mercoledì 31 dicembre 2014

Buon 2015!!!


La fine dell'anno quasi coincide con l'anniversario della nascita del mio blog che vide, infatti, la pubblicazione del suo primo post il 27 dicembre del 2011. Sono, quindi, tre anni che scrivo sulla rete e devo dire di non essermi ancora stancato. La mia "piccola" missione resta sempre quella di intervenire in difesa della mia fede religiosa dagli attacchi del laicismo prevaricatore che con menzogne e prepotenza cerca di minare le basi del cristianesimo e del pensare cristiano e cattolico. Ovviamente non è stata e non sarà mai una difesa "tout court", fare apologetica non significa non guardare in faccia alla realtà, ma cercare di capire, con onestà e senza pregiudizi, come storicamente siano andate effettivamente le cose.


Il blog continua ad essere discretamente letto, o solo semplicemente visitato, anche se si è avuta una certa flessione, del 3,5%, registrando circa 16800 visite ed anche per i commenti (680), con un 30% in meno. Ma sono dati che riporto unicamente per statistica, a me interessa solamente essere una voce cristiana leale ed onesta alternativa alla malainformazione laicista. 

Non mi resta ora che augurare a tutti i lettori del blog un sereno e felice anno nuovo!!!
 

venerdì 19 dicembre 2014

Le contraddizioni laiciste sull'embrione



Ieri la Corte di Giustizia Europea, con una sentenza, ha stabilito che un ovulo umano non fecondato non è un embrione perché non ha la capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano. Questa decisione ribalta una sentenza del 2011 che aveva vietato la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche che prevedono l'utilizzazione di embrioni umani, anche quelli derivati per partenogenesi, a fini industriali o commerciali. Secondo la Corte di Giustizia, invece, un ovulo attivato per partenogenesi, che abbia iniziato un processo di sviluppo, non va considerato come un embrione umano.

Alla fine ci siamo arrivati, adesso anche il materiale umano, all'origine della vita, è ridotto alla stregua di una merce che può essere brevettata ed avviata alla commercializzazione, oggetto di compravendita. Certamente un ovulo non fecondato non costituisce ancora un individuo umano, ma questa sentenza non è altro che un nuovo passo verso un sistema di pensiero unico in cui la vita umana non è più considerata un valore fondamentale e che renderà accettabile e legale la possibilità del suo commercio. D'altronde questa folle visione laicista non fa altro che considerare la commercializzazione degli ovuli come la logica conseguenza dell'affitto degli uteri, un piano inclinato che non potrà non condurci verso la catastrofe. 

La Corte Europea si aggrappa al puerile pretesto che l'ovulo non fecondato non può ritenersi un embrione, in modo da rendere accettabile la sua commercializzazione. Peccato, però che tale "delicatezza" non risparmi all'embrione umano ben altre sciagure. E' una contraddizione tragicamente ridicola, tipicamente laicista, di considerare moralmente inaccettabile la commercializzazione dell'embrione, ma tranquillamente accettabile la sua uccisione con l'aborto.

martedì 9 dicembre 2014

La "rieducazione" laicista.


barilla-scuse
Vi ricordate la vicenda che l'anno scorso vide l'azienda alimentare Barilla al centro di una furiosa polemica con il mondo delle associazioni gay? Il povero Guido Barilla, per aver solamente esercitato una scelta imprenditoriale aziendale, senza offendere nessuno, subì un pesante attacco mediatico seguito da un boicottaggio selvaggio di tutti i suoi prodotti al punto che fu costretto a ritrattare ogni sua affermazione e a porgere umilianti scuse.
E' passato solo un anno, ma la situazione è ora completamente cambiata al punto che l'azienda emiliana ha ottenuto il massimo del punteggio nella classifica delle imprese "gay-friendly" stilata da Human Rights Campaign. La notizia è stata commentata anche dal Washington Post che ha sottolineato la profonda trasformazione: "Da paria a testimonial dei diritti gay".
La Barilla ha fatto una marcia indietro radicale non limitandosi solo alle scuse, ma concedendo benefit sanitari per i dipendenti transgender ed omosessuali e sostenendo la causa dei diritti gay. La "rieducazione"della Barilla imposta dal boicottaggio organizzato dal movimento Lgbt internazionale ha funzionato alla perfezione ed ora l'azienda italiana è stata doverosamente gratificata. Tutto ciò dimostra, ancora una volta, come la lobby gay internazionale ormai controlli pesantemente il mercato globale e come siano posizioni "tossiche" tutte quelle non ostentatamente "gay-friendly". I boicottaggi messi in atto dalla lobby gay sono in grado di coinvolgere gran parte dell'opinione pubblica mondiale risultando delle operazioni devastanti capaci di danneggiare pesantemente l'immagine pubblica di una società distruggendo, così, la loro reputazione. Tutto ciò, alla fine, si traduce in un danno economico che nessuna azienda è in grado di sopportare. 

C'è poco da fare: o ci si allinea col pensiero dominante, oppure si viene eliminati. E' questo il modo di procedere del laicismo.




domenica 30 novembre 2014

Magistero e potere politico: l'insidia del monotelismo.


Una critica frequente che viene espressa alla figura evangelica di Gesù è quella di, in fondo, non aver fatto niente di eccezionale: Gesù, essendo Dio, poteva avere tranquillamente la forza di sopportare la passione e permettersi senza tanto sforzo di sovvertire la società ebraica del suo tempo. Questa critica si basa essenzialmente sulla negazione della piena umanità del Cristo. Questa critica non è certo una novità, infatti già nei primi secoli dell’era cristiana questa convinzione fu propria di molte eresie, come quella del monotelismo, molto simile all’apollinarismo che abbiamo visto recentemente.

Il monotelismo fu una eresia che si sviluppò a più riprese in Oriente, agli inizi del settimo secolo, e che aveva come carattere distintivo la negazione della piena umanità del Cristo. Secondo questa eresia in Cristo ci sarebbe stata una sola attività dipendente dalla persona che è divina, quindi ci sarebbe stata solo l’attività divina dovuta da una volontà divina. Risultava difficile concepire la piena umanità del Cristo e, quindi, la presenza del peccato, con la sua santità divina. L’impeccabilità di Cristo non sarebbe tutelata se si fossero avute due volontà, umana e divina, perché una di queste potrebbe essere indipendente dall’altra ed impedire l’unità di Cristo e, di conseguenza, la sua santità.

Questi modi di pensare erano fatti con le migliori intenzioni per conciliare le visioni opposte nel campo teologico di allora. Furono essenzialmente dei tentativi di trovare un compromesso tra il monofisismo, che vedremo più avanti, che ancora si trascinava e l’ortodosso difisismo proclamato nel concilio di Calcedonia del 451. Come iniziatore di questo movimento è ricordato Sergio, patriarca di Costantinopoli dal 610 al 638, che parla di attività “energheia”, e non di natura, in Cristo. Per Sergio, Cristo ha una sola attività, quindi, pur avendo due nature, umana e divina, è sempre lo stesso “Logos” che opera attraverso una sola attività.

A partire dal 633 Sergio fu avversato da Sofronio, patriarca di Gerusalemme, e, soprattutto, da un monaco chiamato Massimo il confessore, uno dei grandi padri della Chiesa orientale. Come è sempre stato in uso nella cristianità, per prevalere su tali opposizioni, Sergio cercò l'accordo col vescovo di Roma, papa Onorio, che, preoccupato dalla piega troppo polemica che andava assumendo la questione, per amore della pace, optò per una soluzione di compromesso dando ragione a Sergio pur riconoscendo l’ortodossia di Sofronio. Questa approvazione di Onorio a Sergio, un eretico che sarà condannato dal terzo concilio di Costantinopoli nel 680, divenne, in seguito, l’argomento principale di coloro che si opposero al dogma dell’infallibilità papale formulato nel Concilio Vaticano I del 1870. In realtà non ci fu l'avallo di nessuna posizione eretica, la posizione di papa Onorio fu pienamente ortodossa, così come spiega teologicamente il suo successore papa Giovanni IV nel 641 nella lettera indirizzata all’imperatore “Apologia pro Honorio papa”. La risposta accondiscendente di papa Onorio a Sergio fu dovuta essenzialmente al fatto che a prendere le parti di quest’ultimo fu l’imperatore in persona, Eraclio, che per tenere unito il suo impero diviso tra ortodossi calcedoniani e monofisiti aveva pensato alla soluzione a metà strada di Sergio. L’imperatore, con due editti, tra i quali l’Ektesis del 638 scritto dallo stesso Sergio, aveva imposto che Cristo dovesse avere una sola volontà chiamata “ipostatica”. Anche il successore di Eraclio, Costante II, fu dello stesso avviso con un editto dello stesso tono chiamato “Typos”. La risposta di Onorio fu, quindi, pesantemente influenzata dall’ingerenza dell’imperatore e non può essere utilizzata per negare il dogma dell’infallibilità.

La Chiesa di Roma, visto il perdurare di questa posizione eretica da parte dell’imperatore, così come si era pronunciata contro il monotelismo nel 641 con papa Giovanni IV, ribadisce la sua posizione nel 649 quando papa Martino I, con un Concilio convocato in Laterano di centoventicinque vescovi, condanna nuovamente il monotelismo e i decreti imperiali. La reazione di Costante II fu feroce, Martino venne arrestato, sottoposto ad una prigionia devastante e al dileggio pubblico, infine processato e spedito in esilio in Crimea dove dopo due anni, nel 655, morì martire. Anche Massimo il Confessore fu seviziato, gli furono tagliate la lingua e la mano destra, ed esiliato nel 662.

La posizione eroica del vescovo di Roma a difesa dell’ortodossia portò, infine, i suoi frutti. Il nuovo imperatore di Costantinopoli, Costantino IV, si riconciliò con papa Agatone e insieme convocarono un nuovo Concilio, il Costantinopolitano III, dal 680 al 681, che condannò definitivamente il monotelismo.

Come abbiamo già visto per l’apollinarismo, anche il monotelismo è chiaramente antiscritturale. Gesù non aveva solo la volontà divina, ma anche quella umana in quanto la sua incarnazione fu perfetta. Per amore verso gli uomini Egli volle assumere pienamente, tranne che nel peccato, la condizione umana. La lettera agli Ebrei dice chiaramente che la volontà umana di Cristo accetta la volontà del Padre per compiere il sacrificio di salvezza (Eb 10, 1-10), e Giovanni nel suo vangelo testimonia come Gesù sia venuto per fare la volontà del Padre e non quella sua. Queste affermazioni delle due volontà in Cristo, che si ritrovano frequentemente in tutto il vangelo dimostrano come la fede cattolica sia conforme alla fede apostolica originaria. E questo, spesso, passando per il martirio.

Bibliografia 

O. Bertolini, "Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi", Bologna 1941; 
G.P. Bognetti, "I rapporti etico-politici fra Oriente e Occidente dal secolo V al secolo VIII", in Id., L’età longobarda, IV, Milano 1968;
P.Corsi, "La politica italiana di Costante II, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo". Atti del Convegno 1986, II, Spoleto 1988.

venerdì 21 novembre 2014

Chiesa, vangelo e violenza: un rapporto difficile.

Una delle accuse più ricorrenti che vengono rivolte alla Chiesa Cattolica è quella di aver fatto molte volte ricorso, lungo la sua millenaria storia, alla violenza. Tra gli esempi più eclatanti ci sono senza dubbio l’operato dell’inquisizione, la chiamata alla guerra santa, le crociate e così via. Come possono conciliarsi tali comportamenti con lo spirito "pacifico" del vangelo? Nelle loro argomentazioni i laicisti tornano spesso ad invocare la presunta incompatibilità tra il precetto evangelico del perdono e della tolleranza con le azioni violente messe in atto dalla Chiesa per contrastare il diffondersi delle eresie e, in genere, per gestire le relazioni con i “dissidenti” e “avversari”. A loro modo di vedere la Chiesa, in un confronto con l’operato dei regimi ateistici ed, in genere, con le violenze perpetrate dai sistemi laicisti, avrebbe una colpa maggiore perché sarebbe stata in aperta e grave contraddizione con quel messaggio evangelico che si è sempre vantata di rappresentare. 

Per rispondere ad una tale accusa penso sia importante, innanzitutto, fissare un concetto basilare. Tutti conosciamo il famoso dettato evangelico del “porgere l’altra guancia” (Mt 5, 39), ma pochi, nel mondo laicista, conoscono il giusto senso di quelle parole. Gesù non ha mai insegnato ai suoi discepoli, e, quindi, alla Chiesa, di subire passivamente la violenza, ma di superare l’antica legge del taglione opponendo alla vendetta il perdono. Ciò non significa che non sia lecito difendersi e che occorra avallare l’ingiustizia. L’adesione allo spirito del Vangelo non sopprime in noi il diritto alla legittima difesa e nel prossimo il diritto ad essere da noi amato, protetto e difeso contro tutte le minacce del male. E, ciò, a maggior ragione, vale anche per lo Stato che deve tutelare la vita, l’onore, i beni, la libertà dei cittadini contro ogni ingiusto aggressore, ricorrendo, se necessario, anche alla forza. In ciò la dottrina di San Paolo esclude ogni dubbio: “I governanti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa il bene [...] Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” (Rm 3, 4). La mansuetudine evangelica non va confusa con la passività e l'arrendevolezza a coloro che vogliono il male del prossimo.

La Chiesa non è solo un’entità spirituale, ma anche una società materiale in cui ogni cristiano trova la sua casa, la sua identità. Tra le sue principali preoccupazioni determinante è la difesa della purezza del messaggio affidatole e la resistenza contro i fermenti dissolutivi che la minacciano, come succede per ogni società, e questo richiede un certo numero di mezzi di controllo. La Chiesa deve offrire ai propri membri, che non sono tutti eroi o scienziati, l’ambiente ideale dove possano fiorire la loro fede e la loro vita cristiana. Perciò, quando alcuni pretendono di chiamarsi cristiani minacciando l’accordo ecclesiale, essa può e deve togliere loro i mezzi per nuocere. Non è, quindi, giusto accusare la Chiesa di repressione ed intolleranza quando si è adoperata per censurare ed ostacolare le minacce portate dalle eresie e per contrastare gli attacchi delle forze ostili, quando ad essere stato messo in pericolo dall’eresia, come ad esempio quella dei catari che fece nascere l’Inquisizione, o dalle forze armate dell’Islam, non è soltanto una ideologia, ma il cemento stesso della società, la scala di valori che regola da secoli i rapporti all’interno della comunità civile, lo stile di vita forgiato dall’esempio dei santi, che ha modellato, a sua volta, la vita quotidiana, gli scambi economici e i modi di pensare. Ora, se questi valori, in epoche in cui si trovavano condivisi dalla quasi totalità della popolazione, lasciarli saccheggiare significa portare la società all’anarchia o alla distruzione e i fedeli all’abbandono. Si capisce, perciò, che i governanti della società teocratica, solidali con i responsabili della Chiesa, abbiano ritenuto loro dovere conservare la coesione della società attorno a quei valori punendo gli eretici dichiarati, come avrebbero fatto nel caso di incendiari o falsari, e difendendola dagli attacchi degli invasori esterni.

Tutto ciò rende il confronto con gli orrori dei regimi laicisti assolutamente improponibile, sia per l’enorme sproporzione tra le dimensioni dei due fenomeni, basta solo pensare all’incredibile differenza tra i numeri delle vittime, ma soprattutto perché le dittature e le rivoluzioni laiciste miravano a distruggere un sistema di valori per imporne un altro, non unanimemente condiviso, attuando l’intento con azioni invasive e prevaricatrici particolarmente violente e repressive. Non si trattò mai di un’azione di legittima difesa, ma di una vera e propria azione di sopraffazione messa in atto, il più delle volte, da un limitato gruppo di pressione nei confronti della maggioranza. Inoltre i contrasti che videro protagonista la Chiesa non ebbero mai i caratteri di ostinatezza che si riscontrano nei conflitti ideologici del XX secolo. Essi rimanevano limitati nel tempo e nello spazio e si esaurivano subito dopo la fiammata che si era accesa in seguito ad una crisi particolarmente grave avvenuta in un punto della cristianità. I papi, quando anch’essi stessi avevano intrapreso la repressione cercarono sempre di moderare la procedura e di evitare che si scadesse in un volgare regolamento di conti. E’ curioso scoprire che nessun santo e condannati di quei tempi sollevò obiezioni contro la pratica dell’Inquisizione, anche se, per conto suo, usava metodi ben diversi dalla forza. Forse oggi la nostra sensibilità ne è scandalizzata solo perché abbiamo perso la consapevolezza della posta allora in gioco.

La Chiesa, in quanto società spirituale, non possiede l’uso della forza armata: sarebbe in contraddizione col proprio scopo. Le sole armi di cui dispone sono la scomunica e la censura: essa, ad esempio, può rifiutare il riconoscimento ad un libro o a una dottrina nei quali non riesce a trovare la propria fede; può escludere dalle proprie riunioni quell’individuo che si è posto in contrasto per motivi ideologici o disciplinari e che quindi si è, nel senso autentico della parola, scomunicato (1 Cor 5). Non potendo, quindi, impedire fisicamente, in modo coercitivo, l’attività sovvertitrice dell’ordine sociale, la Chiesa ricorse spesso al braccio secolare, all’autorità statale e, purtroppo, questo determinò soventemente il perpetrarsi di molti abusi (basta pensare alle persecuzioni dei valdesi, ecc.). Certamente è sempre pericoloso scatenare la violenza, anche in nome di una giusta causa. Gli eccessi della repressione provocano l’aumento della resistenza e la coercizione non è mai altro che un ripiego. Le grandi armi del cristianesimo rimangono gli incentivi alla santità, la persuasione, la carità eroica. Il ricorso troppo facile alla repressione rivela, il più delle volte, la perdita di un autentico slancio spirituale.


Bibliografia

A. Brucculeri S. I. ”Moralità della guerra” VI ed., Roma, 1953.
F. Calasso “Medioevo nel diritto” Giuffrè, Milano, 1954.
A.J. e R.W. Carlye “Il pensiero politico medioevale” Laterza, Bari, 1956.
A.Morisi “La guerra nel pensiero cristiano dalle origini alle crociate” Sansoni, Firenze, 1963.
P. Contamine “La guerra nel Medioevo” Bologna, 1986.
R. de Mattei “Guerra santa guerra giusta. Islam e Cristianesimo in guerra” Casale Monferrato, 2002.

mercoledì 5 novembre 2014

Fanatismo o guerra santa?


E' tragica notizia di questi giorni la barbara uccisione di cristiani nei paesi islamici. Questa volta si tratta di una coppia di coniugi che accusata di "blasfemia" per aver bruciato delle pagine del Corano, accusa tutta da dimostrare, sono stati sequestrati, torturati per due giorni ed infine spinti in una fornace e bruciati vivi da una folla di esaltati di oltre 400 persone. Il fatto è accaduto in Pakistan, a sud della grande città di Lahore, nel Punjab vicino al confine con l'India. 

Nonostante il Pakistan si professi una democrazia evoluta dove le minoranza religiose dovrebbero essere rispettate, siamo di fronte all'ennesimo misfatto perpetrato con la copertura della famigerata legge contro la blasfemia che con la scusa della protezione dell'Islam vengono di fatto soppresse tali minoranze, scomode ai partiti islamici. Con le due vittime di oggi, a partire dal 1990 sono almeno 60 gli omicidi di persone etichettate come “blasfeme”, secondo dati diffusi dal Centro per la ricerca e gli studi di sicurezza di Islamabad. 

Questa volta, però, le modalità di tale omicidio lasciano pensare ad un qualcosa di più che un semplice gesto di qualche invasato. A torturare per ben due giorni e a spingere i due poveretti nella fornace, senza che si sia avuto alcun intervento da parte della polizia, non sono stati pochi fanatici esaltati, ma una folla di oltre 400 persone provenienti da ben cinque villaggi della zona. In pratica si è trattato di un vero e proprio richiamo alla "guerra santa", una mobilitazione generale per sopprimere l'elemento cristiano. Eppure il Pakistan dovrebbe essere uno dei paesi islamici più vicini alla democrazia, più vicino ad assomigliare ad un paese civile. Eppure l'odio è stato generale, non si è trattato di un'eccezione, ma della regola.

Di fronte a tali fatti che si ripetono incessantemente in tutti i paesi islamici, diviene sempre più difficile credere all'esistenza di un islam moderato, ad una base tollerante e pacifica. La storia ci ha insegnato come l'Islam prolunghi la visione tipica dell'Antico Testamento secondo cui il Popolo di Dio è, indissolubilmente, una comunità di vita sociale, di destino sociale e di fede religiosa dove sono tassativamente escluse tutte le altre fedi. Il Corano, libro sacro dell'Islam, è insieme legge civile e religiosa. E', quindi, solo un'illusione credere all'esistenza di un Islam pacifico e tollerante, non può esserlo. Può essere solo conquistatore.

     

lunedì 20 ottobre 2014

Il matrimonio non è un diritto della persona

In questi giorni, nel nostro paese, imperversa la discussione circa l’opportunità di una legge che estenda la possibilità di contrarre matrimonio anche tra due persone dello stesso sesso. La propaganda laicista strombazza a piena voce che si tratta di una questione di civiltà e di progresso in quanto si riconoscerebbe un diritto negato. E’ questa, infatti, la motivazione di ogni critica che rivolgono a chi ritiene, invece, che il matrimonio sia solo quello tra un uomo ed una donna. Secondo i laicisti chi si oppone a tale riconoscimento non sarebbe altro che un oscurantista ed un razzista che discriminerebbe le persone omosessuali negando loro il diritto a sposarsi. Questa accusa è stata la giustificazione che, molto poco onorevolmente, i laicisti hanno addotto per scusare le violenze che hanno dovuto subire molti componenti del movimento delle “Sentinelle in Piedi” durante la loro pacifica manifestazione del 5 ottobre scorso. 

Ma esiste realmente un diritto fondamentale della persona umana a “contrarre matrimonio”? In Italia, come è noto, non esiste il matrimonio tra persone omosessuali, ed, infatti, proprio per questo il Ministro dell’Interno ha richiamato, qualche giorno fa, tutti i Sindaci ad annullare le registrazioni dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero. Tecnicamente, infatti, un tale matrimonio è un esempio di negozio giuridico inesistente, quindi inammissibile nel nostro diritto, in quanto urta contro il principio del matrimonio come “società naturale”, fondata sull’unione di un uomo e una donna, accolto nell’art. 29 Cost. ed ancor più esplicitamente in tutte le disposizioni legislative ove si parla espressamente di “marito” e “moglie” (ad es., artt. 107, 108, 143, 143 bis, 294 c.c. e così via). Ma i laicisti parlano di discriminazione, della negazione di un diritto fondamentale e per farlo strumentalizzano una sentenza della Corte Costituzionale, la n.245/2011, in cui, per confermare l’ordinanza di remissione da parte del Tribunale di Catania a seguito del diniego da parte dell’ufficiale di stato civile di accordare la possibilità a due individui, un’italiana ed un marocchino irregolarmente soggiornante nel nostro Paese, di contrarre matrimonio, è stata equiparata la libertà di potersi sposare ad un principio fondamentale, in relazione al valore assoluto delle garanzie costituzionali scaturenti dall’art.2 Cost. I laicisti, però, si guardano bene dal far notare che tale pronunciamento si riferisce esclusivamente ad una coppia formata da un uomo ed una donna, cioè una “società naturale” a cui è applicabile la garanzia costituzionale e che per questo non può assumere un valore universale. La libertà di poter contrarre matrimonio non è un diritto fondamentale proprio della persona perché dipende dal possesso o meno di determinati requisiti. Ad esempio, per il nostro Codice Civile non tutti possono sposarsi, infatti non può validamente contrarre matrimonio chi è minorenne; gli ascendenti e i discendenti in linea retta; i fratelli e le sorelle (germani, consanguinei o uterini); lo zio e la nipote, la zia e il nipote; gli affini in linea retta (all’infinito) o collaterale (in secondo grado); l’adottato e i figli dell’adottante; l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato; le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra, e così via. Per essere un diritto fondamentale, le deroghe cominciano ad essere troppe…

I laicisti omettono anche di considerare il fatto che nel 2010 (sentenza n.138) la Corte costituzionale s’interessò, questa volta esplicitamente, delle coppie omosessuali specificando che se, alla luce dell’art.2 Cost. un diritto esiste, alla luce dell’art.29 Cost. tale diritto non è riconducibile all’interno di un diritto fondamentale al matrimonio che rimane riservato alle coppie eterosessuali. Il Giudice Costituzionale in particolare osservava che, vista la mancanza del requisito procreativo, l’apertura dell’istituto matrimoniale agli omosessuali collideva con quanto previsto dall’art.29 Cost..

Alla luce di tutto ciò appare del tutto pretestuosa e sbagliata l’accusa di discriminazione rivolta contro i cattolici e tutti coloro che non ritengono giusto allargare l’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali. Il matrimonio, per la sua natura interpersonale, non è un diritto della persona e per potervi accedere occorre possedere i requisiti affinché tale unione possa essere capace di adempiere alle funzioni tipiche del matrimonio che sono quelle di trasmettere, accogliere ed educare la nuova vita, cioè essere quella struttura sociale alla base della società umana. Se voglio fare il medico, ma non possiedo la laurea in medicina, non posso dirmi discriminato se non mi lasciano esercitare la professione medica.

Viceversa, la coppia omosessuale, a cui bisogna portare il massimo rispetto, è oggettivamente la scelta di non costruire una struttura sociale in grado di trasmettere la vita, quindi non potrà mai essere equiparata al matrimonio ed accedere, così, alla speciale tutela riservata dalla Costituzione.

lunedì 6 ottobre 2014

Il pietoso spettacolo della barbarie laicista.

Ieri, domenica 5 ottobre, è stata la giornata in cui le “sentinelle in piedi” sono tornate in piazza, precisamente in 100 piazze italiane, per dare vita alla loro pacifica protesta nei confronti del disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia. Come è noto si tratta di manifestazioni assolutamente non violente consistenti in una veglia di circa un’ora in cui i manifestanti sono ritti in piedi, in silenzio, mentre leggono un libro. 

Dovunque queste persone, che stavano esercitando il loro diritto costituzionale alla libertà di espressione, secondo i tempi e i modi autorizzati dalle autorità competenti, sono state duramente contestate attraverso insulti e violenze di ogni genere da parte dei rappresentanti del “progresso” e del “libero pensiero”. In particolare a Rovereto (TN) un gruppo di giovani contestatori ha assaltato le sentinelle prendendole a calci e pugni mandando in ospedale una ragazza e un sacerdote, a Bologna i contromanifestanti al grido di “fascisti”, “fascisti” (!) hanno tentato di linciare le sentinelle che si sono salvate solo per la presenza di un cordone di protezione delle forze dell’ordine, a Napoli pacifici partecipanti alla veglia di protesta sono stati insultati e fatto oggetto di lancio di uova, a Pisa la manifestazione delle sentinelle è stata interrotta dopo 35 minuti dalla Digos che non era in grado di garantire l’incolumità dei veglianti, a Torino i veglianti hanno dovuto subire insulti ed ascoltare bestemmie di ogni tipo, ad Aosta i pacifici veglianti sono stati insultati pesantemente, volgari offese che non hanno risparmiato neppure i bambini, e non si è arrivati alla violenza fisica solo per la presenza delle forze dell’ordine. E’ sconfortante, inoltre, registrare l’assoluto silenzio delle fonti d’informazione generaliste e della stampa nazionale che, imbavagliate dal controllo esercitato dalla dittatura mediatica laicista, hanno fatto passare sotto silenzio, oppure minimizzato, questi gravissimi episodi di intolleranza. 

Non che ce ne fosse bisogno, ma questi episodi non fanno altro che confermare la natura antidemocratica, violenta e repressiva delle squadracce laiciste costituite dalle associazioni di sinistra e dalle organizzazioni gay. Purtroppo in Italia se si esprime pubblicamente un pensiero non allineato con quanto viene imposto dalla propaganda laicista si corre il pericolo di venir letteralmente picchiati, proprio come avveniva nell’Italia di 80 anni fa. Sembra assurdo che in un paese che si ritiene democratico bisogna ancora registrare episodi di questo tipo. 

Perché tante reazioni così violente? Come mai questo silenzio, civile e rispettoso, ha scatenato la barbarie? Il rumore, la violenza, l’offesa e la prevaricazione sono le armi tipiche di chi vuole imporre qualcosa, di chi è nemico della democrazia. Di chi è conscio della pochezza dei propri argomenti. 

Il rumore non può imporsi sul rumore, il silenzio si” 
Mahatma Gandi

martedì 30 settembre 2014

L'Apollinarismo, un Cristo non completamente uomo.

L’eresia di cui mi occupo in questo articolo è l’Apollinarismo ed è ancora relativa alla discussione attorno alla natura di Cristo che fu accesa ed appassionata proprio nel IV secolo. L’originale fede apostolica, che considerò sempre Gesù, crocifisso e risorto, come il Figlio di Dio, cioè di natura divina seppur apparso in forma umana, dovette confrontarsi, in questo secolo, con i concetti della filosofia greca. Tra questi quello di anima, che Platone accreditava di due nature: quella sensitiva (psyché) e quella intellettiva (nous). L’Apollinarismo, ritenendo il Verbo troppo superiore alla natura umana, professava un’incarnazione del Verbo con l’assunzione della sola anima sensitiva, senza quella intellettiva e, quindi, di fatto, un’anima non umana.

Questa eresia trae il nome dal suo principale esponente, Apollinare, nato in Libano tra il 305 e il 310, che fu attivo nella città siriana di Laodicea. Teologo erudito e grande sostenitore del credo niceno, fu, assieme all’amico di Atanasio di Alessandria, grande avversario dell’arianesimo al punto che fu addirittura scomunicato nel 325 da Teodoto, vescovo ariano di Laodicea. Un’altra scomunica la ebbe nel 346 da Giorgio di Antiochia, anche lui ariano, nuovo vescovo di Laodicea. In seguito, come capo della fazione nicena, cioè ortodossa, di Laodicea, attorno al 362, fu nominato vescovo della città. Forse perché così combattuto dagli ariani, Apollinre elaborò una dottrina decisamente sbilanciata nel senso opposto arrivando a sostenere che Cristo, incarnandosi, non assunse l’anima umana. Per queste sue idee fu condannato dai sinodi di Roma del 374 e 377, da quello di Alessandria del 378, di Antiochia del 379 e, infine, dal concilio ecumenico di Costantinopoli del 381. Apollinare, per niente impressionato dalle censure, costituì ad Antiochia una comunità con una propria gerarchia ecclesiastica finché l'imperatore Teodosio I (379-395), con una propria ordinanza del 388, lo condannò all'esilio. Morì prima del 392 e la sua scuola teologica confluì nell’ortodossia, accettando la completa umanità di Cristo, oppure nel monofisismo, che si andò sviluppando nel V secolo e che vedremo più avanti.

L’eresia di Apollinare si concentra in due affermazioni: la carne del Cristo è “celeste”, cioè divina e la negazione della parte superiore dell’anima umana, cioè il “nous”, lo spirito. Quindi per Apollinare Cristo non ha un’anima razionale e spirituale come l’uomo, perché altrimenti avrebbe dovuto condividere anche la sua caducità, cioè il peccato e questo sarebbe impossibile. Quindi Cristo avrebbe assunto solo la “carne”, cioè il corpo e l’anima vegetativa, sostituendo quella razionale e spirituale con quella divina. In defintiva Gesù avrebbe avuto due nature, umana e divina, ma solo una volontà, quella divina. Per giustificare tale visione Apollinare citava il versetto del vangelo di Giovanni: “E il verbo si fece carne” (1, 4) intendendo col termine “carne” solo la parte materiale della natura umana. 

A contrastare questa visione, rilevandone i tratti contrari all’originale fede degli apostoli e a quanto riportato dalla Scrittura, furono i padri cappadoci Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa. Questi fecero notare che se l’incarnazione avesse riguardato solo il corpo e una parte dell’anima umana, allora Cristo non sarebbe stato perfettamente uomo perché mancante dell’elemento principale dell’essere umano che è l’anima propria dell’uomo, cioè quella intellettiva. Anche l’interpretazione del versetto 1, 4 del vangelo di Giovanni è sbagliata: infatti la parola greca per “carne”, cioè “sarx”, che traduce l’ebraico “basar”, intende l’uomo nella sua interezza, sottolineando il suo aspetto di debolezza e fragilità tipico dell’intero uomo, corpo ed anima.

L’eresia è, quindi, evidente: se Cristo non ha assunto tutta la natura umana, allora anche la sua redenzione è incompleta. Ciò che non è stato assunto non sarebbe stato redento e questo è impossibile. In realtà Cristo ha assunto anche la volontà umana che in Lui ha convissuto con quella divina. Nell’orto degli ulivi abbiamo la più eclatante manifestazione delle due volontà presenti in Gesù (Mt 26, 36-44), il quale non è venuto per fare la Sua volontà, ma quella del Padre (Gv 6, 37-40). E’ la volontà umana di Cristo, che accetta la volontà del Padre, quella che compie il sacrificio che ci salva (Eb 10, 1-10).


Bibliografia

Guillaume Voisin,” L'Apollinarismo” (Louvain, 1901);
Hans Lietzmann, “Apollinaris von Laodicea und seine Schule” (Tübingen, 1905)

venerdì 19 settembre 2014

Esaltazione della croce: cristianesimo o paganesimo?

Domenica scorsa la Chiesa Cattolica ha celebrato la festa dell’esaltazione della croce di Gesù in ricordo del suo ritrovamento da parte di sant'Elena, la madre dell’imperatore Costantino, avvenuto, secondo la tradizione, il 14 settembre del 320. Istituita nel 335, questa festa è più antica addirittura del Natale di Cristo e molto sentita dai cristiani. Il supplizio della croce è stata la via per la glorificazione di Cristo e la Redenzione del mondo, così questo strumento di morte è divenuto il simbolo e il compendio della religione cristiana: sul suo letto di malattia il santo dei poverelli vissuto nel XV secolo, il veneziano Lorenzo Giustiniani, si riferiva al crocifisso chiamandolo il “Libro”. 


Come è ormai consuetudine anche questa devozione antichissima subisce le feroci critiche da parte della storiografia laicista che falsamente e strumentalmente non perde occasione di denigrare ogni aspetto della fede cristiana. Secondo queste critiche la croce non è altro che un simbolo pagano legato allo scorrere del sole, quindi delle stagioni, sulla Terra. La croce è uno di quei simboli che si ritrovano in tutte le civiltà antiche, da quelle europee passando per quelle asiatiche, sino a quelle africane e dell'area nord-centro e sud americana. La venerazione cristiana della croce non sarebbe altro che la testimonianza di come il cristianesimo sia legato ai culti misterici pagani, un culto che non ha niente a che vedere con l’originario messaggio di Gesù, ma una religione pagana fondata dall’imperatore romano Costantino e da sua madre Elena. Queste discutibili convinzioni sono talmente diffuse e propagandate in rete da una pletora impressionante di siti web laici, magico-esoterici pseudo storici, che inesorabilmente stanno entrando nell’immaginario collettivo. Basta pensare ai guasti causati dal celeberrimo romanzo di Dan Brown, “Il Codice da Vinci”, che non perse occasione di indugiare su tali fantasie: “… Non era la tradizionale croce cristiana con il lungo braccio verticale, ma una croce quadrata, con quattro braccia di uguale lunghezza, che precedeva di quindici secoli il cristianesimo. Quel tipo di croce non aveva nessuno dei connotati cristiani della crocifissione, Langdon si stupiva sempre nel constatare quanto fossero pochi i cristiani che guardando il “crocifisso”, pensavano alla violenta storia di quel simbolo…” (Il Codice da Vinci pag. 173). 

Certamente la croce non è un simbolo esclusivamente cristiano, tantissimi oggetti contrassegnati da croci di diverso disegno e risalenti a periodi molto anteriori all'era cristiana sono stati trovati quasi in ogni parte del mondo antico. Alla croce erano sicuramente collegati moltissime forme di adorazione della natura, ma si trattò di croci pagane che niente hanno a che fare con quella cristiana. Per le primissime comunità cristiane la croce rappresentò sempre, ed esclusivamente, il grande sacrificio di Gesù, cioè la redenzione. Era ed è il simbolo stesso di Gesù “Signum Christi”, che immolatosi per noi ci apre le porte della vita eterna. Egli ha trasformato lo strumento di morte in sorgente di vita, di salvezza e di gioia per il mondo intero. I cristiani hanno sempre raffigurato la croce considerandola un segno di fede e consolazione, infatti le sue prime raffigurazioni le troviamo principalmente nei cimiteri cristiani per consegnare i cari defunti alla salvezza operata da Gesù. All’inizio, per paura delle persecuzioni, la croce veniva raffigurata in forma dissimulata, la ritroviamo, infatti, nelle ancore cruciformi, inserita nei pani eucaristici, ecc. tutti motivi ornamentali che decoravano le pareti di cappelle e loculi nelle catacombe (antichi cimiteri). Anche il monogramma di Cristo, formato dalla sovrapposizione delle prime due lettere greche del nome di Gesù, “chi” e “ro”, nasconde la sagoma di una croce. Non ha, quindi, alcun senso accusare di paganesimo i cristiani che venerano la croce, semplicemente perché ci vedono il simbolo di Cristo crocifisso e risorto, non di certo Il dio Tammuz o il disco solare. 

Deve ritenersi falsa anche l’affermazione secondo la quale la venerazione della croce sia stata introdotta dall’imperatore Costantino e da sua madre Elena. Esistono, infatti, numerose testimonianze archeologiche che dimostrano come i cristiani venerassero la croce ben prima di Costantino. Ad esempio ad Ercolano è possibile osservare una famosissima croce cristiana “latina”, scoperta nel 1947, incisa sulla parete di una casa sepolta dalla famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C., oppure nelle catacombe di S. Priscilla, a Roma, aderente al loculo di una tomba cristiana del II secolo d.C., si possono osservare tre croci “greche” incise su una tegola. Del III secolo, o forse anche prima, è il famoso graffito del Palatino dove, per dileggio verso i cristiani, è raffigurato un uomo crocifisso con la testa d’asino. 

Ovviamente non è neppure vera la notizia che Dan Brown inserisce nel suo romanzo. Le croci raffigurate dai cristiani sono sempre state indifferentemente sia croci “latine” che “greche”. Tra le più famose si può ricordare la cosiddetta “iscrizione di Rufina” nelle catacombe di S. Callisto, a Roma, del III secolo d.C. un’epigrafe che ricorda il nome di una certa Rufina Irene con sotto incisa una croce greca, cioè con i bracci trasversali di uguale dimensione, mentre della stessa epoca, sempre a Roma, si può ammirare nella tomba degli Aurelii un affresco che mostra un personaggio con in mano una croce “latina”. Nel cimitero di Domitilla, sempre a Roma, incisa su una tomba di una fanciulla cristiana di nome Gaudentia, del sec. III d.C., è possibile osservare una bella croce greca. 

Tra i più acerrimi nemici della croce di Cristo occorre certamente annoverare anche i Testimoni di Geova (TdG) i quali tacciano i cristiani di paganesimo affermando che i vangeli non fanno alcun riferimento ad una morte in croce di Cristo, ma che il suo supplizio prevedesse la presenza di un palo. Secondo loro, infatti, il termine greco per croce, cioé “stauròs”, non ha affatto quel significato, ma indica semplicemente un “palo di tortura”. Quindi Gesù sarebbe morto appeso ad un palo e non ad una croce, strumento che, a loro dire, sarebbe solo un rigurgito di paganesimo risalente al IV secolo. C’è, però, da precisare che il termine greco “stauròs” non ha solamente il significato di “palo”, ma anche quello di “croce” (Vocabolario greco-italiano L. Rocci e il Dizionario illustrato greco-italiano di Liddell H.G-Scott R. Le Monnier 1975) e come tutti gli studiosi e gli esegeti della Scrittura sanno i termini assumono il loro significato in base agli autori, ai contesti ed alle circostanze. Siccome è provato che nella Palestina del I secolo i romani adottavano il supplizio della croce (ne parlano ad esempio Plauto nella "Mostellaria" v.56, Plutarco in "An vitiositas ad infelicitatem sufficiciat" 499 D, Luciano di Samosata ne "Il giudizio delle vocali” cap.12., Giuseppe Flavio in Guerra Giudaica e molti altri) non è sbagliato ritenere che per la condanna di Gesù, eseguita dalle guardie del governatore, sia stata applicata la procedura romana, come Gesù aveva profetizzato: "Il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai pagani perché sia schernito flagellato, crocifisso" (Mt 20,18-19). E’, quindi, logico e giusto tradurre quel termine con "croce", tra l'altro occorre anche dire che se gli scrittori ispirati del Nuovo Testamento avessero voluto riferirsi veramente ad un "palo di tortura", avrebbero più correttamente usato la parola "skòlops" che significa proprio "palo" (2 Co 12,7 e nella Settanta Nu 23,55 e Ez 28,24). 

Ma i TdG non demordono, secondo loro, nelle scritture, il termine “skòlops” non indica uno strumento di morte, ma solo un oggetto appuntito come una spina, e per dimostrarlo citano il passo di 2 Cor 12, 7 dove Paolo dice di avere una spina, “skòlops”, nella carne, non un palo. In realtà questo termine significa principalmente "palo" (Dizionario illustrato greco-italiano di Liddell H.G-Scott R. Le Monnier 1975), ma ha anche il significato secondario di “spina”, “scheggia”. In 2 Cor 12, 7 il termine "skòlops" viene comunemente tradotto in questo modo perché tale significato è dettato dal contesto. Infatti l'apostolo Paolo, nel suo linguaggio figurato,non poteva certo avere un palo nella carne. 

I TdG, però, ancora insistono: affermano che nella versione greca dei Settanta, nel tradurre dall’ebraico Deuteronomio 21, 22, dove viene indicata la pratica dell’esposizione dei cadaveri, viene usato il termine “xylon” che significa “legno” e non “croce”. Aggiungono, inoltre, che anche Paolo, in Galati 3, 13, riferendosi a quel passo di Deuteronomio e riferendosi alla morte di Cristo, usa il termine “xylon” e non “stauròs”. Tale argomentazione non ha, però, alcuna consistenza. Quando Paolo richiama Deuteronomio 21, 22 parla di “legno” perché si tratta di alberi, in quanto nell'Israele antico i cadaveri venivano appunto appesi agli alberi. La sua intenzione non è quella di dire che Gesù non fu appeso ad una croce, ma di ribadire come Cristo si sia fatto "maledetto" per la Legge mosaica per superarla. Non è possibile paragonare l'esposizione dei cadaveri dell'Antico Testamento con la crocifissione romana. Gli ebrei, infatti, non utilizzavano la classica croce romana e, soprattutto, appendevano mai uomini vivi. 

Quando nei vangeli si riferisce al supplizio di Cristo la traduzione corretta del termine “stauròs” è “croce” e ciò è dimostrato anche dalle prime versioni latine della Bibbia dove tale termine è sempre tradotto con “crux”, cioè “croce” e mai con “palum”, cioè “palo”. Queste versioni risalgono al 180 d.C. quando il greco era ancora una lingua molto parlata in tutto il bacino del Mediterraneo ed era ancora diffuso l’uso delle crocifissioni. Se il termine “stauròs” avesse indicato un palo, gli scrittori latini avrebbero scritto “palus” in luogo di “crux”. 

In realtà è lo stesso vangelo che sconfessa impietosamente le fragili argomentazioni dei TdG. Il supplizio della croce prevedeva proprio l'innalzamento (= tollere, in latino) del condannato, mentre la condanna al palo, era la flagellazione, senza alcun innalzamento. E’ esattamente il verbo "innalzare" che usa Gesù profetizzando la sua passione: "Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo saprete che Io Sono" (Gv.8,28), ed anche "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo" (Gv. 3,14). Nei vangeli il termine "innalzare" è sinonimo di crocifiggere. Nel vangelo di Matteo è riportato che al di sopra della testa di Gesù suppliziato è posta la motivazione della sua condanna: "al di sopra della sua testa (di Gesù) posero la scritta dell'accusa contro di lui:Questo è Gesù, il re dei giudei" (Mt 27, 37). Se Gesù fosse stato inchiodato ad un palo l'iscrizione sarebbe stata sopra le mani e non sopra la testa. Ed, ancora, nel vangelo di Giovanni leggiamo: “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (Gv 20,24-25). L’espressione “dei chiodi”, in greco "Tòn èlon", al plurale, indica chiaramente una crocifissione con le mani che furono trapassate ciascuna da un chiodo, diversamente dalle mani sovrapposte inchiodate al palo. 

Oltre ai vangeli anche un’infinità di testimonianze letterarie coeve o di poco posteriori ai vangeli descrivono lo strumento di morte di Gesù come una croce. La lettera di Barnaba, composta attorno all’anno 100 d.C., vede nell’immagine di Mosè nel deserto con le braccia tese (Es 17, 8-16) la prefigurazione di Cristo crocifisso (Lettera di Barnaba, 10-12), Ireneo di Lione, vissuto alla fine del II secolo, fa chiaro riferimento ad una croce quando descrive nelle tre dimensioni spaziali la salvezza portata da Cristo (Dimostrazione della predicazione apostolica, 31-34 e Adversus Haereses, V, 17,4), Giustino di Nablus, II secolo d.C., vede Cristo crocifisso nell’agnello pasquale legato a croce e pronto per la cottura (Dialogo con Trifone, 40,3), Ignazio di Antiochia, vissuto tra la fine del primo e l’inizio del secondo secolo, paragona i veri figli di Dio ai rami della croce di cristo (Ai Tralliani, XI,1-2), Minucio Felice (II secolo) inneggia alla croce di Cristo come dimensione spirituale dell’uomo (Ottavio, 29,2-3.6-8), ecc. 

La pia pratica cristiana di esaltare la croce di Cristo è quindi più che giustificata dalla Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa primitiva, rappresenta una forma di rispetto e ringraziamento per quello che Gesù ha fatto, traendo da uno strumento di morte ed umiliazione la grande salvezza e dignità della vita umana. Questo è il grande tesoro che ci dona la fede, che pagani ed ebrei non possono comprendere e accettare “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1 Cor 1, 23). 



Costantino Ruggero “Stenografie dell’anima” Ed. Piemme 1991 Asti; 
William David Davies, Dale C. Allison, “Matthew” 19-28, T&T Clark Ltd, edizione 2004; 
J.P. Isbouts, “Young Jesus: Restoring the "Lost Years of a Social Activist and Religious Dissident”, Sterling Publishing Company 2008; 
R. E. Picirilli, "The Gospel of Mark", Randall House Publications, 2003;

mercoledì 10 settembre 2014

Il laicismo calpesta i diritti dei più deboli


Qualche giorno fa il Tribunale per i minorenni di Roma ha condannato una povera bimba di 5 anni alla certezza della sua pena di non veder mai riconosciuto il suo diritto naturale ad avere un papà. Povera vittima della follia umana di voler manipolare la natura, questa creatura non potrà mai conoscere l'affetto di un padre, la figura salda e amorevole, forte e sicura, che, naturalmente ed adeguatamente, la poteva mettere in comunicazione con l'universo maschile. E' stato deciso che fosse giusto mutilare il suo spirito, minare il suo percorso di crescita sano ed equilibrato. Hanno deciso che sia giusto dimezzare il suo orizzonte affettivo e cognitivo.    

I giudici, applicando cervelloticamente una legge per l'infanzia, accogliendo il ricorso di una coppia di donne omosessuali, hanno permesso l'adozione della bambina anche alla donna non biologicamente madre, affermando di aver agito per il "supremo interesse del minore". Che sfrontata ipocrisia! Quale supremo interesse? Questa sentenza cosa cambia nella vita della bambina? Niente! La poveretta continuerà a vivere con due mamme senza la possibilità di avere un papà. Il "supremo interesse", semmai, sarà quello delle due donne, appoggiate dalla potentissima lobby delle associazioni omosessuali davanti alla quale anche i giudici abbassano doverosamente la testa.
   
Diciamo, piuttosto, che si è voluto forzare le istituzioni democraticamente stabilite. La Costituzione, giustamente, riconosce la famiglia naturale e nessuna legge permette il matrimonio tra persone dello stesso sesso e tanto meno la loro possibilità di una adozione. Com'è stato possibile, quindi, prendere una decisione simile, in aperto contrasto con la Costituzione ed il buon senso? Purtroppo l'avanzata del laicismo in Italia non si cura delle leggi, ma usa il potere giudiziario, ormai asservito, come un'arma per sovvertire l'ordine costituzionale.    

mercoledì 20 agosto 2014

La felicità secondo il laicismo


E' proprio vero che al peggio non c'è mai fine! Come altrimenti considerare l'ultima "bravata" del sistema repressivo messo in piedi dalla spudorata cricca laicista che imperversa in Francia? 

Qualche giorno fa l'autorità francese del settore audiovisivo (Csa) ha censurato un video sulla sindrome di Down "Cara futura mamma”, trasmesso in occasione della giornata mondiale della Trisomia, col quale viene diffuso il messaggio che è possibile essere orgogliosi delle persone con trisomia 21 e che queste possono inserirsi nella società e riuscire nella vita malgrado le difficoltà. In altre parole si può essere felici anche se si aspettano dei figli portatori della sindrome di Down. Per il Csa il video turberebbe la coscienza delle future mamme in quanto lo spot “può apparire ambiguo e non suscitare una adesione spontanea e consensuale”. In altre parole dev'essere imposto il rifiuto di qualsiasi modello non aderente alla visione laicista. Eppure il video assicurava solamente che anche un bambino down può essere felice come tutti gli altri, ma per il sistema laicista francese tutto ciò "non può essere definito come un messaggio di interesse generale", infatti la malattia dev'essere nascosta, celata, come qualcosa che rende indegna la vita. 

Ora, in Francia, i vertici laicisti non decidono solamente quale sia la vita degna di essere vissuta, ma anche chi deve essere felice e come si deve essere felice. Bambini down che ridono felici, che giocano con i loro genitori, che studiano, che lavorano, ma che orrore!!!! Come si fa a diffondere una cosa del genere? E se i genitori, che con l'amniocentesi vengono a sapere che il loro figlio è down, decidessero di non abortire più? Non sia mai!

Sono un numero enorme i bambini vengono continuamente uccisi perché affetti dalla sindrome di Down, bambini che hanno il diritto di vivere, bambini che potrebbero essere felici come tutti gli altri, ma per le menzogne laiciste questa verità è insopportabile e, quindi, va censurata, repressa.




domenica 10 agosto 2014

I guasti dello scientismo laicista

A Roma, dopo un trattamento di fecondazione assistita, una donna resta incinta di due gemelli che, però, hanno il profilo genetico di un’altra coppia. Un fatale errore, una disorganizzazione, ha fatto in modo che i due bambini avessero quatto genitori, due biologici e due genetici. E’ questa l’assurda vicenda accaduta dicembre scorso in un ospedale romano. Ora le due coppie reclamano, ognuna, i bambini e ne è nata una lotta legale che ha visto qualche giorno fa la prima sentenza: i figli “sono” di chi li partorisce. Una contesa di bambini, una vicenda veramente molto triste, che fa venire in mente il famoso episodio biblico con Salomone, il saggio re d’Israele, che propose tagliare in due un bambino conteso tra due donne (1Re 3, 16-28). Ma l’impressione è che nella versione romana dei giorni d’oggi nessuno rinuncerà per amore a favore dell’altra coppia ed è prevedibile una lunga e penosa battaglia legale. 

Siamo di fronte all’ennesimo guasto provocato dalla mentalità laicista scientista che ha prevalicato drammaticamente le leggi naturali per imporre un eccesso di tecnica come se la scienza potesse tutto. La scienza non ha ormai più alcuna etica, viene negata la realtà ontologica dell’uomo, che scade a semplice oggetto da ottenere ad ogni costo. Ci si è inventati il diritto ad avere figli, come se questi fossero degli oggetti da acquisire. La perdita dei punti di riferimento dettati dalle leggi naturali ed il ricorso alla potenza della scienza ci hanno conferito una sensazione di onnipotenza, una sorta di accanimento egoistico ad avere per forza un figlio senza porci alcun problema etico, ed è bastato un errore per renderci delle povere e patetiche vittime della nostra follia.

La sentenza del tribunale, nell’attribuire i gemelli alla coppia biologica, ha sancito che “tra il nascituro e la madre, il legame simbiontico si crea nell’utero. E’ nell’utero materno che la vita si forma e si sviluppa”. Bellissime parole, ma bisognerebbe mettersi d’accordo con i giudici della Corte Costituzionale che non avendo niente in contrario alla fecondazione eterologa, non gliene importa un fico secco di legami simbiontici ed uteri. Il diritto all’autodeterminazione anche tra i giudici? Ognuno fa come gli pare.

mercoledì 30 luglio 2014

Fecondazione eterologa, caos laicista.

La scandalosa sentenza della Corte Costituzionale di aprile scorso, che ha dato l'ennesimo scossone alla legge 40 sulla procreazione assistita rimuovendo il divieto al ricorso della fecondazione eterologa, ha innescato, com'era prevedibile, un ricorso dissennato a tale pratica nel più totale vuoto legislativo. Non esiste, infatti, alcuna regola, niente che tuteli la dignità umana di fronte alla mercificazione dei gameti o che salvaguardi i diritti del concepito. Siamo di fronte agli ennesimi disastri prodotti dalla mentalità laicista che si fa beffe delle regole della democrazia per imporre la sua disperata visione relativistica.

Ovviamente questa situazione da far west, dovuta alla violenza laicista che ha praticamente cancellato una Legge approvata con una regolare maggioranza dal Parlamento e contro la cui abrogazione si è pronunciato anche il popolo italiano in un referendum, e dallo sconsiderato atteggiamento di alcune forze politiche favorevoli alla situazione di indeterminatezza, non poteva che causare disparità ed ingiustizie. La regione Toscana, ad esempio, ha provveduto a darsi un suo regolamento, mentre nel resto d'Italia ognuno può fare quel che vuole. Siamo al paradosso di veder considerati i diritti della persona a seconda di dove si abbia la residenza. 

E' notizia di stamane che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, la quale, è bene ricordare, non è sorretta da alcun consenso elettorale, vorrebbe con un decreto da presentare al Consiglio dei Ministri prima della pausa estiva, tentare un minimo di regolamentazione. Certamente si tratta di un'iniziativa lodevole, ma occorre anche considerare il fatto che una materia così delicata non può essere trattata con un semplice decreto ministeriale. Una materia così importante e complessa deve per forza passare attraverso il democratico confronto parlamentare.Un punto spinoso della vicenda è, ad esempio, il diritto a conoscere le proprie origine che certamente viene a collidere col desiderio di anonimato dei genitori. Inoltre tale decreto vorrebbe mettere la fecondazione eterologa a carico del Servizio sanitario nazionale, facendosi così beffe dell'opinione contraria di milioni di cittadini contrari alla fecondazione eterologa e costretti a sovvenzionarla con il gettito delle loro tasse. 

Siamo alle solite, le forze laiciste premono incessantemente per imporre la loro visione e lo fanno calpestando le più elementari regole della democrazia.

venerdì 11 luglio 2014

Priscillianesimo, irrompe il potere secolare


In questo mio excursus sulle eresie che hanno costellato la storia del cristianesimo è il momento di dedicarsi alla figura di un laico spagnolo che diede origine ad un movimento religioso ascetico eterodosso che persistette per quasi duecento anni prima di sparire dalla storia: Priscilliano e il priscillianesimo. 

Il Priscillianesimo fu una sorta di sincretismo religioso che mescolò elementi manichei con lo gnosticismo docetista e il sabellianismo. I  punti caratterizzanti la sua dottrina furono, quindi, il manicheo disprezzo per natura umana, la negazione gnostica dell’incarnazione e risurrezione di Cristo e la negazione della Trinità tipica del sabellianismo, tratti teologici chiaramente contrari alla Scrittura e lontanissimi dalla rivelazione apostolica. Ma questa eresia è divenuta particolarmente nota per la vicenda del suo massimo esponente Priscilliano che, nell’immaginario collettivo laicista, essendo stato il primo condannato a morte per eresia, è divenuto il simbolo dell’inizio della repressione delle eresie da parte della Chiesa Cattolica. Come vedremo, invece, la tragica fine di Priscilliano non fu affatto una responsabilità della Chiesa, ma un atto del tutto “laico”. 

Sul finire del IV secolo una parte dei fedeli delle chiese della Spagna settentrionale e dell'Aquitania si discostarono dalla massa degli altri fedeli per lasciarsi irretire da filosofie orientali ascetiche. Alcuni vescovi cattolici, come Instanzio, Salviano, Simposio, e un laico, in nostro Priscilliano, si posero a capo del movimento affermando di essere gli eletti e i santi della Chiesa. La setta cominciò ad affermare che il battesimo doveva significare evasione da tutti i valori di questo mondo, quindi veniva praticata l’ascesi totale con il ripudio della vita sociale, astensione anche dai rapporti coniugali e si davano a interpretare la Scrittura avvalendosi di uno speciale dono d'intelligenza spirituale che essi dicevano di possedere in virtù della loro elezione. Anche in campo liturgico si discostavano sempre più dal resto della comunità cristiana con digiuni straordinari per la preparazione alle feste liturgiche, soprattutto la Pasqua e l'Epifania e praticavano l’Eucarestia privatamente sottraendosi alla comunione con il resto della Chiesa. Questa setta, detta dal suo ispiratore, priscillianista, attirò molte persone, non solo tra i nobili, ma anche tra la gente del popolo al punto che in talune contrade il numero dei priscillianisti era maggiore di quello dei cristiani ortodossi. Tutto ciò provocò inevitabilmente dei disordini sia tra i civili che in seno alla Chiesa spagnola al punto che alcuni vescovi come Itacio di Ossonuba e Idacio di Merida si videro costretti ad intervenire per riportare l’ordine e la concordia ricorrendo all’autorità civile che provvide, attraverso un decreto dell’imperatore Graziano, ad esiliare Priscilliano e i vescovi priscillianisti. Da parte religiosa un sinodo tenuto a Saragozza nel 380 condannò anche alcune pratiche dei priscillianisti ritenute eretiche, ma senza emettere condanne ad personam

A questo punto Instanzio, Salviano e Priscilliano cercarono un’approvazione dal vescovo di Roma, senza trovare ascolto né presso papa Damaso, e neppure presso Sant'Ambrogio, a Milano. Nella città lombarda riuscirono, però, a corrompere il magister officiorum imperiale, Macedonio, e ad ottenere da lui un rescritto che li reintegrava nel governo delle loro chiese. Tornati in Spagna, Priscilliano e i vescovi priscillianisti si conquistarono il favore anche del proconsole Volvenzio e indussero questo a incriminare Itacio quale perturbatore della pace sociale e delle chiese. Itacio fu costretto a fuggire nelle Gallie. Nel frattempo, siamo nel 383, si verificò il colpo di stato che diede il governo delle Gallie in mano all'usurpatore Magno Massimo e la fortuna di Priscilliano venne meno. Il nuovo padrone, supplicato da Itacio, ordinò che tutti i vescovi priscillianisti e gli esponenti principali della setta fossero condotti al giudizio di un concilio che si tenne a Bordeaux. Priscilliano, allora si appellò all'imperatore cosicché tutti gli imputati furono trasferiti a Treviri per essere giudicati, stavolta, davanti a un tribunale secolare. Per i priscillianisti non vi fu scampo e nonostante il coraggioso intervento di Sant Martino di Tours e di Sant’Ambrogio e la protesta generale della Chiesa cattolica, con in testa papa Siricio, furono tutti condannati a morte. L’esecuzione portò un tale ondata di sdegno nella Chiesa Cattolica al punto che Itacio ed Idacio furono destituiti. 

La morte di Priscilliano e dei vescovi priscillianisti fu quindi una autonoma azione presa dal potere secolare nei confronti di un pertubatore politico e religioso, nonostante la ferma opposizione della Chiesa. Questa vicenda dimostra ancora una volta come sia falsa la storiografia laicista. 


Fonte 

Sulpicio Severo (Historia Ecclesiastica Hispaniae II, capp. 46-51) 


Bibliografia 

E.-Ch. Babut, "Priscillien", Parigi 1909; 
K. Künstle, "Antipriscilliana", Friburgo in B. 1905.  
A. J. Davids, De Orosio "Sancto Augustino, priscillianistarum adversariis", L'Aia 1930 
E. Buonaiuti, "Instanzio o Priscilliano?", in Rivista di scienza delle religioni, I (1916), p. 41 segg.; 
Z. G. Villada, "Hist. ecles. de España", i, ii, Madrid 1929, pp. 91-145, 357-361; 
M. Niccoli, Il delitto di eresia alla fine del sec. IV in relazione al processo di Priscilliano, in Communications présentées au VIIe Congrès des sciences historiques, I, Varsavia 1933, p. 239 segg.

giovedì 3 luglio 2014

Il Caso Galileo, conflitto tra scienza e chiesa?

Eppur si muove!”. Così avrebbe esclamato con orgoglio Galileo Galilei davanti al tribunale dell’inquisizione che gli aveva imposto l’abiura dell’eliocentrismo. La vicenda del famoso scienziato pisano, che subì dall’inquisizione due processi nel 1616 e nel 1633, è senza dubbio il simbolo più conosciuto e diffuso della supposta repressione che avrebbe operato l’oscurantismo religioso cattolico sul progresso scientifico. Nell’immaginario collettivo Galileo Galilei è il paladino della libertà scientifica e di pensiero che fu incarcerato, torturato ed infine condannato per le sue scoperte. 

Ma Galileo non pronunciò mai quella frase, fu inventata dallo scrittore italiano Giuseppe Baretti che ricostruì la vicenda in salsa anticattolica per il pubblico inglese in un'antologia pubblicata a Londra nel 1757 dal titolo “Italian Library”. Questo fatto è sintomatico di come la vicenda di Galileo sia stata per lungo tempo strumentalizzata da una certa storiografia laicista che per i propri scopi ideologici ha costruito ad arte un clamoroso falso storico. Il caso di Galileo Galilei, ricondotto a giuste proporzioni, non ebbe affatto la piega drammatica che gli si è voluto attribuire. Galileo non fu mai incarcerato e tanto meno torturato, egli godette, per una buona parte della sua esistenza, di stima e simpatia da parte di numerosi alti prelati e di vari papi, ai quali dedicò le proprie opere. Trascorse gli ultimi anni della vita in un confortevole confino, con la possibilità di continuare a lavorare, a condizione di non occuparsi più della famosa questione del movimento della Terra, e con l’unico obbligo di recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali, cosa che neppure fece avendo delegato il pio ufficio alla figlia. 

Se lasciamo da parte i luoghi comuni imposti dalla falsa storiografia laicista, nata in età illuminista col chiaro intento di screditare la Chiesa Cattolica, e si affronta la vicenda con rigore storico si scopre una vicenda ben differente da come ci è stata raccontata. Ciò che capitò a Galilei non fu causato, come erroneamente si pensa, dalla sua negazione della concezione geocentrica, cioè il Sole che gira attorno alla Terra, ma dal fatto che non portava alcuna prova scientifica a supporto di quanto asseriva. La Chiesa non aveva affatto paura di tale concezione e la reputava una teoria come un’altra e non pensava potesse mettere in dubbio la rivelazione biblica. Il messaggio biblico, infatti, poneva l'uomo e non il cosmo al centro dell'opera creatrice di Dio e l'aspirazione principale dell'uomo comune non era quella di arrivare ad una conoscenza scientifica della realtà, bensì quella di fare la volontà di Dio per la propria salvezza. Non importava tanto sapere come andava il cielo, ma come andare in cielo. Quattro secoli prima di Galileo, Tommaso d’Aquino (1225-1274) già affermava, nel commento al De coelo et mundo di Aristotele, che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva. Lo stesso Copernico (1473-1543), astronomo polacco e sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galileo, aveva sostenuto la teoria eliocentrica senza venir mai infastidito dalla Chiesa Cattolica. Lo conferma lo stesso Galileo nella sua lettera del 1615 alla granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena, dove afferma che la Chiesa non aveva nulla da ridire sull’ipotesi di Copernico. In quegli anni anche molti esponenti ecclesiastici e persino due papi, Leone X e Clemente VII, si mostrarono interessati alle sue tesi. Nella cattolica Spagna, nell’università di Salamanca, s’insegnava liberamente la teoria copernicana. 

Ciò che attirò l’irritazione della Chiesa su Galileo fu piuttosto il suo modo di presentare l’eliocentrismo come una verità scientifica assoluta ed in grado, per questo, di costituire una nuova filosofia del sapere, mentre la Chiesa gli chiedeva solamente di considerarla come semplice ipotesi matematica. Il Cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), che ebbe una parte importante nel processo contro Galilei, scrisse il 12 aprile 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: “Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ‘ex suppositione' e non ‘assolutamente', come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (...) Dico che quando ci fusse ‘vera dimostrazione' che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra , ma la Terra circonda il Sole, all'hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra”. E, in effetti, era proprio così, a quei tempi Galilei non possedeva alcuna prova scientifica di ciò che andava sostenendo, mentre la teoria geocentrica era ancora molto accreditata. Le osservazioni di Galileo, che avevano appurato l’esistenza di quattro lune di Giove che orbitano attorno al pianeta così come fa la Luna con la Terra, non provavano in alcun modo che fosse la Terra a girare attorno al sole e non viceversa. Uno scienziato del tempo, il famoso astronomo danese Tycho Brahe, asseriva che tutti i pianeti ruotano attorno al Sole e che questi, con tutto il suo seguito, ruota a sua volta attorno alla Terra. Teoria certamente complicata, ma aveva il pregio di spiegare efficacemente il moto osservato dei pianeti, punto in cui l’eliocentrismo di allora era carente, adeguandosi perfettamente alle osservazioni di Galileo. 

Bisognerà aspettare il XIX per veder dimostrato matematicamente l’eliocentrismo, ma al tempo di allora il modello geocentrico era di gran lunga il più accettato perché in grado di giustificare con sufficiente precisione tutti i fenomeni celesti fino allora osservabili come ebbe a dire lo stesso Galileo: “Non posso trovar termine all'ammirazione mia come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragione tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona del loro credere”. 

Il filosofo svizzero tedesco Titus Burckhardt (1908-1984), grande storico ed esperto di filosofia della scienza, scrisse che la Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta, ma come ipotesi, aveva le sue buone ragioni (T. Burckhardt “Scienza moderna e saggezza tradizionale” 1968, pag. 134). Il motivo per cui Galilei ebbe problemi non fu dunque legato alla teoria eliocentrica, ma a ragioni di filosofia della scienza, in quanto ebbe un atteggiamento scientista e non scientifico. La Chiesa di allora, attraverso la sua Accademia delle Scienze, accoglieva senza tanti problemi ogni teoria che fosse stata sostenuta da un ragionamento scientifico, anzi le usava per perfezionare l’interpretazione dei quei passi della Bibbia apparentemente incoerenti con esse. Così fece, ad esempio, con quei passi che sembravano considerare la Terra come se fosse piatta. La Chiesa accettò senza problemi le prove della sfericità del nostro pianeta al punto che fu uno dei maggiori alleati che ebbe Cristoforo Colombo nel convincere i reali spagnoli a sostenerlo nel progetto di aprire una nuova via per le indie. E’, infatti, dovuta all’ennesima falsità laicista, quella contenuta nel romanzo “La vita e i viaggi di Cristoforo Colombo” di Washington Irwing del 1828, scritto in odio alla Chiesa Cattolica, la leggenda che questa a quell’epoca ancora sostenesse che la Terra fosse piatta. 

Le prove che portava Galileo non erano convincenti. In una lettera al cardinale Orsini affermò che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe stata provata dalle maree, cioè che il movimento della Terra producesse un tale scuotimento da causare le alte e le basse maree. Ma confrontando la posizione del Sole con il ritmo delle maree tale argomentazione risultò palesemente inadeguata. La Chiesa voleva prove scientifiche, per questo fu consigliato a Galileo di insegnare il sistema copernicano come ipotesi e non come verità scientifica. Il filosofo austriaco Paul Feyerabend, ateo e anarchico, grande studioso della filosofia della scienza, sostenne che: “La Chiesa dell'epoca di Galilei si attenne alla ragione più che lo stesso Galilei, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galilei fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione” (P. Feyerabend “Wider den Methodenzwang” FrankfurtM/Main 1976, p. 206). 

La condanna di Galileo non fu, quindi, una censura della teoria eliocentrica e con essa di tutta la scienza, ma solamente dell’atteggiamento antiscientifico dello scienziato pisano che pretendeva di imporre la sua intuizione scientifica senza sottoporla alle necessarie verifiche sperimentali. In pratica la Chiesa volle mettere all’indice un’ideologia, lo scientismo, che faceva della scienza una “seconda religione”. Ma la storiografia laicista insiste nel ritenere Galileo principalmente una vittima dell’oscurantismo religioso tanto da farne il martire della scienza che tutti conosciamo, e per dimostrarlo si appella alla sentenza di condanna del Sant’Uffizio del 1633 dove, in effetti, la teoria eliocentrica propugnata da Galileo viene considerata contraria “alla filosofia e alle Sacre Scritture”. Ovviamente una teoria scientifica non dovrebbe essere valutata su base religiosa o politica, ma questo è il nostro modo moderno di considerare la scienza che inevitabilmente non coincide con quello dell'Europa del XVI secolo, quando la scienza galileiana ancora neppure esisteva e quando, soprattutto, le sicurezze di quel tempo, cioè la fede e la certezza della vita eterna, erano state messe in dubbio dalla Riforma Protestante. Per avere una visione che sia corretta dal punto di vista storico occorre collocare Il processo a Galilei all'interno del XVII secolo. In quel tempo la “filosofia” Aristotelica era ancora accettata integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica, quindi ogni suo sovvertimento era ancora visto come un qualcosa di sospetto ed irrazionale, ma soprattutto ci troviamo negli anni appena successivi alla Riforma Protestante, un periodo terribile dove imperversavano le guerre di religione e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla. Tutto questo portò, per reazione, ad un irrigidimento verso ciò che poteva portare a considerare la Chiesa Cattolica come non sufficientemente garante delle verità della Scrittura. Per questo motivo, e non per odio verso la scienza, nella sentenza di condanna di Galileo l’accusa principale è quella di non aver portato il rispetto dovuto per le Sacre Scritture. 

La storiografia laicista si ostina a vedere nella Chiesa il “bastione dell’oscurantismo”, ma è una posizione storicamente insostenibile a fronte dell’impulso che la Chiesa ha sempre esercitato per lo sviluppo e la diffusione della scienza. Basta pensare a tutti i grandi geni della Chiesa e agli scienziati che furono nello stesso tempo credenti, a partire da Copernico, Pascal o Newton fino ai giorni nostri. Quando l’Occidente si risveglia, dopo i secoli oscuri dell’alto Medioevo, non si delinea nessun contrasto tra la scienza e il cristianesimo. Nelle Università medioevali, le discipline scientifiche e quelle speculative vanno tranquillamente d’accordo. Quando poi la scienza moderna nasce nel XVI secolo, i ricercatori di allora vengono incoraggiati e sostenuti da papi e cardinali. D’altra parte, è un fatto che le scienze sperimentali dei tempi moderni decollarono solo nei paesi cristiani. Solo laddove si sono verificate manipolazioni della scienza che rischiarono di calpestare la dignità dell’essere umano la Chiesa ha ritenuto suo dovere intervenire, certamente con alcuni errori, come fu con Galileo, ma sicuramente con un’efficienza tale da tener sotto controllo il progresso mantenendolo sempre al servizio dell’uomo. 


Bibliografia 

G. De Santillana, “Processo a Galileo”, Feltrinelli, Milano 1960; 
L. Geymonat, “Galileo Galilei”, Einaudi, Torino 1962; 
P. Paschini, “Vita e opere di Galileo Galilei”, Herder, Roma 1965; 
T. Burckhardt “Scienza moderna e saggezza tradizionale” 1968 
W. Brandmuller, “Il Caso Galileo, conflitto tra scienza e chiesa?”, Ed. Paoline, 1970; 
Rino Cammilleri, "La verità su Galileo", in Fogli, n. 90, Anno XI, settembre 1984. 
Jean Pierre Lonchamp, "Il caso Galileo", Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1990. 
Paul Karl Feyerabend, "Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza", Feltrinelli, Milano, 1979