mercoledì 26 settembre 2012

I cristiani e la politica

Durante l’ultima udienza concessa da Benedetto XVI a Castel Gandolfo ai partecipanti all’incontro dell’Internazionale Democratico-Cristiana, organizzazione guidata dal leader Udc Pier Ferdinando Casini e che rappresenta oltre cento partiti politici, il papa ha invitato i cristiani a impegnarsi in politica senza “flessioni o ripiegamenti”.

Prendendo spunto dalle gravi conseguenze della crisi economica il Santo Padre ha invitato i politici cristiani ad affrontare la grave situazione in modo “fiducioso e non rassegnato”, facendo in modo da non “limitarsi a rispondere alle urgenze di una logica di mercato”, ma ponendo al primo posto, come valore “imprescindibile”, la “ricerca del bene comune”. Tra tali valori “imprescindibili” c’è innanzitutto il “rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale, con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica”, impegno primario per ogni politico cristiano.

La reazione laicista, ovviamente, non si è lasciata attendere. Per il laicisti il richiamo del papa al rispetto dei valori fondamentali è ingerenza politica (ad esempio vedi qui), secondo loro la Chiesa non deve intromettersi negli affari interni di uno stato, specie se laico. Ma io mi chiedo: i valori fondamentali, su cui si fonda la nostra società, sono un affare interno di uno stato o non, piuttosto, il patrimonio di ogni uomo? Richiamare le coscienze al loro rispetto, come può essere considerato un atto d’ingerenza politica? 

Ma la pretesa più assurda è che i politici cristiani, secondo i laicisti, non dovrebbero seguire le raccomandazioni del papa, perché si tratterebbe di un’obbedienza ad un re straniero e perché le loro decisioni influirebbero anche sulla vita dei non credenti. L’unica morale ammessa per lo stato, quindi, deve essere quella laica, cioè ognuno è “libero” di fare quello che gli pare, di fatto l’inesistenza di una morale.

Ma come si può pretendere che un politico eletto rinneghi il proprio mandato? Che senso della democrazia è mai questo? La mentalità laicista è sempre la stessa, si traveste da democrazia, ma propugna sempre la prevaricazione a suo vantaggio.

giovedì 20 settembre 2012

La stupidità di certa satira laicista

Mentre nel mondo islamico è ancora forte il clima di protesta contro il film americano "blasfemo” sull’Islam, proteste che hanno portato ad incredibili e gravissimi episodi di violenza, il settimanale satirico di sinistra francese, Charlie Hebdo, ha pensato bene di gettare benzina sul fuoco con un’ulteriore provocazione anti-islamica. 

La pubblicazione di alcune vignette in cui viene messo alla berlina il profeta Maometto ha scatenato una recrudescenza della protesta islamica al punto che il governo di Parigi ha annunciato l’intenzione di chiudere tutte le ambasciate, i consolati e le scuole francesi in una ventina di paesi islamici. Al Qaeda ha ovviamente sfruttato la circostanza per minacciare la Francia di uccidere tutti gli ostaggi francesi in loro mano. 

Posto che la reazione violenta e spropositata degli islamici non ha assolutamente alcuna giustificazione e che è da condannare senza riserve, mi chiedo che utilità possa avere una satira del genere. Il laico presidente francese Hollande ha dichiarato che la libertà di espressione non deve avere limiti, ma pubblicare una vignetta volgare ed offensiva della fede di milioni di persone è veramente l’esercizio di una libertà d’espressione? Che concezione ha il laicismo nei confronti della satira? Offendere e creare odio? Lo scopo della satira dovrebbe essere quello di far pensare, crescere, suscitare il confronto, non di fomentare la contrapposizione violenta. 

Offendere il sacro è sempre esercizio d’inciviltà e dimostrazione di avere ben pochi argomenti da proporre.

domenica 16 settembre 2012

Gesù e il pesce

Nella spasmodica ricerca di prove che documentino una dipendenza del cristianesimo da culti preesistenti pagani, la subcultura laicista non esita a affidarsi a testi di scarsa o nulla affidabilità storica. E’ questo il caso dell’ormai famoso testo, diffusissimo in internet, “The Christ Conspiracy” dell’autrice statunitense D. M. Murdock, meglio conosciuta con lo pseudonimo di AcharyaS. 

Tra le sciocchezze antistoriche che vi si possono leggere spicca l’affermazione secondo la quale il fatto che Gesù sia stato associato dalle primitive comunità cristiane alla figura del pesce indicherebbe un collegamento tra il cristianesimo ed il paganesimo. Nelle catacombe cristiane, nei corredi ed ornamenti liturgici cristiani è, infatti, sempre presente la figura del pesce per rappresentare il Cristo. Secondo AcharyaS siccome la figura del pesce richiama decisamente l’età astrologica dei Pesci, Gesù non sarebbe altro che “l’Avatar solare dell’Era dei Pesci” e, quindi, una prova chiara della sopravvivenza dei culti primitivi nel nascente cristianesimo. 

Questa avventata teoria, presentata come una certezza assoluta, non si basa su nessuna prova certa. Non c’è, infatti, nessuna analogia tra i culti cristiani e l’astrologia. AcharyaS, tra l’altro, non fornisce alcun documento o fonte dove risulti che già nel I secolo d.C. l’era astrologica dei pesci fosse simboleggiata da un’avatar particolare. Molto probabilmente AcharyaS trae queste informazioni fantastiche da un sottofondo “New age”, molto forte negli Stati Uniti, dove esoteristi ed astrologi, come, ad esempio, i noti Alice e Foster Bailey, hanno diffuso una sorta di astrologia fondendo esoterismo con elementi presi dal Cristianesimo, dall’Induismo e dal Buddismo. 

Le fantasie di AcharyaS sono facilmente smentite dal fatto che nel I secolo le costellazioni erano semplicemente dei gruppi di stelle e non erano definiti i confini che separavano le regioni dello zodiaco. La divisione della volta celeste in dodici settori, 12 archi di 30 gradi misurati dall’equinozio di primavera, è avvenuta solo nel XIX secolo, si tratta, quindi, di una convenzione moderna stabilita dall’Unione Astronomica Internazionale. Affermare che Gesù fosse l’avatar dell’era dei pesci non ha, quindi, alcun senso in quanto gli ipotetici “cospiratori” cristiani non potevano conoscere la suddivisione moderna dello Zodiaco (Noel Swerdlow, professore di Astronomia ed Astrologia presso l’Università di Chicago, in “Una confutazione del libro di AcharyaS: La cospirazione di Cristo” – Mike Icona, Editori Truth Quest 2001). 

Inoltre nelle catacombe cristiane del II e III secolo il pesce non è affatto l’unico simbolo di Cristo, quindi viene a anche cadere l’associazione esclusiva tra Gesù e l’era dei pesci. In molti altri modi i Cristiani raffiguravano il Cristo: innanzitutto con il suo monogramma, una “Chi”, sovrapposta ad una “ro”, il quale non era altro che una croce dissimulata, il “Signum Christi” per eccellenza, ma anche con l’àncora, che rappresentava Cristo salvatore, il delfino, Cristo che ci ama, l’agnello, il Cristo redentore, il faro, cioè Cristo vera luce del mondo e l’albero, che simboleggiava Cristo come principio e fine di ogni cosa. 

Il pesce divenne il solenne simbolo di Cristo, che troviamo nelle catacombe fin dal II secolo, non certo per le ridicole motivazioni addotte da AcharyaS, ma in virtù dei racconti dei vangeli. Già Sant'Agostino a commento del brano evangelico di Giovanni che parla del pesce arrostito sulla brace servito da Gesù a sette apostoli sulle sponde del lago di Tiberiade (Gv 21, 9) afferma: “Piscis assus, Christus est”, cioè “il pesce arrostito è Cristo” (Agostino, Trattato su Giovanni, 123, 2). 

Mentre l'uso del pesce in arte pagana era un segno puramente decorativo senza alcun collegamento con la mitologia, il primo riferimento letterario al pesce simbolico ci proviene da Clemente di Alessandria che, verso l’anno 202, raccomanda ai fedeli di incidere la figura del pesce sui loro anelli (Pedagogo, III, xi). Il fatto che Clemente non premette alcuna spiegazione sul significato del simbolo lascia supporre che esso fosse già molto diffuso in Alessandria. Il pesce, quindi, come una sorta di “tessera” di riconoscimento in uso durante le persecuzioni fra i cristiani alessandrini residenti a Roma (R. Mowat “Origine du poisson mystique chezles anciens chrétiens” 1898). 

Tra l’altro è certo che durante le persecuzioni il pesce stilizzato, formato da due curve che partono da uno stesso punto, a sinistra (la "testa"), e che si incrociano sulla destra (la "coda"), fosse un simbolo per potersi riconoscere tra cristiani senza correre rischi di essere scoperti, il disegnare questo simbolo diveniva un sistema di riconoscimento. Quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà, tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono il pesce. Se l'altro completava il segno, i due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l'uno dell'altro. 

Altri dottori della Chiesa, citando i passi della Scrittura che paragonano il mondo al mare e gli uomini ai pesci osservano: “Cristo, novissimus Adam” (1 Cor 15, 45) è il pesce per eccellenza perché “se Cristo non fosse pesce (cioè uomo), non sarebbe risorto dai morti” (Severiano di Gabala – "Sermo in dedicazione pretiosae et vivificae crucis" – Omelie. 408 d.C.). Tertulliano, nel II secolo, per dire che il Battesimo ci fa seguaci di Gesù Cristo, porta la figura del pesce e dell’acqua (De baptismo, 1). Origene, nel III secolo, commentando il vangelo di Matteo (17, 24-27) osserva: “Questo pesce è la figura di colui che noi chiamiamo il pesce che operò il nostro affrancamento dalla legge e dal peccato” (Origene, Commento a Matteo, XIII, 1120). 

Il pesce fin dai tempi più remoti fu, quindi, una professione di cristianità, che si riscontra già nelle iscrizioni del II secolo. Nelle catacombe di san Callisto, nelle cripte di Lucina, a Roma, è stato scoperto il simbolo di un pesce che porta sul dorso il canestro con il pane ed il vino, chiaro richiamo dell’Eucaristia (De Rossi “Spicilegium Solesmense” III, pp 545 – 584). Come anche le famose iscrizioni di Abercio e di Pettorio, sempre del II secolo, che rendono la figura di Cristo eucaristico attraverso l’immagine del “pesce celeste”. Qui il pesce, in greco “ichthys", cioè “ΙΧΘΥΣ”, è un acrostico: Ιησοῦς, Χριστός, Θεoῦ, Υιός, Σωτήρ (Iesùs Cristòs Theù Uiòs Sotèr), cioè “Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore”. 


Bibliogafia 

G.B. De Rossi “Roma sotterranea cristiana” Voll 1-3, Roma1864-1877; 
P. Testini “Archeologia cristiana” Roma 1958; 
A. B. Jenkins, Philip. “Mystics and Messiahs: Cults and New Religions in American History” 2000; 
F. Delaunay “Note sur l’origine et la signification de l’emblème chrétien du poisson” 1880 
P. Kirby "Inscription of Abercius." Early Christian Writings” 2006. 
M. Hassett. "Symbolism of the Fish" The Catholic Encyclopedia. Vol. 6. New York: Robert Appleton Company, 1909. 16 Sept. 2012.

domenica 9 settembre 2012

La morte del cardinale Martini e l'eutanasia: vergogna laicista

E’ appena passata la forte emozione per la scomparsa del cardinale Carlo Maria Martini, un vero servo di Dio, mente illuminata e grande biblista, che resta ancora, come uno stomachevole fastidio, l’eco dell’indegna gazzarra alzata dalla propaganda laicista sul tema dell’eutanasia. 

Anche in un tale momento, di fronte al dolore di tutta la Chiesa per tale perdita, mentre ancora il cardinale Martini era in fin di vita, la macchina mediatica laicista non ha perso l’occasione per attaccare i cristiani accusandoli di incoerenza: per i poveri Eluana Englaro e Piergiorgio Welby bisognava prolungare la loro sofferenza, mentre per il cardinale si può scegliere di porre fine alla propria vita perché l’uomo non può ridursi ad un vegetale. 

Tale accusa è talmente meschina e cialtrona che lascia sbigottiti. Come non pensare alla cattiva fede quando in modo così palese viene confusa la pratica dell’eutanasia con quella del rifiuto dell’accanimento terapeutico? Come ha informato il medico personale di Martini, il professor Gianni Pezzoli, il cardinale, all’ultimo stadio della sua malattia, il morbo di Parkinson, già dalla seconda metà di agosto era entrato in una crisi irreversibile. Egli, restato lucido fino alla fine, sapeva bene che gli restava poco tempo da vivere e lo ha trascorso senza presidi sanitari non ordinari. Era in prossimità di una morte certa. Le cure ordinarie sono state somministrate, ma non le straordinarie, cioè non c’è stato accanimento terapeutico, pratica che è contro la dottrina cristiana sul fine vita. 

Per Eluana Englaro non fu così, la ragazza si trovava in uno stato vegetativo persistente da diciassette anni, ma non era affatto in prossimità della morte, era in condizioni stazionarie, in una situazione clinica completamente diversa dalle fasi terminali del morbo di Parkinson. Stessa situazione per Peirgiorgio Welby affetto da distrofia muscolare di Becker, una malattia a progressione lenta. Dopo quarantacinque anni ha chiesto che gli venisse tolto il respiratore, ma non si trovava in imminente pericolo di vita. La scelta di Welby fu quella di darsi volontariamente la morte perché non voleva più vivere in quelle condizioni e non la richiesta di non praticagli dei trattamenti perché accettava il fatto che la morte era prossima ed inevitabile, come nel caso del cardinale Martini. 

La morte del Cardinale Martini rappresenta l’accettazione della vita fino alla sua naturale conclusione secondo quella verità antropologica e quei principi etici che il Magistero cattolico insegna.