mercoledì 30 luglio 2014

Fecondazione eterologa, caos laicista.

La scandalosa sentenza della Corte Costituzionale di aprile scorso, che ha dato l'ennesimo scossone alla legge 40 sulla procreazione assistita rimuovendo il divieto al ricorso della fecondazione eterologa, ha innescato, com'era prevedibile, un ricorso dissennato a tale pratica nel più totale vuoto legislativo. Non esiste, infatti, alcuna regola, niente che tuteli la dignità umana di fronte alla mercificazione dei gameti o che salvaguardi i diritti del concepito. Siamo di fronte agli ennesimi disastri prodotti dalla mentalità laicista che si fa beffe delle regole della democrazia per imporre la sua disperata visione relativistica.

Ovviamente questa situazione da far west, dovuta alla violenza laicista che ha praticamente cancellato una Legge approvata con una regolare maggioranza dal Parlamento e contro la cui abrogazione si è pronunciato anche il popolo italiano in un referendum, e dallo sconsiderato atteggiamento di alcune forze politiche favorevoli alla situazione di indeterminatezza, non poteva che causare disparità ed ingiustizie. La regione Toscana, ad esempio, ha provveduto a darsi un suo regolamento, mentre nel resto d'Italia ognuno può fare quel che vuole. Siamo al paradosso di veder considerati i diritti della persona a seconda di dove si abbia la residenza. 

E' notizia di stamane che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, la quale, è bene ricordare, non è sorretta da alcun consenso elettorale, vorrebbe con un decreto da presentare al Consiglio dei Ministri prima della pausa estiva, tentare un minimo di regolamentazione. Certamente si tratta di un'iniziativa lodevole, ma occorre anche considerare il fatto che una materia così delicata non può essere trattata con un semplice decreto ministeriale. Una materia così importante e complessa deve per forza passare attraverso il democratico confronto parlamentare.Un punto spinoso della vicenda è, ad esempio, il diritto a conoscere le proprie origine che certamente viene a collidere col desiderio di anonimato dei genitori. Inoltre tale decreto vorrebbe mettere la fecondazione eterologa a carico del Servizio sanitario nazionale, facendosi così beffe dell'opinione contraria di milioni di cittadini contrari alla fecondazione eterologa e costretti a sovvenzionarla con il gettito delle loro tasse. 

Siamo alle solite, le forze laiciste premono incessantemente per imporre la loro visione e lo fanno calpestando le più elementari regole della democrazia.

venerdì 11 luglio 2014

Priscillianesimo, irrompe il potere secolare


In questo mio excursus sulle eresie che hanno costellato la storia del cristianesimo è il momento di dedicarsi alla figura di un laico spagnolo che diede origine ad un movimento religioso ascetico eterodosso che persistette per quasi duecento anni prima di sparire dalla storia: Priscilliano e il priscillianesimo. 

Il Priscillianesimo fu una sorta di sincretismo religioso che mescolò elementi manichei con lo gnosticismo docetista e il sabellianismo. I  punti caratterizzanti la sua dottrina furono, quindi, il manicheo disprezzo per natura umana, la negazione gnostica dell’incarnazione e risurrezione di Cristo e la negazione della Trinità tipica del sabellianismo, tratti teologici chiaramente contrari alla Scrittura e lontanissimi dalla rivelazione apostolica. Ma questa eresia è divenuta particolarmente nota per la vicenda del suo massimo esponente Priscilliano che, nell’immaginario collettivo laicista, essendo stato il primo condannato a morte per eresia, è divenuto il simbolo dell’inizio della repressione delle eresie da parte della Chiesa Cattolica. Come vedremo, invece, la tragica fine di Priscilliano non fu affatto una responsabilità della Chiesa, ma un atto del tutto “laico”. 

Sul finire del IV secolo una parte dei fedeli delle chiese della Spagna settentrionale e dell'Aquitania si discostarono dalla massa degli altri fedeli per lasciarsi irretire da filosofie orientali ascetiche. Alcuni vescovi cattolici, come Instanzio, Salviano, Simposio, e un laico, in nostro Priscilliano, si posero a capo del movimento affermando di essere gli eletti e i santi della Chiesa. La setta cominciò ad affermare che il battesimo doveva significare evasione da tutti i valori di questo mondo, quindi veniva praticata l’ascesi totale con il ripudio della vita sociale, astensione anche dai rapporti coniugali e si davano a interpretare la Scrittura avvalendosi di uno speciale dono d'intelligenza spirituale che essi dicevano di possedere in virtù della loro elezione. Anche in campo liturgico si discostavano sempre più dal resto della comunità cristiana con digiuni straordinari per la preparazione alle feste liturgiche, soprattutto la Pasqua e l'Epifania e praticavano l’Eucarestia privatamente sottraendosi alla comunione con il resto della Chiesa. Questa setta, detta dal suo ispiratore, priscillianista, attirò molte persone, non solo tra i nobili, ma anche tra la gente del popolo al punto che in talune contrade il numero dei priscillianisti era maggiore di quello dei cristiani ortodossi. Tutto ciò provocò inevitabilmente dei disordini sia tra i civili che in seno alla Chiesa spagnola al punto che alcuni vescovi come Itacio di Ossonuba e Idacio di Merida si videro costretti ad intervenire per riportare l’ordine e la concordia ricorrendo all’autorità civile che provvide, attraverso un decreto dell’imperatore Graziano, ad esiliare Priscilliano e i vescovi priscillianisti. Da parte religiosa un sinodo tenuto a Saragozza nel 380 condannò anche alcune pratiche dei priscillianisti ritenute eretiche, ma senza emettere condanne ad personam

A questo punto Instanzio, Salviano e Priscilliano cercarono un’approvazione dal vescovo di Roma, senza trovare ascolto né presso papa Damaso, e neppure presso Sant'Ambrogio, a Milano. Nella città lombarda riuscirono, però, a corrompere il magister officiorum imperiale, Macedonio, e ad ottenere da lui un rescritto che li reintegrava nel governo delle loro chiese. Tornati in Spagna, Priscilliano e i vescovi priscillianisti si conquistarono il favore anche del proconsole Volvenzio e indussero questo a incriminare Itacio quale perturbatore della pace sociale e delle chiese. Itacio fu costretto a fuggire nelle Gallie. Nel frattempo, siamo nel 383, si verificò il colpo di stato che diede il governo delle Gallie in mano all'usurpatore Magno Massimo e la fortuna di Priscilliano venne meno. Il nuovo padrone, supplicato da Itacio, ordinò che tutti i vescovi priscillianisti e gli esponenti principali della setta fossero condotti al giudizio di un concilio che si tenne a Bordeaux. Priscilliano, allora si appellò all'imperatore cosicché tutti gli imputati furono trasferiti a Treviri per essere giudicati, stavolta, davanti a un tribunale secolare. Per i priscillianisti non vi fu scampo e nonostante il coraggioso intervento di Sant Martino di Tours e di Sant’Ambrogio e la protesta generale della Chiesa cattolica, con in testa papa Siricio, furono tutti condannati a morte. L’esecuzione portò un tale ondata di sdegno nella Chiesa Cattolica al punto che Itacio ed Idacio furono destituiti. 

La morte di Priscilliano e dei vescovi priscillianisti fu quindi una autonoma azione presa dal potere secolare nei confronti di un pertubatore politico e religioso, nonostante la ferma opposizione della Chiesa. Questa vicenda dimostra ancora una volta come sia falsa la storiografia laicista. 


Fonte 

Sulpicio Severo (Historia Ecclesiastica Hispaniae II, capp. 46-51) 


Bibliografia 

E.-Ch. Babut, "Priscillien", Parigi 1909; 
K. Künstle, "Antipriscilliana", Friburgo in B. 1905.  
A. J. Davids, De Orosio "Sancto Augustino, priscillianistarum adversariis", L'Aia 1930 
E. Buonaiuti, "Instanzio o Priscilliano?", in Rivista di scienza delle religioni, I (1916), p. 41 segg.; 
Z. G. Villada, "Hist. ecles. de España", i, ii, Madrid 1929, pp. 91-145, 357-361; 
M. Niccoli, Il delitto di eresia alla fine del sec. IV in relazione al processo di Priscilliano, in Communications présentées au VIIe Congrès des sciences historiques, I, Varsavia 1933, p. 239 segg.

giovedì 3 luglio 2014

Il Caso Galileo, conflitto tra scienza e chiesa?

Eppur si muove!”. Così avrebbe esclamato con orgoglio Galileo Galilei davanti al tribunale dell’inquisizione che gli aveva imposto l’abiura dell’eliocentrismo. La vicenda del famoso scienziato pisano, che subì dall’inquisizione due processi nel 1616 e nel 1633, è senza dubbio il simbolo più conosciuto e diffuso della supposta repressione che avrebbe operato l’oscurantismo religioso cattolico sul progresso scientifico. Nell’immaginario collettivo Galileo Galilei è il paladino della libertà scientifica e di pensiero che fu incarcerato, torturato ed infine condannato per le sue scoperte. 

Ma Galileo non pronunciò mai quella frase, fu inventata dallo scrittore italiano Giuseppe Baretti che ricostruì la vicenda in salsa anticattolica per il pubblico inglese in un'antologia pubblicata a Londra nel 1757 dal titolo “Italian Library”. Questo fatto è sintomatico di come la vicenda di Galileo sia stata per lungo tempo strumentalizzata da una certa storiografia laicista che per i propri scopi ideologici ha costruito ad arte un clamoroso falso storico. Il caso di Galileo Galilei, ricondotto a giuste proporzioni, non ebbe affatto la piega drammatica che gli si è voluto attribuire. Galileo non fu mai incarcerato e tanto meno torturato, egli godette, per una buona parte della sua esistenza, di stima e simpatia da parte di numerosi alti prelati e di vari papi, ai quali dedicò le proprie opere. Trascorse gli ultimi anni della vita in un confortevole confino, con la possibilità di continuare a lavorare, a condizione di non occuparsi più della famosa questione del movimento della Terra, e con l’unico obbligo di recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali, cosa che neppure fece avendo delegato il pio ufficio alla figlia. 

Se lasciamo da parte i luoghi comuni imposti dalla falsa storiografia laicista, nata in età illuminista col chiaro intento di screditare la Chiesa Cattolica, e si affronta la vicenda con rigore storico si scopre una vicenda ben differente da come ci è stata raccontata. Ciò che capitò a Galilei non fu causato, come erroneamente si pensa, dalla sua negazione della concezione geocentrica, cioè il Sole che gira attorno alla Terra, ma dal fatto che non portava alcuna prova scientifica a supporto di quanto asseriva. La Chiesa non aveva affatto paura di tale concezione e la reputava una teoria come un’altra e non pensava potesse mettere in dubbio la rivelazione biblica. Il messaggio biblico, infatti, poneva l'uomo e non il cosmo al centro dell'opera creatrice di Dio e l'aspirazione principale dell'uomo comune non era quella di arrivare ad una conoscenza scientifica della realtà, bensì quella di fare la volontà di Dio per la propria salvezza. Non importava tanto sapere come andava il cielo, ma come andare in cielo. Quattro secoli prima di Galileo, Tommaso d’Aquino (1225-1274) già affermava, nel commento al De coelo et mundo di Aristotele, che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva. Lo stesso Copernico (1473-1543), astronomo polacco e sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galileo, aveva sostenuto la teoria eliocentrica senza venir mai infastidito dalla Chiesa Cattolica. Lo conferma lo stesso Galileo nella sua lettera del 1615 alla granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena, dove afferma che la Chiesa non aveva nulla da ridire sull’ipotesi di Copernico. In quegli anni anche molti esponenti ecclesiastici e persino due papi, Leone X e Clemente VII, si mostrarono interessati alle sue tesi. Nella cattolica Spagna, nell’università di Salamanca, s’insegnava liberamente la teoria copernicana. 

Ciò che attirò l’irritazione della Chiesa su Galileo fu piuttosto il suo modo di presentare l’eliocentrismo come una verità scientifica assoluta ed in grado, per questo, di costituire una nuova filosofia del sapere, mentre la Chiesa gli chiedeva solamente di considerarla come semplice ipotesi matematica. Il Cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), che ebbe una parte importante nel processo contro Galilei, scrisse il 12 aprile 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: “Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ‘ex suppositione' e non ‘assolutamente', come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (...) Dico che quando ci fusse ‘vera dimostrazione' che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra , ma la Terra circonda il Sole, all'hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra”. E, in effetti, era proprio così, a quei tempi Galilei non possedeva alcuna prova scientifica di ciò che andava sostenendo, mentre la teoria geocentrica era ancora molto accreditata. Le osservazioni di Galileo, che avevano appurato l’esistenza di quattro lune di Giove che orbitano attorno al pianeta così come fa la Luna con la Terra, non provavano in alcun modo che fosse la Terra a girare attorno al sole e non viceversa. Uno scienziato del tempo, il famoso astronomo danese Tycho Brahe, asseriva che tutti i pianeti ruotano attorno al Sole e che questi, con tutto il suo seguito, ruota a sua volta attorno alla Terra. Teoria certamente complicata, ma aveva il pregio di spiegare efficacemente il moto osservato dei pianeti, punto in cui l’eliocentrismo di allora era carente, adeguandosi perfettamente alle osservazioni di Galileo. 

Bisognerà aspettare il XIX per veder dimostrato matematicamente l’eliocentrismo, ma al tempo di allora il modello geocentrico era di gran lunga il più accettato perché in grado di giustificare con sufficiente precisione tutti i fenomeni celesti fino allora osservabili come ebbe a dire lo stesso Galileo: “Non posso trovar termine all'ammirazione mia come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragione tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona del loro credere”. 

Il filosofo svizzero tedesco Titus Burckhardt (1908-1984), grande storico ed esperto di filosofia della scienza, scrisse che la Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta, ma come ipotesi, aveva le sue buone ragioni (T. Burckhardt “Scienza moderna e saggezza tradizionale” 1968, pag. 134). Il motivo per cui Galilei ebbe problemi non fu dunque legato alla teoria eliocentrica, ma a ragioni di filosofia della scienza, in quanto ebbe un atteggiamento scientista e non scientifico. La Chiesa di allora, attraverso la sua Accademia delle Scienze, accoglieva senza tanti problemi ogni teoria che fosse stata sostenuta da un ragionamento scientifico, anzi le usava per perfezionare l’interpretazione dei quei passi della Bibbia apparentemente incoerenti con esse. Così fece, ad esempio, con quei passi che sembravano considerare la Terra come se fosse piatta. La Chiesa accettò senza problemi le prove della sfericità del nostro pianeta al punto che fu uno dei maggiori alleati che ebbe Cristoforo Colombo nel convincere i reali spagnoli a sostenerlo nel progetto di aprire una nuova via per le indie. E’, infatti, dovuta all’ennesima falsità laicista, quella contenuta nel romanzo “La vita e i viaggi di Cristoforo Colombo” di Washington Irwing del 1828, scritto in odio alla Chiesa Cattolica, la leggenda che questa a quell’epoca ancora sostenesse che la Terra fosse piatta. 

Le prove che portava Galileo non erano convincenti. In una lettera al cardinale Orsini affermò che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe stata provata dalle maree, cioè che il movimento della Terra producesse un tale scuotimento da causare le alte e le basse maree. Ma confrontando la posizione del Sole con il ritmo delle maree tale argomentazione risultò palesemente inadeguata. La Chiesa voleva prove scientifiche, per questo fu consigliato a Galileo di insegnare il sistema copernicano come ipotesi e non come verità scientifica. Il filosofo austriaco Paul Feyerabend, ateo e anarchico, grande studioso della filosofia della scienza, sostenne che: “La Chiesa dell'epoca di Galilei si attenne alla ragione più che lo stesso Galilei, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galilei fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione” (P. Feyerabend “Wider den Methodenzwang” FrankfurtM/Main 1976, p. 206). 

La condanna di Galileo non fu, quindi, una censura della teoria eliocentrica e con essa di tutta la scienza, ma solamente dell’atteggiamento antiscientifico dello scienziato pisano che pretendeva di imporre la sua intuizione scientifica senza sottoporla alle necessarie verifiche sperimentali. In pratica la Chiesa volle mettere all’indice un’ideologia, lo scientismo, che faceva della scienza una “seconda religione”. Ma la storiografia laicista insiste nel ritenere Galileo principalmente una vittima dell’oscurantismo religioso tanto da farne il martire della scienza che tutti conosciamo, e per dimostrarlo si appella alla sentenza di condanna del Sant’Uffizio del 1633 dove, in effetti, la teoria eliocentrica propugnata da Galileo viene considerata contraria “alla filosofia e alle Sacre Scritture”. Ovviamente una teoria scientifica non dovrebbe essere valutata su base religiosa o politica, ma questo è il nostro modo moderno di considerare la scienza che inevitabilmente non coincide con quello dell'Europa del XVI secolo, quando la scienza galileiana ancora neppure esisteva e quando, soprattutto, le sicurezze di quel tempo, cioè la fede e la certezza della vita eterna, erano state messe in dubbio dalla Riforma Protestante. Per avere una visione che sia corretta dal punto di vista storico occorre collocare Il processo a Galilei all'interno del XVII secolo. In quel tempo la “filosofia” Aristotelica era ancora accettata integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica, quindi ogni suo sovvertimento era ancora visto come un qualcosa di sospetto ed irrazionale, ma soprattutto ci troviamo negli anni appena successivi alla Riforma Protestante, un periodo terribile dove imperversavano le guerre di religione e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla. Tutto questo portò, per reazione, ad un irrigidimento verso ciò che poteva portare a considerare la Chiesa Cattolica come non sufficientemente garante delle verità della Scrittura. Per questo motivo, e non per odio verso la scienza, nella sentenza di condanna di Galileo l’accusa principale è quella di non aver portato il rispetto dovuto per le Sacre Scritture. 

La storiografia laicista si ostina a vedere nella Chiesa il “bastione dell’oscurantismo”, ma è una posizione storicamente insostenibile a fronte dell’impulso che la Chiesa ha sempre esercitato per lo sviluppo e la diffusione della scienza. Basta pensare a tutti i grandi geni della Chiesa e agli scienziati che furono nello stesso tempo credenti, a partire da Copernico, Pascal o Newton fino ai giorni nostri. Quando l’Occidente si risveglia, dopo i secoli oscuri dell’alto Medioevo, non si delinea nessun contrasto tra la scienza e il cristianesimo. Nelle Università medioevali, le discipline scientifiche e quelle speculative vanno tranquillamente d’accordo. Quando poi la scienza moderna nasce nel XVI secolo, i ricercatori di allora vengono incoraggiati e sostenuti da papi e cardinali. D’altra parte, è un fatto che le scienze sperimentali dei tempi moderni decollarono solo nei paesi cristiani. Solo laddove si sono verificate manipolazioni della scienza che rischiarono di calpestare la dignità dell’essere umano la Chiesa ha ritenuto suo dovere intervenire, certamente con alcuni errori, come fu con Galileo, ma sicuramente con un’efficienza tale da tener sotto controllo il progresso mantenendolo sempre al servizio dell’uomo. 


Bibliografia 

G. De Santillana, “Processo a Galileo”, Feltrinelli, Milano 1960; 
L. Geymonat, “Galileo Galilei”, Einaudi, Torino 1962; 
P. Paschini, “Vita e opere di Galileo Galilei”, Herder, Roma 1965; 
T. Burckhardt “Scienza moderna e saggezza tradizionale” 1968 
W. Brandmuller, “Il Caso Galileo, conflitto tra scienza e chiesa?”, Ed. Paoline, 1970; 
Rino Cammilleri, "La verità su Galileo", in Fogli, n. 90, Anno XI, settembre 1984. 
Jean Pierre Lonchamp, "Il caso Galileo", Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1990. 
Paul Karl Feyerabend, "Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza", Feltrinelli, Milano, 1979