lunedì 31 marzo 2014

I guasti del laicismo: il caso della Francia


Come è stato per la Spagna, anche in Francia assistiamo agli effetti deleteri che accompagnano l’avanzata del laicismo. Il governo ultralaicista di Hollande sta superando ogni immaginazione demolendo i cardini di una democrazia pluralista e smantellando sistematicamente secoli di cultura cristiana. In poco tempo, nonostante il paese avesse bisogno di affrontare problemi ben più urgenti, è stato introdotto il matrimonio per le coppie omosessuali che ha distrutto il valore della famiglia naturale come cellula fondamentale della società umana, i cui diritti sono esclusivi e da tutelare in modo particolare. 

Nel 2013 il ministro dell’istruzione, Vincent Peillon, una persona piena di preconcetti noti a tutti avendo, infatti, dichiarato che: "non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica", ha imposto in tutte le scuole pubbliche la “Carta della laicità”, un documento che limita fortemente la libertà personale vietando di indossare qualsiasi simbolo religioso e di professare qualsiasi convinzione religiosa. Ciò in modo da imprimere nei giovani l’idea che esista una netta separazione tra religione e libertà e che ci sia la necessità di sopprimere la religione escludendola da ogni percorso formativo. 
Il ministro degli affari sociali e della Salute, Najat-Belkacem, ha addirittura attivato un sito internet governativo per promozionare l’interruzione di gravidanza di fatto derubricandola ad un mero sistema contraccettivo. 
L’Alto consiglio francese per l’uguaglianza tra uomini e donne (Hcefh) ha promesso l’imminente abolizione della legge che permette l’obiezione di coscienza per i medici nel caso dell’effettuazione di un’interruzione di gravidanza. In tema di limitazione della libertà personale non bisogna dimenticare che la Francia vieta l’esposizione di simboli religiosi in tutti gli uffici pubblici. Alle donne musulmane, ad esempio, è vietato di portare il velo in pubblico così come i cristiani non possono indossare catenine con il crocifisso. 

Il governo francese ed il suo laicismo hanno avuto anche un “riconoscimento” nel rapporto annuale sulla libertà religiosa stilato dagli Stati Uniti che per la prima volta hanno inserito un paese dell’Europa occidentale nella lista nera dei paesi che negano la libertà religiosa. La Francia, in compagnia di paesi come la Corea del Nord, la Cina, l’India, il Pakistan, ecc., ha una laicità troppo “aggressiva” che non permette alle persone religiose di esprimere a pieno la propria fede. 

In Francia si sta assistendo allo sfacelo determinato dall’imposizione del laicismo, lo Stato che diviene l’unica autorità educativa, l’unico soggetto autorizzato a trasmettere valori “neutrali” ai cittadini, non sono ammessi pluralismi, tutto deve essere omologato, le differenze non vanno valorizzate, ma combattute ed eliminate. Il famigerato Peillon, in pieno delirio mistico-laicista, ha chiaramente tracciato la strada intrapresa dal governo transalpino dichiarando che: “La rivoluzione implica l’oblio per tutto ciò che precede la rivoluzione. E quindi la scuola gioca un ruolo fondamentale, perché la scuola deve strappare il bambino da tutti i suoi legami pre-repubblicani per insegnargli a diventare un cittadino. È come una nuova nascita, una transustanziazione (sic) che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge”. Una logica aberrante che sembra aver riportato la Francia ai tempi degli orrori della rivoluzione, quando nella follia illuminista veniva considerato un delitto credere in Dio. In questo programma il cristianesimo, e tutte le religioni, divengono dei nemici perché portatrici di una visione della realtà contraria a quella disperatamente relativista ed immanentista del laicismo. Inevitabilmente, come nel caso della Spagna e della Francia, è questo il destino di ogni società che rinnega le sue origini cristiane, una guerra contro Cristo condotta in nome di un falso e distorto valore della laicità che produce solo arretratezza morale, sopraffazione dei più deboli, limitazioni della libertà personale. 

Sono di queste ore le notizie della clamorosa sconfitta elettorale di Hollande alla seconda tornata delle consultazioni municipali che hanno avuto il valore di un vero e proprio referendum sull’operato del primo ministro. I francesi hanno fatto chiaramente intendere che sono insoddisfatti delle false battaglie di Hollande per diritti inesistenti e la repressione di quelli esistenti, mentre la disoccupazione aumenta e l’economia non decolla. Speriamo che la Francia, faro indiscusso di democrazia e libertà, ritorni presto sui suoi passi.

giovedì 20 marzo 2014

La Chiesa e la violenza


La Chiesa, il sacro bordello. La storia della chiesa è piena di violenza e complotti, infiltrazioni e tradimenti”. Così riassume la storia della Chiesa il famoso giornalista e scrittore laicista Corrado Augias. La sua è la tipica posizione della falsa storiografia laicista che, tra le altre cose, accusa la Chiesa di aver portato e fomentato la violenza nella società umana durante i secoli in cui esercitava indiscusso il suo potere morale e politico. Per i laicisti la Chiesa avrebbe scatenato guerre per il proprio tornaconto, suscitato le crociate per la sua smania di proselitismo, sterminato intere popolazioni per il solo fatto di essere pagane o eretiche.

Come si può rispondere ad un’accusa così pesante? Possibile che la Chiesa di Cristo, chiamata a portare e a vivere in prima persona il suo messaggio di pace, possa essersi macchiata di un tale elenco di nefandezze? L’unica risposta possibile è lo studio della storia, libero e senza preconcetti, il quale mostra come sia strumentale e falsa la storiografia laicista. 

Dopo l’età antica, in cui la violenza era parte integrale della vita della società, e dopo le spaventose violenze dovute alle invasioni barbariche ed alle guerre che si susseguirono senza sosta fino al IX secolo, anche nell’Europa, ormai divenuta un impero cristiano, in cui sta affermandosi il feudalesimo, una società fondata essenzialmente su legami di vassallaggio tra il signore e il suo vassallo, la violenza è sempre presente. Infatti, nonostante il signore concedesse un beneficio feudale in cambio di servizi resi dal vassallo, questi legami sono spesso alquanto precari e la pace è difficile da mantenere. Capitava frequentemente che il signore tendesse a farsi giustizia per conto proprio muovendo guerra ai suoi nemici. La guerra privata era, quindi, un fenomeno quotidiano che portava insicurezza sociale per tutta la popolazione disarmata che viveva in quelle terre. I vari eserciti delle innumerevoli signorie tendevano a diventare una vera e propria casta ereditaria specializzata nel campo militare. 

Dalla fine del X secolo e fino al XII, la Chiesa lungi dall’essere promotrice di violenza, come afferma falsamente la storiografia laicista, cerca piuttosto, di mettere un freno alla violenza e “codificare” la guerra attraverso le istituzioni della “Pace di Dio” e della cavalleria. Già nel 989 e 980 i concili regionali di Charroux e di Narbona denunciarono la violenza diffusa e lanciarono il movimento della “Pace di Dio”. Con tale istituzione la Chiesa trovò il modo di imporre ai combattenti professionali, i milites romani che vanno trasformandosi in cavalieri, alcune regole: portare rispetto verso i poveri, le vedove, ecc., non portare armi in determinati periodi, né in determinati luoghi. Il combattente s’impegna a seguire queste regole e a prestare giuramento sul Vangelo. Nel 1016 il concilio di Verdun-sur-Doubs chiese a tutti i cavalieri di giurare sul Vangelo di difendere i deboli e di non abbandonarsi ad atti di violenza. Sotto l’ispirazione della Chiesa la cavalleria, da banda armata senza controllo, orienta la propria funzione verso la difesa del popolo e il mantenimento dell’ordine e della pace. Nacquero, così, per un’esigenza di difesa della pace le famose virtù cavalleresche che divengono un modello per tutta l’aristocrazia europea. Icona tipica di tale fenomeno è, nel XII secolo, la Canzone di Orlando, dove si delinea la figura tipo del cavaliere cristiano ”senza macchia e senza paura”. 

Nel XI secolo il movimento della “Pace di Dio” si estende alla Spagna, all’Italia, alla Germania in modo che in tutta l’Europa cristiana le forze originariamente violente vengono convogliate nella difesa del popolo e la tutela della pace. Nasce anche il movimento della “Tregua di Dio”, codificato nei concili di Arles (1037-1041), per ottenere l’interruzione dei conflitti almeno in certi periodi dell’anno (tempi liturgici maggiori e nelle domeniche). 

Oltre a tutto ciò bisogna anche ricordare la figura del “cavaliere di Cristo”, la “nova militia” costituita dai nascenti ordini militari o cavallereschi nati espressamente per proteggere i pellegrini. L’esempio più significativo è costituito dalle crociate che prendevano l’avvio proprio in quel periodo per un’oggettiva necessità di ripristino del diritto. Niente a che vedere con azioni di proselitismo o conquiste imperialiste, ma veri e propri pellegrinaggi armati per l’autodifesa. La Chiesa favorì anche la formazione di coalizioni armate per difendere gli inermi e proteggere la pace, come nella battaglia di Civitate del 1053. In quegli anni l’Europa cristiana era interessata dalle frequenti invasioni degli eserciti pagani come i normanni, provenienti dal nord, gli ungheresi dall’est e le incursioni dei mussulmani saraceni dal sud. L’attività degli eserciti chiamati sotto le insegne di Pietro e dei cavalieri degli ordini militari monastici, benché, talvolta deviata in vere e proprie operazioni di guerre di conquista e saccheggi, come lo scandalo della IV crociata o la barbarie dei cavalieri teutonici, episodi condannati dagli stessi papi del tempo, presentano la formula tipicamente medioevale del combattente cristiano che consacra la propria esistenza alla difesa dei fratelli e alla gloria di Cristo. 

Purtroppo la violenza è un fenomeno insito in ogni società umana e i diritti individuali e comunitari non si possono far valere senza ricorrere ad una certa violenza (guerre, scioperi, ecc.). Dare, quindi, la colpa alla Chiesa perché nel periodo storico in cui esercitava un'influenza diretta sulla società esisteva la violenza e la guerra è un’operazione chiaramente strumentale. D’altra parte lasciare che si propaghi l’abuso senza cercare di porre un rimedio può costituire un danno al bene comune. Se la violenza non può essere soppressa occorre almeno cercare di limitarla con tutti i mezzi. Invece di enunciare pii desideri, la Chiesa cercò di limitare la violenza attraverso l’educazione delle coscienze, esigendo che si rinunci ad imporre il proprio diritto con qualsiasi mezzo e restringendo il più possibile il campo della violenza legale. 

Oggi la Chiesa ha perso la sua influenza diretta sulla società e, in una società secolarizzata come la nostra, sembra difficile che possa ricondurre l’attività militare e la violenza in genere, in un contesto ecclesiale, attraverso un giuramento sul Vangelo. Ma non per questo i moniti della Chiesa sono mancati, in ogni tempo le condanne della violenza dei papi e dei vescovi, l'attività di molti membri della Chiesa in favore dei movimenti per la pace e per i diritti dell’uomo sono i segni di un’attenzione sempre presente per l’affermazione della pace. 

Bibliografia 

H. Mitteis “Le strutture giuridiche e politiche dell’età feudale”, Morcelliana, Brescia, 1962; 
W. Ullmann, “Individuo e società nel medioevo”, Laterza, Bari, 1974; 
C. Violante, “Studi sulla cristianità medioevale”, vita e Pensiero, Milano, 1972; 
J. Comblin, “Teologia della pace” Ed. Paoline, 1962-66; 
A. Morini, “La guerra nel pensiero cristiano dalle origini alle crociate”, Sansoni, Firenze, 1963. 
F. Agnoli, “Indagine sul Cristianesimo”, Ed. Piemme, Milano, 2010.

mercoledì 12 marzo 2014

Il diritto all'obiezione di coscienza


E' notizia di questi giorni che una coppia di coniugi, per la presunta mancanza della disponibilità di medici non obiettori, sarebbero stati costretti ad abortire nel bagno di un noto ospedale romano. Le autorità sanitarie hanno smentito tale versione dei fatti, ma l'accaduto ha spinto il Ministero della Salute a chiedere chiarimenti alla Regione Lazio che, a sua volta, sta provvedendo alle necessarie verifiche.

Tutto ciò ha inevitabilmente suscitato la reazione delle associazioni abortiste che hanno subito strumentalizzato l'accaduto denunciando una presunta non corretta applicazione della legge 194 sull'interruzione di gravidanza per colpa dell'istituto dell'obiezione di coscienza, lamentando, così, una discriminazione della donna che verrebbe lesa nella sua dignità. 

Quello della discriminazione e della lesione alla dignità della donna è un vecchio ritornello che ritorna ogni volta che si parla di obiezione di coscienza nei riguardi della legge sull'interruzione di gravidanza. Ovviamente se fosse vero ciò che ha raccontato la coppia di coniugi il fatto sarebbe di una gravità assoluta, ma non riguarderebbe l'obiezione di coscienza perché la legge 194 impone l'obbligo dell'assistenza in ogni caso. 

A mio modo di vedere la propaganda laicista strombazza di diritti negati perché crede, nella sua folle visione della realtà, che la morte possa essere un diritto, ma la stessa legge 194 consente l'interruzione della gravidanza solo come un rimedio estremo quando tutti i tentativi di rimuovere le cause che inducono una donna a richiedere l'interruzione di gravidanza non sortiscono effetto. L'aborto, quindi, è solo una deroga, assurdamente legalizzata, del rispetto dell'unico vero diritto che è quello della vita.

Se le associazioni abortiste volessero veramente tutelare la corretta applicazione di tale legge, dovrebbero piuttosto protestare per la scarsa efficacia dei consultori che dovrebbero con maggiore impegno adempiere al loro dovere di prevenzione, invece di comportarsi come delle fabbriche di aborti solo perché la soluzione dell'interruzione della gravidanza è quella più semplice e veloce. 

Prendersela con l'obiezione di coscienza significa ledere il diritto dei medici di agire secondo la loro deontologia professionale che è rivolta alla protezione della vita e non alla sua soppressione.

lunedì 3 marzo 2014

La "rieducazione" laicista




                                 
Dietro il paravento della lotta alle discriminazioni, nel silenzio più totale dei media più importanti, continua la strisciante operazione di lento, ma costante indottrinamento della società odierna sui principi della teoria "gender". Come è noto l'anno scorso l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), un istituto interno del famigerato Dipartimento delle Pari Opportunità, già tristemente noto per il recente bavaglio imposto alla libertà di stampa, ha diramato delle direttive nazionali attraverso il documento Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, che recepisce le linee guida per l’applicazione dei principi contenuti nella Raccomandazione CM/REC (2010) 5 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, volta a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere.

Questa operazione si è tradotta nella composizione di tre volumi che perseguono lo scopo di “instillare” l’ideologia "gender" nelle menti degli alunni delle scuole elementari, medie e superiori. Una spaventosa dimostrazione della pericolosità di un'operazione del genere si è avuta lo scorso dicembre quando a Venezia il delegato del sindaco, Camilla Seibezzi, già tristemente nota per aver proposto la sostituzione delle parole "mamma" e "papà" con "genitore", ha presentato la proposta di introdurre in dieci asili nido e in 36 scuole dell'infanzia delle raccolte di fiabe dove vengono presentate come un fatto normale l'esistenza di diverse forme familiari come, ad esempio, quella con due papà o con due mamme, ecc. 

Oltre a voler promuovere e presentare la teoria "gender" come un fatto normale e provato, imponendo una visione unilaterale del mondo, questo documento invita a considerare ogni critica alle pretese della comunità LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali e trans) come "omofobia", posizione che deve essere severamente punita dalla legge. Gli studenti, quindi, devono pensare che sia giusto il matrimonio tra persone dello stesso sesso e che l'eterosessismo, ovvero ritenere normale solo il matrimonio tra persone di sesso differente, sia all'origine dell'omofobia. In quest'ottica vengono anche indicate come "incitamento all'odio ed alla discriminazione" perfino le dichiarazioni provenienti da alcuni rappresentanti delle istituzioni politiche ed ecclesiastiche.

Questa operazione di gravissima ingerenza nelle libertà personali dei cittadini non poteva rimanere a lungo nascosta, così, chiamata a dare spiegazioni circa la liceità della composizione e diffusione di questi volumi, Maria Cecilia Guerra, l'ultimo vice ministro del Lavoro e Politiche Sociali con delega alle Pari opportunità, cioè l’ente che ha posto il suo logo sulla prima pagina de tre documenti, ha risposto di non saperne niente e che il tutto è stata un'iniziativa dell’Istituto Beck, istituzione schieratissima a favore dell’omosessualità convenzionato con l'UNAR, il vero e proprio soggetto che ha redatto i libri dello scandalo. 

Si rimane veramente allibiti di fronte al pressapochismo di tale istituzione: dapprima si da l'avvio ad un'operazione ingiustificabile e liberticida, poi, posti di fronte alle proprie responsabilità, la si sconfessa dicendo che non se ne sapeva nulla. Ma sarà veramente così?