mercoledì 29 febbraio 2012

Cristianesimo e predestinazione

Nel confronto con i laici ricorre spesso un’accusa al Cristianesimo basata sulla contraddizione presente nella Scrittura tra la sovranità di Dio e il libero arbitrio dell’uomo. In sintesi il fatto che tutta la vita di Cristo non è altro che la realizzazione di antiche profezie ebraiche contenute nell'Antico Testamento, precluderebbe la libertà dell’uomo di intervenire negli eventi. In sostanza la Scrittura proporrebbe una sorta di predestinazione e ciò toglierebbe ogni libertà all’uomo causando così una sorta di "fallimento teologico” del Cristianesimo.

Nei vangeli Gesù predice spesso quello che gli accadrà come se tutto fosse già preordinato al punto che arriva a dire: “E quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: tutto è compiuto! E chinato il capo, rese lo spirito" (Gv 19,30). Queste difficoltà nacquero già nel 1300 quando la teologia s’interrogava su come potessero essere libere le scelte umane se sono previste e come potesse Dio essere pienamente sovrano se la Sua volontà è legata in anticipo alle scelte umane. La questione non fu di poco conto, infatti condizionò profondamente la Riforma Protestante agli inizi del 1500, che adottò apertamente la teologia della predestinazione: la vera Chiesa è formata dagli eletti, quindi la necessità della grazia incondizionata per poter essere in grado di scegliere per Dio.

La Chiesa Cattolica si è sempre opposta a tale visione affermando che la sovranità di Dio non è intaccata e non intacca il libero arbitrio dell’uomo, egli può scegliere di fare il bene o non farlo. Sant'Agostino affermava che per i Giudei Cristo fu pietra d’inciampo non perché Dio avesse preveduto che fossero rigettati: “ma essi di propria volontà uscirono, di proprio volere caddero, perché Dio aveva previsto che cadrebbero, perciò non furono predestinati; lo sarebbero stati, se fossero stati per ritornare e rimanere nella verità e nella santità; e per ciò stesso la predestinazione di Dio è per molti un motivo di vivere santamente. La predestinazione non è per nessuno causa di cadere” (Art. XII, in artico sibi falso impositis). 

Gesù afferma chiaramente di essere venuto per dare la Sua vita per la Redenzione del Suo popolo, ma la Sua uccisione è stata una libera scelta degli uomini. Gesù poteva benissimo non farsi crocifiggere, ma ha voluto scegliere la strada più difficile per dimostrare il suo amore per l'uomo: "Non esiste amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 16). Quindi l'uccisione di Gesù è stata permessa da Dio Padre agli uomini, in quanto rispetta il loro libero arbitrio, ma la utilizza come via d'accesso alla salvezza attraverso la Resurrezione del Figlio: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22, 42). La crocefissione di Gesù Cristo, avvenne nell’ambito del progetto di Dio, benché i suoi assassini ne siano totalmente responsabili e condannabili: "...quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste" (Atti 2:23; 4:27,28; Gv 19:11). La volontà del Padre era proprio quella di rispettare la libertà degli uomini e trarre il bene dal male. 

Le profezie dell'Antico Testamento non tracciano un destino di Gesù, ma costituiscono le promesse messianiche che i Profeti annunciano al popolo d'Israele. Non si tratta di annunciare un destino preordinato, ma di dare uno "sguardo" a quello che succederà. Dio non vive nel nostro tempo, Lui è eterno, quindi non ha tempo. Per l'eternità non esiste un prima e un dopo. Agli occhi di Dio la morte e la resurrezione di Gesù non sono avvenute o dovranno avvenire, avvengono e basta. 

Così l’apostolo Paolo, nelle sue lettere ai Romani ed Efesini, chiaramente mette in evidenza il fatto che, a causa della disubbidienza e della ribellione umana, frutto di una sua libera scelta, Dio progetta di salvarlo attirandolo a Sé avendolo eletto sin dall'eternità, redimendolo e giustificandolo in Gesù Cristo (Rm 10,11; Ef 1, 4). In tutto questo si rivela il mistero della sovranità di Dio e della responsabilità umana (Rm 9, 19; 11,3) ed in ogni cosa si rende manifesta la gloria della giustizia di Dio (Rm 9, 16).

Il tema della predestinazione, dell’esistenza o meno del destino, ha sempre il suo fascino. Il fatto di doversi per forza riconoscere ingabbiati in un destino predeterminato da un dio capriccioso è una idea molto diffusa tra le persone atee. Ma le cose non stanno così. Dio è un padre buono che ci ama e per questo ci lascia liberi, altrimenti il Suo non sarebbe amore e noi non saremmo uomini.

giovedì 23 febbraio 2012

Piergiorgio Odifreddi, il matematico incompetente


In fondo, la critica al Cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo

Con questa frase tratta dal suo libello “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” il matematico Piergiorgio Odifreddi riassume tutto il suo astio nei confronti della religione e dei credenti, specialmente se cattolici. Questo personaggio, altrimenti un perfetto sconosciuto, è assurto agli onori della cronaca per la sua particolare polemica anticristiana che, per rendere più incisiva e clamorosa, ha infarcito di insulti. Il nostro matematico, che ama definirsi impertinente, non esita a dichiarare che: ”Il Cristianesimo è indegno della razionalità e dell’intelligenza dell’uomo”, che è “parte integrante del potere capitalista, razzista, sessista”, e che dunque “come tale andrebbe combattuto e abbandonato”.

Di critiche al Cristianesimo ne avevo sentite di ogni tipo, ma un attacco così diretto e becero alle fondamenta della fede cristiana mi ha lasciato letteralmente sorpreso. Odifreddi non si fa alcun problema, discetta di lingue antiche, di filosofia, filologia, teologia, storia, archeologia, esegesi biblica, religioni orientali pur essendo solo un matematico, censurando e bollando la Bibbia e i Vangeli come miti per creduloni. 

Visto che tale genio può permettersi di dare del cretino a gente come Dante, Copernico, Pascal, Pasteur, Leibniz, Maxwell, Mendel, ecc. ed essendo stufo di leggere i suoi continui insulti contro la mia fede, ho voluto saggiare la profonda preparazione storica che permette a tale “intelligenza” di porsi come l’unica mente in grado di illuminare i poveri credenti cretini soggiogati dalla Chiesa. Mi sono, così, iscritto al blog di Odifreddi su Repubblica.it, il “Non-senso della vita”, e ho cominciato ad interrogare il nostro “genio” sull’attendibilità dei Vangeli.

Alla mia affermazione secondo la quale i vangeli sono il frutto di una solida testimonianza il nostro “tuttologo” mi ha severamente ripreso informandomi che “due dei quattro vangeli non sono affatto attribuiti a “testimoni”, ma a gente che riportava ciò che avrebbe sentito da altri”, che “il quarto dei vangeli, appunto attribuito a un “testimone”, dichiara invece esplicitamente che è stato scritto “affinché crediate”: cioè, non come testimonianza, ma come propaganda” e che “le lettere di paolo, sono appunto dovute a una persona che dichiara anche lui di non aver mai incontrato Gesù e che ciò nonostante introduce per primo alcuni degli elementi fondamentali del cristianesimo, a partire dalla resurrezione, solo in seguito recepita nei vangeli e non presente nei manoscritti antichi del vangelo di marco”.

Pur essendo stato beneficiato da cotanta sapienza, rimasi alquanto sbalordito dall’inconsistenza di tali argomentazioni e non potei fare a meno di replicare che, in realtà, Marco riporta la testimonianza di Pietro, testimone oculare ed auricolare. Pietro molto probabilmente era analfabeta e, quindi, non poteva scrivere, ma la sua testimonianza resta. Luca raccoglie tante testimonianze di gente che aveva visto e che erano ancora vive, inoltre era compagno di Paolo che a sua volta ha conosciuto Pietro e Giacomo, testimoni oculari. Il quarto vangelo è il più tardo (circa 95-100 d.C.), la sua composizione è volta a sostenere le comunità cristiane neo formate provate dal pericolo delle persecuzioni. Per questo intento di sostegno e conforto è riportata quell’affermazione, ma questo vangelo poggia sulla testimonianza di Giovanni riportando dettagli che solo un testimone oculare poteva conoscere (piscina di Bethezda, Litostrato, Golgota, ecc.). Paolo divulgò un vangelo perfettamente coerente con quello di Pietro e Giacomo (cfr lettera ai Galati), prova ne è il fatto che NON viene introdotto alcun elemento fondamentale del cristianesimo. Infatti lo strafalcione più grosso di Odifreddi è proprio quello di ritenere l’annuncio della Resurrezione assente nei manoscritti più antichi del vangelo di Marco, infatti il nostro matematico ignora che la parte mancante del vangelo di Marco riguarda solo i versetti dal 9 al 20 del 16° capitolo. La Resurrezione è ben testimoniata da Pietro che Marco riporta: “Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto” (Mc 16, 6). 

Accortosi di non stare a confrontarsi con uno sprovveduto in materia, il prode Odifreddi pensò bene di tralasciare tali argomenti per ripartire alla carica con un pezzo forte del suo repertorio: Cristo non è mai esistito, le quattro testimonianze che lo proverebbero sono fasulle. Ma, anche qui, il nostro matematico sposa una causa persa infatti la stragrande maggioranza degli storici è invece convinta della storicità di tale esistenza. A questa notizia, Odifreddi replicò che non è affatto vero, infatti un gruppo di esperti ha da tempo stabilito che Gesù è solo un mito: lo “Jesus Seminar”. Peccato, però, che delle 150 persone che compongono quel gruppo di studio non c’è ne neppure uno che creda all’inesistenza storica di Gesù! A questo punto, visto che tutti gli storici credono all’esistenza storica di Gesù, il buon Odifreddi cominciò ad affermare che questi studiosi sono tutti biblisti e teologi che devono per forza “inventarsi” un Gesù Cristo per poter giustificare la loro fede. Ma anche in questo caso gli obiettai che tra i massimi studiosi del Gesù storico ci sono persone di religione ebraica (Schalom Ben Chorin, David Flusser, Geza Vermes, Paula Fredriksen, ecc.), quindi senza alcun interesse a mentire, e studiosi atei/agnostici (Michael Grant, Gerd Lüdemann, Bart Ehrman, Dale Allison, ecc.). Non sapendo più cosa rispondere il nostro matematico tuttologo sentenziò: “non considero storia la mitologia (religiosa e non), … è ovvio che la comunità dei biblisti creda all’esistenza di Gesù o alla storicità della Bibbia, così come la comunità degli ufologi crede all’esistenza degli UFO: di quello vivono e campano, … Io mi sono stufato, e passo ad altro e ad altri”, con buona pace anche degli storici atei/agnostici. 

La risposta stizzita di Odifreddi è più che comprensibile, è difficile accettare di essere sbugiardati in pubblico. Io gli parlavo di una comunità scientifica di storici, non di biblisti o teologi, quindi niente mitologia, ma il nostro tuttologo, pur non avendo alcuna formazione storica ed esegetica (è un geometra laureato in matematica, n.d.r.), si crede una mente superiore chiamata a dispensare il suo infallibile verbo alla povera massa di sprovveduti che ancora si affanna a studiare questi temi. Quando, però, gli si fanno notare i suoi errori e viene messa allo scoperto la sua sconcertante ignoranza, allora si affretta a considerare inutile lo studio di una materia che considera solo “mitologia”. Un vero esempio di pensiero nonsense.

Odifreddi non ha alcuna competenza storica ed esegetica, il suo panphlet contro il Cristianesimo è una penosa raccolta di strafalcioni storici e se si considera il fatto che è elencato tra i presidenti onorari dell’UAAR (Unione degli Atei Agnostici Razionali) abbiamo un quadro eloquente del livello deprimente dell’ateismo in Italia.

sabato 18 febbraio 2012

L'orrore dell'aborto

Scrivo questo post per manifestare la profonda impressione che mi ha fatto la testimonianza di Gianna Jessen, mandata in onda da Rai2 il 6 febbraio scorso durante il programma “Italia sul Due". Questa donna è una delle tante “sopravvissute all’aborto” riuscendo a restare viva dopo un aborto salino. Oggi gira il mondo, invitata nei Parlamenti e in televisione, per raccontare la sua storia e il terribile crimine che ha subito in nome dei presunti “diritti della donna”. 
La testimonianza di Gianna è veramente toccante: “Mi chiamo Gianna Jessen. Vorrei dirvi grazie per la possibilità di parlare oggi. Non è una piccola cosa dire la verità. Dipende unicamente dalla grazia di Dio il poterlo fare. Ho 23 anni. Sono stata abortita e non sono morta. La mia madre biologica era incinta di sette mesi quando andò da Planned Parenthood nella California del sud e le consigliarono di effettuare un aborto salino tardivo. Un aborto salino consiste nell’iniezione di una soluzione di sale nell’utero della madre. Il bambino inghiottisce la soluzione, che brucia il bambino dentro e fuori, e poi la madre partorisce un bambino morto entro 24 ore. Questo è capitato a me!...” 
(tratto da http://www.postaborto.it/2008/05/io-gianna-jessen-sopravvissuta.html).

Da uno stralcio dell’intervista rilasciata in televisione: 
Intervistatrice:Tu hai avuto modo nel corso degli anni di incontrare la tua mamma biologica, come è stato questo incontro?
Gianna:Voglio premettere che sono cristiana e per via di questo sono in grado di perdonare e ho perdonato la mia mamma biologica, e so che non tutti accettano facilmente quanto sto per dire, ma sono in grado di vivere e camminare grazie a Gesù Cristo”.

La testimonianza di questa coraggiosa donna mi ha molto toccato, per la società la sua vita non valeva niente, solo per un puro caso, per un errore è rimasta in vita, perché qualcosa non ha funzionato. Un puro caso. Come chi per un puro caso si ritrova tra i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti e comunisti. Anche lì la vita non valeva niente, morire o restare vivi è questione affidata al caso. La cosificazione della vita umana. Solo che tutti condannano ed inorridiscono di fronte alla tragedia dei campi di sterminio, mentre la società di oggi chiude gli occhi di fronte all’abominio dell’aborto, al massacro legalizzato di milioni di bambini. Come è stato possibile perdere fino a questo punto il lume della ragione? Come può l’egoismo arrivare fino al punto di calpestare legalmente un diritto fondamentale come quello alla vita? E’ questo ciò che succede all’uomo quando abbandona la strada di Dio, non è più capace di restare una sua immagine e somiglianza e regredisce ad un livello bestiale. A questo porta ignorare e combattere la voce della Chiesa e dei cristiani gli unici che ancora si battono per il rispetto della dignità della vita umana. La povera Gianna per dichiarare la sua fede in Cristo ha dovuto quasi scusarsi: “so che non tutti accettano facilmente quanto sto per dire…

Mi si obietterà che la legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza permette l’aborto solo fino al terzo mese, mentre nella vicenda di Gianna si era al settimo mese. E allora? Cosa cambia? Chi può decidere quando si è persone? Chi può decidere quando si è esseri umani? Quali sono i criteri scientifici che ci fanno con esattezza individuare la formazione di un essere umano? Che differenza c’è tra un feto di 90 giorni ed uno di 91 giorni? Che differenza c’è tra un feto alla nascita e dopo che è nato? 

L’unica differenza è il numero delle cellule che compongono il suo organismo. E’ assurdo pensare che si è esseri umani in base al numero di cellule che formano il proprio corpo! In Svezia si è “umani” solo alla 18esima settimana, ma in Olanda occorre aspettare la 22esima settimana. Per gli Inglesi, invece, Svedesi e Olandesi rispettano solo delle insignificanti cellule perché per loro occorre aspettare la 24esima settimana.

Ecco a cosa porta la scienza quando è dominata dal relativismo. Appartenere alla razza umana non dipende da una quantità, ma è una qualità di quelle cellule. Ogni embrione ed ogni feto hanno cellule caratterizzate da un patrimonio genetico umano, unico ed irripetibile! Il rispetto della vita umana è un valore inviolabile e fondamentale (così come garantito dalla nostra Costituzione) e non può essere dipendente da una mera scelta personale, perché altrimenti non sarebbe più un valore fondamentale.

lunedì 13 febbraio 2012

L'Eucaristia un rito misterico teofagico?


Un’accusa antichissima che viene rivolta ai cristiani riguarda il sacramento dell’Eucaristia. Questo Sacramento non sarebbe altro che una manifestazione di cannibalismo, un rito teofagico retaggio di oscure origine pagane. Già nel II secolo i cristiani erano accusati di ogni sorta di nefandezza, si diceva che praticassero orge incestuose e cannibalismo e che adorassero un dio dalla testa d'asino. 

Da queste accuse è nata la convinzione, che in alcuni autori resiste ancora oggi, secondo la quale il Cristianesimo fosse l’ennesima religione orientale da assimilare ai culti misterici teofagici presenti nelle civiltà ellenistiche (J. Hastings, “Encyclopedia of Religion and Ethics”, 2003). Questa antica convinzione costituì una delle cause che scatenarono le persecuzioni in epoca romana volte a reprimere ogni manifestazione di scelleratezza, magia ed astrologia. Stessa sorte era toccata in precedenza ai Baccanali, al Druidismo e al culto di Iside (W. Liebeschütz, “La religione romana” in AA.VV. Storia di Roma - vol. 2). Una convinzione, però, non supportata da riscontri storici, infatti le fonti ci riportano delle dicerie, dei luoghi comuni come, ad esempio, l’orazione di Marco Cornelio Frontone nell’Octavius (1), del 162 d.C., dove vengono riportate notizie di seconda mano. Diversamente, quando si operano indagini accurate sui cristiani, appare subito chiara la natura incruenta e spirituale del banchetto eucaristico (Plinio il giovane, Epist. X, 96, 1-9) (2). 

Già nel 54-55 d.C. Paolo di Tarso richiama i cristiani di Corinto a spezzare il pane per entrare in comunione col corpo di Cristo (1 Cor 11, 27-30), tale rito non ha nulla a che vedere con cannibalismi o riti misterici teofagici. Paolo era ebreo, di formazione profondamente ebraica, istruitosi alla scuola tradizionalista del rabbino Gamaliele, e diviene cristiano dopo aver ferocemente combattuto la Chiesa di Cristo. La psicologia stessa del convertito di Tarso avrebbe impedito l’adattamento al cristianesimo di qualsiasi rito pagano. Significativi sono i suoi giudizi sprezzanti sui riti pagani (2Cor 6,15; 1Cor 10,20) che rivelano in pieno il suo animo. Del resto la sua posizione di ultimo venuto, di antico persecutore, non gli permetteva di alterare in modo qualunque la tradizione in faccia a coloro che erano stati testimoni oculari dell’opera di Gesù, senza che un coro di proteste elevasse da ogni parte (E. Pinard de la Boullaye, "Gesù Cristo e la storia", Torino 1931). La teoria che vuole Paolo di Tarso “inventore” dell’Eucaristia, fatto che avrebbe poi influenzato i sinottici, non trova riscontro anche in considerazione dell’indipendenza della narrazione di Marco (Mc 14, 22-24) da 1Cor 11,23-25. Se Marco dipendesse da Paolo non avrebbe omesso il comando di ripetere il rito e, inoltre, soltanto Marco conferisce un carattere tipicamente escatologico (14,25) al banchetto eucaristico. Queste particolarità conferiscono una fisionomia inconfondibile alla narrazione marciana, quindi, se Marco non dipende da Paolo, tutte e due rimontano a una fonte più antica e comune: si giunge così all’inizio della predicazione di Pietro e di Matteo e degli altri Apostoli. 

Le narrazioni di Paolo e dei sinottici ripetono la frase del Signore: “Questo è il mio Sangue dell’Allenza”, quest’inciso ha un valore particolare perché allude all’alleanza, che Gesù sostituiva a quella mosaica nel momento stesso in cui celebrava l’Eucaristia. Questa, nei vangeli, si pone, infatti, come il Sacrificio pasquale perfetto, che si sostituisce al sacrificio dell’agnello dell’Antico Testamento che doveva essere ripetuto ogni anno. Il sacrificio di Cristo sulla croce è il sangue versato per il perdono dei nostri peccati (Eb 9, 22), è l’unico ed il solo olocausto: “Egli è morto una volta per tutte” (Eb 7, 27; 9, 28). E’ a questo unico olocausto, che vale per sempre, che si collega l’offerta eucaristica mediante il “memoriale” comandato da Cristo stesso: “Fate questo in memoria di me … Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11, 23-26). 

Questi passi sono di una solare evidenza: Gesù si pone come l’agnello immolato che si sostituisce all’antico sacrificio ebraico. Egli è l’agnello senza difetti e senza macchia di biblica memoria (Es 12, 5) e il cibarsi del pane e del vino consacrati rappresenta la salvezza (Gv 6, 51), esattamente secondo l'idea del sacrificio in uso presso gli Ebrei, che mangiavano parte delle vittime immolate al fine di partecipare ai benefici scaturiti dal sacrificio (1Corinzi 10,18).

Appare evidente, quindi, la totale estraneità con i riti misterici teofagici dove il mangiare un cibo ritenuto divino conferiva all’adepto le caratteristiche della divinità. Tutto ciò è lontanissimo dalla cultura ebraica i cui rapporti conflittuali con i culti misterici troviamo traccia nel libro della Sapienza che indica come la nozione di Mistero venga intesa al di fuori dall'ambito ebraico. Considerare il Cristianesimo quale religione misterica significa ignorare l'ambito in cui esso si origina, ossia l'ebraismo, dal quale è certo che non proveniva alcun culto misterico considerata la differenza che l'ebraismo aveva nei confronti delle altre religioni. 

Ma oltre a questo occorre osservare la mancanza della prova che gli dèi salvatori del sincretismo greco-romano siano stati dèi letteralmente morti e resuscitati, che i misteri abbiano voluto commemorare la loro passione, che gli iniziati abbiano attribuito a questa passione e a questa commemorazione un’efficacia salutare, che l’efficacia derivi dall’unione dei fedeli alla passione degli dèi, che quest’unione sia stata effettuata per mezzo di un pasto sacrificale, il cui rito essenziale consistesse nella distribuzione agli iniziati di pane benedetto e di una coppa di vino consacrato, e finalmente che la salvezza cosi ottenuta sia stata salvezza personale e spirituale, assicurata per tutta l’eternità (J. Coppens, Eucharistie, in DBs, II, col. 1206).

Volendo paragonare il cannibalismo con l’Eucaristia ci accorgiamo che esiste una differenza abissale, mangiando e bevendo il pane ed il vino eucaristici i cristiani non mangiano carne o bevono sangue, non consumano un corpo che, quindi, viene distrutto, assimilato ed i resti inutilizzati espulsi. L'atto del cibarsi, del mangiare e bere, nella Eucaristia invece diventa atto di Comunione (1 Cor 14-21), cioè diveniamo un tutt’uno con Lui, non siamo noi che Lo “consumiamo”, ma è Cristo ad assimilare noi, a metterci in comunione, alla sua divinità. “Questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue” significa che il Signore si impadronisce del pane e del vino cambiando il vero, profondo fondamento del loro essere. Il pane ed il vino eucaristici vengono innalzati ad un nuovo ordine diventando la Persona del Risorto.

Navigando nel web è facilissimo imbattersi in decine di siti che affermano la dipendenza dell’Eucaristia da riti pagani, ma si tratta di eccessive fantasticherie basate su apparenti analogie e «quando si giunse al nodo della questione, si presero anche lucciole per lanterne e si affermò che una zanzara è uguale in tutto a un’aquila, dal momento che ambedue hanno le ali e volano e si nutrono di sangue» (G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, IV ed., Milano 1940, p. 670).

Note

(1) Sento dire che venerano la testa consacrata di una bestia sconcia, un asino….non so se il sospetto è falso, ma di certo si sostiene sul carattere dei loro riti occulti e notturni! E chi ci dice che il loro culto riguarda un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio…Altri raccontano che essi venerano e adorano i genitali dello stesso celebrante…Quanto alla iniziazione dei novizi, la diceria è tanto esecrabile quanto risaputa…

(2) “Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente” (Epist. X, 96, 1-9) (111 d.C.).


Bibliografia

Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. V, coll. 739-749. 
C. Lepelley “I cristiani e l’Impero romano“ in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 1, 2003, Borla, Città Nuova, Roma

martedì 7 febbraio 2012

Chiesa e pedofilia. Una buona notizia.

La pedofilia è senza dubbio uno dei più vergognosi scandali che abbia mai colpito la Chiesa al punto di costituire oggi l’accusa principale di ogni laicista anticlericale. Come cristiano soffro parecchio di questa situazione e mi sento umiliato. Mi hanno sempre insegnato che come cristiano faccio parte di una grande comunità d’Amore (ekklesia) e che i sacerdoti, i vescovi ed il Papa costituiscono i nostri padri spirituali, le nostre guide. Questo scandalo mi ha profondamente ferito, perché coinvolgono questa mia “famiglia” allargata.

Ma, grazie a Dio, qualcosa sta cambiando, infatti in questi giorni a Roma presso l’ateneo dei Gesuiti è in corso un mega-summit anti-pedofilia a cui partecipano i delegati di ben 110 conferenze episcopali, di trenta ordini religiosi e con l’intervento di medici e psichiatri di fama internazionale. Parteciperà anche una vittima abusata in adolescenza da un sacerdote, prenderà per prima la parola per raccontare l’orrore della sua esperienza drammatica. Si tratta di un incontro fondamentale per affrontare scientificamente una problematica scottante sottovalutata per troppo tempo. E’ divenuta sempre più pressante l’esigenza di applicare nei seminari, a beneficio di vescovi e direttori, anche dei parametri scientifici di valutazione per identificare ed isolare i soggetti che potrebbero dal luogo ad una patologia come la pedofilia. Il convegno, inoltre, sta anche dando importanti segnali verso una importante presa di coscienza del problema al fine di aumentare il numero dei casi denunciati rispetto a quelli verificati.

Non si può che restare piacevolmente colpiti da tali notizie se si pensa che solo un decennio fa la Chiesa tendeva a minimizzare questo grave problema. Grazie alla sterzata imposta da papa Ratzinger assistiamo ora ad un deciso cambio di tendenza e possiamo dire che decisivi passi in avanti sono stati fatti.

Ringraziamo il Signore che assiste sempre la Sua Chiesa
.

venerdì 3 febbraio 2012

Vasco Rossi? No grazie!

Inauguro questa nuova sezione del blog dedicato alle mie riflessioni su alcuni personaggi pubblici con il famoso rocker emiliano Vasco Rossi. L’incredibile successo di questo artista ha pochi riscontri in Italia. Vasco Rossi è, infatti, il cantante rock italiano più noto ed amato dal mondo giovanile. Le sue canzoni, le sue musiche, sono le più conosciute e diffuse. Dall’inizio della sua carriera, primi anni 80, a tutt’oggi, milioni di giovani hanno eletto le sue canzoni a vere e proprie colonne sonore della loro adolescenza.
           
Vasco Rossi ha potuto anche beneficiare di una critica entusiastica, peraltro meritata, che ha contribuito non poco al suo successo. I suoi pezzi sono resi famosi dalla pubblicità e l’uscita di ogni suo album conquista in breve tempo i primi posti nella classifica delle vendite discografiche. Si può tranquillamente dire che la nostra società ha eletto l’artista modenese ad icona dell’espressione del mondo giovanile. Non c’è quindi da stupirsi se nel 2005 la Libera Università di Lingue e Comunicazione di Pisa, gli ha conferito la laurea honoris causa in scienze della comunicazione.

Eppure in tutta questa approvazione entusiastica dell’arte di Vasco Rossi percepisco qualcosa che non mi convince. Certamente non mi permetto di criticare la sua musica, non ne sarei in grado, ma i testi delle sue canzoni si. Intendiamoci, ognuno ha il diritto di dire ciò che vuole, la mia critica è rivolta esclusivamente a questa nostra società che stupidamente propone modelli deteriori ai suoi giovani. Una tra le più famose canzoni di Vasco Rossi “Vita spericolata” dell’83 fa l’elogio della vita senza impegni e senza valori indugiando sui piaceri dell’alcolismo. Stesso ritornello in “Vado al massimo” e “Splendida giornata”, entrambe dell’82, dove l’autore propugna un’esistenza sfrenata e senza responsabilità. Abbiamo paura che i nostri figli vengano a contatto con la droga e l’alcool, ma poi esaltiamo certi modelli. Sempre nell’82 Vasco Rossi cantava in “Cosa ti fai”: “Dimmi che cosa ti fai. Non dirmi che non ti droghi mai! Dai!”. Oppure in “Vuoi star ferma: “Vuoi star ferma, vuoi con i pensieri, un altro wisky qui, un altro wisky si…”. Non parliamo della violenza che trasuda da certe canzoni ancora riproposte nei concerti e conosciutissime  dai giovani. E’ il caso di Gli spari sopra dell’93: “Se la guerra poi adesso cominciamo a farla noi, non sorridete… gli spari sopra…”. Vero e proprio inno alla distruzione di ogni valore di una società civile è il testo di “Siamo solo noi”, una canzone famosissima di Vasco Rossi dell’81: “Siamo solo noi che non abbiamo più rispetto per niente neanche per la mente, siamo solo noi che poi muoiono presto, quelli che però è lo stesso. Siamo solo noi che non abbiam più niente da dire dobbiamo solo vomitare, siamo solo noi quelli che ormai non credono più a niente e vi fregano sempre…”. L’unica forza vitale che anima la disperata esistenza dell’uomo è l’istinto sessuale sfrenato, concetto molto ben espresso in “Rewind” del 98, e l’amore per il denaro decantato in “Cosa succede in città” dell’85: “Conta si il denaro…altro che no, me accorgo soprattutto quando, quando non ne ho, egoista certo… perché no? E perché non dovrei esserlo? Quando c’ho il mal di stomaco c’è l’ho io o no?”. Per il resto c’è solo la desolante e triste mancanza assoluta di una speranza nella vita, di un valore da coltivare, tutto è negativo e da buttare. In canzoni come Un senso del 2004, Siamo soli del 2001, C’è chi dice no dell’87, traspare tutta la disperazione di una esistenza senza senso che non può non influenzare negativamente una coscienza ed una personalità in formazione come quella adolescenziale.

In questi ultimi anni, con album tipo “Il Mondo che vorrei” del 2008 e “Vivere o niente” del 2011, Vasco Rossi, ormai alla soglia dei sessant’anni, si fa più cauto e controllato senza più espliciti riferimenti a droga ed alcol. Comunque, a mio modo di vedere, le canzoni di Vasco Rossi rappresentano l’ennesimo modello falso e deteriore che questa società di oggi, incapace di sottrarsi alle logiche del business a tutti i costi, non rinuncia a propugnare.