sabato 30 giugno 2012

Aria nuova per l'I.O.R.

Tra gli argomenti più imbarazzanti per la storia recente della Chiesa e per tutti i cristiani c’è sicuramente quello che riguarda tutto ciò che ruota attorno all'IOR, cioè l’Istituto per le Opere della Religione, ossia la Banca Vaticana.

Certamente il nome dell'IOR è stato accostato a moltissimi scandali e la recente destituzione del suo direttore Gotti Tedeschi ha scatenato una vera e propria selva di sospetti e maldicenze. In questa situazione ovviamente sguazza felice la propaganda laicista che, incurante del fatto di basarsi solo su sospetti, non esita a definire la Chiesa una sorta di associazione criminosa. Abbiamo così dovuto assistere ad una vera e propria campagna diffamatoria, ad un attacco pesantissimo che coinvolge non solo i vertici vaticani, ma tutti i cristiani.

Ma la situazione è veramente così grave? Possibile che la Chiesa Cattolica non riesca a togliersi da tale scomoda posizione? A rompere questa cappa scura, in questi giorni, però, si è assistito ad una importante novità: per la prima volta la stampa è sono stata ammessa all’interno del Torrione di Niccolò V, sede dell'IOR, Il direttore generale dell’istituto, Paolo Cipriani, ex braccio destro di Gotti Tedeschi, ha dichiarato, per dimostrare che nello IOR non ci sono legami con la criminalità, che i controlli effettuati sono sistematici e rispettano precise regole internazionali, che tutto è tracciabile, individuabile e che non esiste più niente di anonimo. In Vaticano ora si aspetta con fiducia il responso di Strasburgo e si saprà se la Santa Sede sarà ammessa nella lista dei paesi virtuosi, trasparenti e anti riciclaggio (da il messaggero.it). 


Finalmente lo stesso pontefice Benedetto XVI ha deciso di sfatare le troppe leggende che si raccontano sulla Banca Vaticana per farla finita, una volta per tutte, con scandali e sospetti. In occasione della festività, celebrata nella giornata di ieri, dei SS Pietro e Paolo, patroni di Roma, il papa ha ricordato che la Chiesa non è una comunità di “perfetti”, ma principalmente di peccatori che hanno bisogno della Grazia di Dio, quella stessa che Gesù ha promesso a Pietro affinché la Chiesa non venisse mai meno.

martedì 26 giugno 2012

Cecchi Paone e la ricerca dello scontro

In questi giorni sta balzando all’attenzione dei media le sconcertanti dichiarazioni del popolare giornalista e conduttore televisivo Alessandro Cecchi Paone sulla diffusione dell’omosessualità anche tra i giocatori della nazionale italiana di calcio. 

Ovviamente si tratta di un’operazione di puro marketing promozionale in occasione dell’uscita di un suo libro. E’ da tempo che questo personaggio, una volta fatto coming out circa la sua omosessualità, non fa altro che sbandierare ai quattro venti i suoi gusti sessuali invitando chi si sente omosessuale o potenzialmente tale (sarebbero i cosiddetti metrosexual) a fare altrettanto. A parte un certo cattivo gusto di tale ostentazione esasperata, che a parer mio è più una ricerca di visibilità personale che non un’operazione di denuncia sociale, tutto sommato il buon Cecchi Paone non fa altro che fare la sua onesta parte per spingere il carrozzone del pettegolezzo mediatico, il tanto amato/odiato gossip così importante per il raggiungimento ed il mantenimento della notorietà per personaggi del genere. 

Ciò, che, invece, non approvo nel comportamento di Cecchi Paone sono i suoi gratuiti attacchi alla Chiesa Cattolica accusata più volte, nella sua presa di posizione contro il matrimonio omosessuale, di esercitare un’operazione politica. Per Cecchi Paone la Chiesa opererebbe un’ingerenza negli affari interni italiani. Su tale argomento sono memorabili i suoi scontri con il critico d’arte ed opinionista Vittorio Sgarbi, il quale, attraverso modi di fare sicuramente censurabili, pur essendo un laico non cattolico riconosce giustamente alla Chiesa la sua indiscussa statura morale ed il diritto alla parola. 

Non è, infatti, ragionevolmente credibile che il diritto/dovere della Chiesa di essere guida e discernimento per tutti i cristiani, debba ritenersi una indebita ingerenza. Questa accusa di prevaricazione ed intolleranza ritorna puntuale ogni volta che la voce cristiana mette all’indice la voglia di relativismo di questo paese che sembra voler abbandonare ogni valore sociale. Il punto, infatti, è proprio questo. Quello che non si vuole capire è che la Chiesa non impone una visione religiosa, ma cerca di tutelare i preziosi valori sociali messi in pericolo. Per questo l’appello è rivolto a tutti e non solo ai cristiani. A proposito del matrimonio omosessuale o dei suoi surrogati, come ad esempio i “Dico”, la Chiesa non oppone la sua visione religiosa basata sull’insegnamento di Gesù che ogni unione nasce e si fonda sull’amore reciproco senza compromessi prolungandosi nel suo frutto più bello, cioè i figli. Ella si limita ad invitare la società a non demolire la famiglia fondata sulle solide basi del matrimonio dove è garantito un minimo di responsabilità verso i figli e la società. Esistono molti altri strumenti per la tutela degli interessi economici dei conviventi, non serve certo una legge per questo. Nei confronti della legittimazione del matrimonio anche per le convivenze omosessuali la posizione della Chiesa è nota da tempo. Per tutti i cristiani l’uomo creato da Dio, sua immagine e somiglianza, è maschio e femmina: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creo, maschio e femmina li creò” (Genesi 1, 27). L’unione di un uomo e di una donna rappresenta, quindi, l’umanità creata da Dio che è partecipe della Sua creazione generando il frutto di questo amore, cioè i figli. Lungi dal voler imporre tali sublimità (le classiche perle ai porci), la Chiesa richiama l’attenzione sulla pericolosità di considerare come un fatto normale l’omosessualità. Questo non significa operare una discriminazione verso gli omosessuali, persone degne di ogni rispetto (solita accusa di chi non ha altri argomenti), ma ribadire che tali riconoscimenti possono aprire la strada ad una totale parificazione della coppia omosessuale con quella eterosessuale (pari accesso ai benefici per le famiglie, possibilità di adozione, ecc…). Non solo, legittimare un unione omosessuale può essere il primo passo verso la perdita di fondamentali punti di riferimento imposti, si badi bene, non dalla Chiesa, ma dalla natura umana. Come potrà essere considerata immorale, in futuro, pratiche come la poligamia o, perfino, la pedofilia? 

Penso che la campagna mediatica di odio e rancore verso la Chiesa operata da personaggi come Cecchi Paone, improntata più sul pregiudizio che non ad una autentica volontà di dialogo, sia una delle cause che concorre a rendere sempre più difficile il confronto sui grandi temi sociali nel nostro paese

mercoledì 20 giugno 2012

L'eresia giudaizzante, la schiavitù della legge.


Con questa eresia torniamo indietro nel tempo fino alle origini stesse del cristianesimo. La solita propaganda laicista travestita da ricerca storica tenta vanamente di accreditare un’originaria lotta tra molte forme di “cristianesimi”, ognuno dei quali sosteneva di seguire gli insegnamenti di Gesù e dei suoi apostoli fondandosi sugli scritti che convalidavano le loro affermazioni (ad esempio si veda“I cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le sacre scritture” di Bart D. Ehrman, Carocci, 2005). Secondo questa tesi il cristianesimo che alla fine prevalse fu quello di Paolo, una religione sincretista che non aveva più nulla della radice ebraica e costituita dai soli pagani convertiti. L’odierno cristianesimo è, quindi, solo il frutto di una scelta politica operata dal potere, così come afferma l’improbabile Corrado Augias nel suo “Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione” scritto con lo storico del cristianesimo Remo Cacitti, dove afferma: “in particolare il cattolicesimo, è prevalentemente l’erede, la conseguenza, del “costantinismo”. 

Ho già affrontato il tema del supposto sincretismo col paganesimo di alcuni riti cristiani, come ad esempio per l’Eucaristia, e della supposta dipendenza della costituzione della Chiesa da Costantino, quindi non mi dilungherò oltre su tali argomenti, ciò che invece cercherò di mostrare sarà come all’origine del messaggio cristiano ci sia stato Gesù e il gruppo dei dodici, la Chiesa di Gerusalemme e come questa si sia immediatamente opposta alle tendenze giudaizzanti di alcuni dei suoi componenti. 

La fonte storica principale per conoscere gli eventi dei primi decenni dopo la morte e resurrezione di Gesù sono indubbiamente gli Atti degli Apostoli (così fanno importanti testi come R. Geftman “La Chiesa primitiva di Gerusalemme”, Jerusalem, 1985; J. Lenzenweger et al. “Storia della Chiesa Cattolica”, EP Cinisello Balsamo, 1989, ecc.). Da tale fonte vediamo subito che l’originaria Chiesa di Gerusalemme nasce il giorno di Pentecoste, è la comunità dei credenti, di coloro che credono in Gesù, Figlio di Dio. E’ questa comunità la prima chiesa cristiana in assoluto costituita dai Dodici, dai discepoli e dai parenti di Gesù (Atti 1, 15). Questo primo gruppo di cristiani vede al vertice Pietro come autorità universale e Giacomo come autorità locale, è la Chiesa primitiva che non rompe affatto con la Sinagoga, i discepoli frequentano il Tempio, osservano la Legge di Mosè, l’iniziazione si limita al battesimo, la frazione del pane avviene secondo l’usanza giudaica, si leggono i rotoli sacri (Atti 2, 47-48). L’elemento veramente nuovo è l’insistenza che solo in Gesù c’è la salvezza. Gli studiosi chiamano questi primi membri della Chiesa cristiana locale “Giudeocristiani” e costituiscono la grande maggioranza dei credenti che presiede autorevolmente alla compilazione dei Vangeli (F. Rossi de Gasperis, “Israele o la radice santa della nostra fede”, in “Rassegna di Teologia”, 1, 1980). 

Le cose iniziarono a cambiare quando i discepoli cominciano a lasciare Gerusalemme per la prima ondata missionaria venendo così a contatto con il paganesimo e, soprattutto, con le comunità degli ebrei ellenizzati. Il primo caso che fa problema è il battesimo del centurione Cornelio (Atti 10) quando Pietro viene rimproverato ed invitato a spiegare perché avesse frequentato la casa di un pagano e l’apostolo spiega di non aver potuto rifiutare il battesimo a coloro che avevano ricevuto lo Spirito Santo al pari di loro. La situazione precipita con la conversione dell’ebreo Saulo di Tarso, fariseo, della tribù di Beniamino e cittadino romano, per anni persecutore dei cristiani, il quale cambia il nome in Paolo e diventa strumento per portare il Nome di Gesù presso le Nazioni (Atti 9, 15). Paolo, accompagnato da Barnaba, diffonde la Parola di Dio e fonda Chiese presso i Gentili, cioè i pagani, senza imporre loro il preliminare rispetto della legge mosaica, in primo luogo la circoncisione. Tutto ciò porta ad un conflitto con parte dei cristiani di Gerusalemme ancora tenacemente attaccati al rispetto della legge mosaica, i cosiddetti giudaizzanti. Per affrontare tali difficoltà viene convocato il primo concilio ecumenico della Chiesa, il Concilio di Gerusalemme dell’anno 49 d.C. In quella occasione Pietro, riconosciuto capo della Chiesa, approva quello che Paolo e Barnaba avevano fatto (Atti 15, 7). Paolo, quindi, non fonda alcuna nuova dottrina contraria alla originaria fede apostolica, come non chiede ai pagani di diventare giudei prima di aderire a Cristo, così non chiede ai giudei di abbandonare le tradizioni e farsi pagani. Il suo vero intento è quello di proclamare che la vera novità viene da Cristo, non dalla legge mosaica e, per questo, vuole garantire alla Chiesa nascente una sua autonomia e non di farne una semplice appendice del giudaismo (D. Flusser “Il cristianesimo, una religione ebraica”, E.P., Cinisello Balsamo, 1992). Il gruppo più rigidamente giudaico esce, quindi, perdente proprio sul piano dei contenuti, in quanto chiedendo il passaggio attraverso la circoncisione finisce per rappresentare Cristo come subordinato alla Legge. 

La narrazione degli Atti si ferma attorno all’anno 63 d.C., a ridosso della grande rivolta giudaica che determinerà la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio nel 70 d.C. I giudeocristiani non partecipano alla guerra e lasciano Gerusalemme per riparare a Pella, una città della Decapoli (Eusebio, H.E. 1, 5). La posizione estremista giudaizzante continuò per un certo periodo tanto che leggiamo nella lettera ai Magnesi (9, 2) di Ignazio di Antiochia, del 107 d.C., la raccomandazione di non vivere più secondo il sabato, cioè alla maniera giudaica, ma secondo la domenica, cioè nella nuova legge del Signore. 

La salvaguardia della fede di Israele passa attraverso una stretta ortodossia e i farisei, l’unico gruppo organizzato di giudei ancora esistente, impongono un irrigidimento delle posizioni nei confronti di chi crede che Gesù sia il Messia. I giudeocristiani vengono così esclusi dalla Sinagoga e dal 90 d.C. i nazareni, così vengono chiamati allora i cristiani dagli ebrei, vengono inseriti nell’elenco delle maledizioni riservate ai minim, cioè gli eretici, nella recita dello sh’moné es’ré, la preghiera mattutina quotidiana. Nascono così gruppi eterodossi che ritengono Gesù solo un profeta e non più il Figlio di Dio, i cosiddetti Ebioniti. 

Questi gruppi credevano in un Gesù visto solo come un semplice uomo e addirittura usavano una versione manipolata del vangelo di Matteo (Ireneo, A. H., 3,11,7; Epifanio, Panarion 13,2 e 14,3). Tertulliano ci informa che tale denominazione proviene da “Ebion”, cioè “povero”, in quanto avevano un pensiero “povero” riguardo a Cristo (De prescriptione haereticorum, 4, 8) ed Epifanio riporta che tali Ebioniti credessero che Gesù apparisse periodicamente sulla terra, evitavano ogni contatto con i pagani e rispettassero ogni purificazione rituale (Panarion, cap. 30). 

L’eresia dei giudaizzanti e degli Ebioniti riguarda proprio il rapporto tra l’Antico ed il Nuovo Testamento. Occorre capire che la Scrittura antica è come un pedagogo a Cristo, la minore età della fede, un pedagogo che, come nell’antichità, insegnava piuttosto a colpi di bastone che con la convinzione. Viceversa il Nuovo Testamento è l’ingresso nella maggiore età della fede, cioè nell’età dell’interiorità e della responsabilità. Cristo è il liberatore e ci da la gioia di sentirci veramente liberi da tutte le pastoie di pratiche esteriori. Gesù smaschera l’ipocrisia dei farisei, richiamando l’interiorità e l’amore che sono alla base della nuova legge (Mt 23, 1-39), supera ogni tabù della legge dichiarando che l’impurità non viene dal di fuori, ma dal cuore (Mc 7, 1-23). L’apertura della Chiesa agli stranieri, ai pagani, sottolinea quella universalità già tracciata dal profeta del trito Isaia, il quale proclama che non ci sono più stranieri nel Regno del Signore (Is 56, 1-7). Una universalità che non può più essere costretta da una circoncisione della carne, ma da una circoncisione del cuore (Rm 2, 25-29). 

Il vangelo è la novità portata da Cristo. Paolo nella lettera ai Romani parla del rapporto con il giudaismo sottolineando che la radice è santa e che noi siamo innestati sulla pianta dell’ebraismo come oleastri. Quindi, se la radice è santa anche i rami saranno santi (Rm 11, 16-17). 

Bibliografia 


G. Acquaviva, “La Chiesa madre di Gerusalemme”, Piemme Casale Monferrato 1994; 
M. Simon e A. Benoît, “Le Judaïsme et le christianisme antique, d'Antiochus Épiphane à Constantin”, Parigi, PUF, 1998; 
R. Diprose, “Il libro degli Atti”, IBE, Roma 1982.

giovedì 14 giugno 2012

Il primato di Pietro nei Vangeli

Vero e proprio punto di scontro per ogni confronto ecumenico tra le varie chiese riformate e quella cattolica è la questione del primato petrino e del ruolo primaziale della Chiesa di Roma. Secondo i non cattolici l’apostolo Pietro non ricevette alcun specifico mandato da Gesù e, conseguentemente, alla Chiesa di Roma, la Chiesa Cattolica, non può essere riconosciuto alcun ruolo preminente di guida dell’intera comunità cristiana. In sostanza viene affermato che non esiste alcuna base scritturale del ruolo primaziale della Chiesa Cattolica. In questo mio articolo riporterò i passi evangelici più noti che, a differenza di quanto affermato dai non cattolici, dimostrano chiaramente come Gesù abbia voluto affidare a Pietro il ruolo specifico di guida dell’intero collegio apostolico. 

Cominciamo col dire che da uno sguardo d’insieme dei vangeli appare subito chiaro che Pietro tra gli apostoli, che compongono un collegio di uguali, è il leader riconosciuto. E’ questo non per le qualità umane di Pietro, ma per le continue indicazioni di Gesù che instaura con lui un rapporto speciale, di tipo pubblico ed ufficiale dandogli autorità nei confronti degli altri apostoli. 

Dai vangeli traspare chiaramente tale ruolo preminente di Pietro, infatti l’apostolo è quello di gran lunga più menzionato (195 volte tra i vangeli e gli Atti, Giovanni, il secondo, solo 29 volte) e compare sempre al primo posto in tutti gli elenchi degli apostoli. Tali elenchi si trovano in Matteo (10, 2-4), dove addirittura è chiamato il “primo”, Marco (3, 16-19), Luca (6, 13-16) e negli Atti (1, 13). 

Il brano classico del primato petrino è certamente Matteo 16, 17-19 che riporto: 

Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch'io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'Ades non la potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli»”. (ED. Nuova Riveduta). 

La chiarezza di queste parole sono tali che molti hanno provato a contestarle in ogni modo arrivando perfino ad ipotizzare un’interpolazione nel II secolo (A. Resch, J. Schnitzer, J. Grill, A. Harnack, ecc.). Questa tesi è però del tutto insostenibile in quanto il brano è contenuto in tutti i codici più antichi ed in tantissime citazioni ed allusioni in scritti precedenti, come il Vangelo degli Ebrei (100 d.C.), il Pastore di Erma (140 d.C.), in Giustino (150 d.C.) ed Origene (200 d.C.). 

Una critica diffusa dai non cattolici e ripresa dai Testimoni di Geova si basa su una assurda interpretazione secondo la quale la “roccia” di cui qui si parla sarebbe Gesù, non Pietro. Certamente Gesù, in molti passi biblici viene detto “fondamento” (1 Cor 3, 11) e “pietra angolare” (Mt 21, 42 e altri), ma ciò non toglie che lo stesso Gesù possa costituire come roccia della sua Chiesa in senso secondario e vicario Pietro. Ma ciò che non convince di tale interpretazione è la mancanza di logica nelle parole di Gesù. Che senso avrebbe cambiare il nome a Simone in Pietro (Kephas, cioè roccia) se poi Pietro non avrebbe dovuto svolgere la missione significata dal nome? Per la mentalità ebraica il nome di una persona ne indica la missione, infatti anche in altre parti della Scrittura assistiamo a cambiamenti di nome proprio per significare una specifica missione. Ad esempio Abram viene chiamato Abraham, cioè da “padre eccelso” a “padre dei popoli” perché da lui avrebbero avuto origine molti popoli, oppure Giacobbe che viene chiamato Israele, cioè da “soppiantatore” a “colui che lotta con Dio” per indicare il coraggio e la forza che doveva dimostrare nelle grandi difficoltà della vita. E poi è assurdo pensare che Gesù si sia rivolto a Pietro per indicargli una missione per poi riferirsi a se stesso. Non avrebbe alcun senso! 

In realtà questo passo di Matteo usa tre metafore di stile tipicamente semitico: la roccia, le chiavi e l’azione del legare e sciogliere. 

Pietro è roccia (infatti Kephas significa proprio roccia da fondamento) perché è il fondamento della Chiesa. Come le fondamenta sono il principio dell’unità e della stabilità di un edificio, così Pietro è il principio dell’unità e della stabilità della Chiesa. 

A Pietro vengono date le chiavi in quanto simbolo di potere ed autorità, Gesù affida all’apostolo un compito, quello di guidare la Sua Chiesa. Da notare la frase al futuro “A te darò…”, cioè il compito di Pietro inizia da quando Gesù lascerà questa terra per salire al Padre. 

Infine, ancora più precisa è la promessa contenuta nelle parole “legare e sciogliere”. Questa espressione (in ebraico “hasàr” e “scherà”) è tipicamente rabbinica ed indica l’azione di dichiarare proibito o lecito con autorità magisteriale, di imporre o togliere un obbligo. “Sciogliere” significa dichiarare “lecito” e “legare” dichiarare “illecito” (Strack – Billerbeck, “Kommentar zum N.T. aus Talmud und Midrash, I, Das Evangelium nach Matthäus"). 

Gesù, quindi, ha voluto dare a Pietro e a tutti gli apostoli collegialmente (Mt 18, 18) l’autorità di dichiarare se una cosa è lecita o illecita e tale sentenza viene ratificata nei cieli, cioè da Dio stesso che assiste il suo servo in modo che non siano mai in contrasto con la verità e con il bene. 

Un altro passo proprio del vangelo di Luca è strettamente legato al primato di Pietro ed è ambientato nei discorsi profetici che Gesù pronuncia alla fine dell’ultima Cena e che riguardano la sua imminente passione e la defezione degli apostoli: 

Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31, ED. CEI). 

Nonostante la sua debolezza umana e la caduta di fronte alla tentazione di Satana, Pietro avrà il compito di “confermare” i fratelli nella Chiesa. Questo testo si colloca tra la promessa di Cesarea di Filippo, vista prima, e il conferimento del primato che avverrà dopo la Resurrezione sulle sponde del lago di Gennesaret. Pietro come uomo potrà anche vacillare e sbagliare, potrà anche vigliaccamente rinnegare Gesù, ma la sua fede, quella espressa a Cesarea di Filippo, non potrà mai venire meno. Tutto ciò per espressa volontà di Gesù, della sua preghiera di efficacia infallibile. Pietro dovrà “confermare” (in greco “στηρισον”, stèrison, la forma verbale è attivo, imperativo aoristo I°, cioè dare inizio ad una nuova azione), cioè rendere saldi nella fede tutti i fratelli, ossia il ruolo del capo della Chiesa. 

Infine un terzo passo, riportato dal vangelo di Giovanni, dove abbiamo il conferimento, direi “ufficiale”, del primato a Pietro: 

Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore»” (Gv 21, 15-17, ED. Nuova Riveduta). 

E’ il compimento della promessa che Gesù aveva fatto a Cesarea di Filippo (Mt 16, 17-19) di conferire a Pietro l’ufficio di “pastore” (“pasci le mie pecore”) del gregge di Cristo. Tale ufficio equivale a governare e, siccome il gregge indica la Chiesa di Cristo, come indica Paolo agli anziani di Efeso (Atti 20, 28), è chiaro che viene conferito a Pietro l’ufficio di governare la Chiesa. 

La triplice ripetizione di tale conferimento certamente rimanda al triplice rinnegamento di Pietro, ma è soprattutto una formula tutta orientale per indicare solennemente il diritto conferito, tale formula si usava per dare solidità e valore assoluto a ciò che si pronuncia (P. Gaechter, “Das dreifache Pasce oves meas” in: Zeitschrift fur katholische Theologie, 69, 1947). 

I vangeli riportano altre importanti indicazioni su come Pietro fosse considerato la guida del gruppo dei dodici apostoli, ma credo che i tre passi che ho riportato tolgano ogni dubbio sulla volontà di Gesù di voler affidare alla fede professata da Pietro il ruolo, sulla terra, di roccia stabile affinché la Sua Chiesa resti per sempre salda nella Verità. 


Bibliografia 

G. Falbo, “Il primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli” Coletti, Roma 1989; 
P. Touilleux, “La Chiesa nella Bibbia”, ED. Paoline, 1971; 
R. Martinelli, “Primato a Pietro. Come e quando Cristo glielo affida?”, 2011.