rappresentare la posizione laica di fronte a tali fenomeni, il nostro loquace matematico come al solito non si è limitato ad esternare tranquillamente il suo comprensibile scetticismo, ma ha assunto subito la veste del castigatore delle superstizioni religiose. Così ha inesorabilmente sentenziato che si tratta solo del frutto dell'immaginazione dei cristiani intellettualmente limitati: "Ho detto altre volte che ci siano tipi diversi tipi di religiosità. Ce n'è una "alta" per le persone intellettualmente più attrezzate che questi fenomeni li guardano con molto sospetto, anzi che preferirebbero, forse, che non ci fossero. Ma se ci fosse solo quel tipo di religiosità, il cristianesimo, ed in particolare il cattolicesimo, sarebbe una religione per pochi e ci sarebbe, poi, la massa delle persone più semplici, quali, tra l'altro, il vangelo stesso diceva di indirizzarsi, beati i poveri di Spirito..."

Quindi Odifreddi riconosce l'esistenza di una frangia di cristiani più "evoluti", ma la distingue dalla "massa" dei credenti che lui definisce letteralmente dei "cretini", come nel suo pamphlet "Perché non possiamo essere cristiani ...", cioè sempliciotti che credono a delle favole, persone stupide non molto intelligenti, quelli che per lui sono i "poveri di Spirito". Ed a provarlo ci sarebbe addirittura il vangelo stesso che dice di indirizzarsi proprio a tali persone.

In realtà sarebbe molto divertente vedere la faccia stupita di Odifreddi se gli si dicesse che la frase "Beati i poveri di spirito" nei Vangeli non esiste. Purtroppo il nostro matematico conosce molto poco i vangeli, infatti questa frase, che troviamo nel vangelo di Matteo, l'unico che la riporta, è "Beati i poveri in spirito" (Mt 5, 3). Nell'originale greco troviamo, infatti, "τῷ πνεύματι", cioè "to(i) pnèumati" ossia "poveri in spirito". La frase fa quindi riferimento al concetto di una povertà nella disposizione interiore, non ad un difetto fisico. Da dove tutto ciò? I vangeli non sono altro che una rilettura dell'Antico Testamento alla luce della Rivelazione portata da Gesù. E nella Scrittura troviamo molto ben chiara la figura dei "poveri" di Dio, in termine ebraico, gli "‘anawîm". Citati per ben 21 volte nell'Antico Testamento, gli "‘anawîm" sono coloro che non montano in superbia, ma che si affidano totalmente al Signore. Costoro sono i prediletti del Signore e tra di essi si colloca anche Maria, la madre di Gesù, che professa "l’umiltà della serva". Nel suo cantico viene lodato Dio che privilegia gli ultimi, gli ‘anawîm appunto, rispetto ai ricchi: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato vuoti i ricchi, ha soccorso Israele suo servo" (Lc1,46-55).

Lungi dalle fesserie di Odifreddi i poveri in Spirito sono il seme fecondo della salvezza nel terreno delle vicende umane e san Paolo li vede incarnati nella figura di Cristo: "da ricco che era, egli si è fatto povero per noi, perché divenissimo ricchi per mezzo della sua povertà" (2Corinzi 8, 9).

Ma nel suo intervento Odifreddi riesce a dire un'altra fesseria, forse ancora più grossa della prima, infatti afferma: "Addirittura nei Vangeli c'è scritto qualcosa di più, perché ad un certo punto Gesù dice: questo popolo vuole dei segni, ma io segni non ne faccio se non il segno di Giona. Questo è interessante perché il resto dei Vangeli non va in quella direzione..." Quindi Odifreddi pensa di aver colto in fallo non solo i poveri cristiani, ma addirittura gli evangelisti che avrebbero, a suo dire, mistificato le parole e tradito gli intendimenti di Gesù stesso. 
Sarà come dice? Odifreddi fa riferimento ad un altro passo del vangelo di Matteo dove è scritto: "Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli rispose: «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona!" (Mt 12, 38-41). Come al solito per capire bene il senso di una affermazione occorre valutare bene il contesto in cui si trova. Tutto il capitolo 12 del vangelo di Matteo è dedicato alla polemica esistente tra Gesù e i Farisei e gli Scribi. Questi ultimi volevano farlo cadere in fallo per poter così avere dei motivi per accusarlo di ciarlataneria e falsità al fine di screditarlo. Ma Gesù considera questa generazione, cioè tutti coloro che come i Farisei e gli Scribi non si convertono alla sua predicazione, contrariamente a quanto avevano fatto gli abitanti di Ninive con la predicazione di Giona, dei perversi e degli adulteri. A loro, e solo a loro, Gesù nega ogni segno nell'attesa della sua Resurrezione, cioè il segno di Giona. Stesso atteggiamento, ad esempio, avrà Gesù con Erode Antipa (Lc 23, 8-12), mentre con chi si converte e dimostra la sua fede Gesù concede un segno come anticipo della beatitudine del Regno dei Cieli. Quando Gesù opera un segno loda sempre la fede, "Và la tua fede ti ha salvato" è la frase che dice molte volte nei vangeli, al cieco Bartimeo (Mc 10, 46-52), al lebbroso risanato che torna indietro a lodarlo (Lc 17, 11-19), alla peccatrice che gli lava i piedi (Luca 7,36-50) e così via.

Evidentemente Odifreddi, se commette tali errori nel fare i suoi riferimenti ai Vangeli, non deve averli letti con sufficiente attenzione, oppure non li ha ben capiti. Per carità, niente di irreparabile, basta impegnarsi di più, credo che Odifreddi possa farcela. Però, nel frattempo, sarebbe meglio non ergersi a maestrino saputello sempre pronto a bacchettare i poveri cristiani ignoranti, un bel bagno di umiltà non fa mai male.   

mercoledì 8 marzo 2023

La doppia morale della Commissione dei diritti umani dell'ONU

Torno a scrivere sul mio blog dopo diverso tempo, purtroppo la vita pone ognuno di noi di fronte ad impellenze non declinabili che rivoluzionano la scala delle proprie priorità. Ora, mia madre, malata da tempo, ha lasciato questo mondo per rispondere alla chiamata del Signore che l'ha voluta vicino a sé in modo perfetto e completo. E' per questo che sono sereno, ha raggiunto la pace che tanto desiderava e a me non resta che lodare il Signore per la sua tenerezza ed attenzione. Mamma e papà sono ora tra le Sue braccia e spero tanto, quando sarà ora, di poterli raggiungere.

Manco da circa un paio d'anni dal mio posto di osservazione, ma la tracotanza e l'incoerenza laicista non sono affatto cambiate, anzi. Proprio in questi giorni il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, su impulso dei legali del leader anarchico Alfredo Cospito, ha redarguito l'Italia richiamandola al rispetto degli standard internazionali sulla dignità umana di ogni persona privata della libertà personale. Che dire? Un'ammonizione giustissima, la dignità umana deve essere sempre rispettata, nessuna persona può essere sottoposta a trattamenti degradanti lesivi del valore della vita umana.

Sempre in questi giorni un'altra triste vicenda ha attirato la mia attenzione, il "suicidio" assistito, di una donna belga, Genevieve Lhermitte, affetta da problemi psichiatrici e responsabile dell'omicidio dei suoi quattro figli. In Belgio, infatti, la legge permette l'eutanasia se si soffre di dolori fisici e psicologici irreversibili. All'epoca dei fatti, 16 anni fa, i legali della Lhermitte avevano dimostrato che la loro assistita era affetta da una grave forma di depressione, ma ciò non gli evitò l'ergastolo. Da allora la povera donna ha sempre convissuto con i suoi gravi problemi psichiatrici, finché la "pietosa" eutanasia ha posto fine ai suoi giorni.

Una persona con gravi problemi psichiatrici, che è arrivata perfino ad uccidere i propri figli, che serenità di giudizio poteva avere? Come poteva rendersi conto della gravità e della irreparabilità della scelta di morire? Si può essere veramente certi che quella persona voleva veramente morire? E se, invece, la sua visione della realtà fosse distorta dalla malattia? Uccidere una persona in queste condizioni non è forse lesivo della dignità della persona e della vita umana? Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, più volte sollecitato dalle associazioni contro l'eutanasia, non ha niente da rimproverare al Belgio, così come ha fatto con l'Italia?

Mi si dirà: ma ha ucciso i propri figli, che senso può ancora avere la sua vita? Ma Cospito ha attentato alla vita di persone innocenti, è un terrorista, non è buttata anche la sua vita? Ma per le Nazioni Unite evidentemente no, ci sono vite che hanno maggiore valore di altre. O, forse, piuttosto, non si vuole attaccare l'istituto dell'eutanasia. Guai a criticare la follia della "dolce morte", non sarebbe politicamente corretto.

Ecco la doppia morale laicista che considera i diritti umani dipendenti da una qualità della vita umana, ma non dalla sua essenza. Esattamente come ragionavano i nazisti che sopprimevano i disabili, tra i quali c'erano persone che non avevano la capacità di percepire che andavano a morire.