martedì 30 settembre 2014

L'Apollinarismo, un Cristo non completamente uomo.

L’eresia di cui mi occupo in questo articolo è l’Apollinarismo ed è ancora relativa alla discussione attorno alla natura di Cristo che fu accesa ed appassionata proprio nel IV secolo. L’originale fede apostolica, che considerò sempre Gesù, crocifisso e risorto, come il Figlio di Dio, cioè di natura divina seppur apparso in forma umana, dovette confrontarsi, in questo secolo, con i concetti della filosofia greca. Tra questi quello di anima, che Platone accreditava di due nature: quella sensitiva (psyché) e quella intellettiva (nous). L’Apollinarismo, ritenendo il Verbo troppo superiore alla natura umana, professava un’incarnazione del Verbo con l’assunzione della sola anima sensitiva, senza quella intellettiva e, quindi, di fatto, un’anima non umana.

Questa eresia trae il nome dal suo principale esponente, Apollinare, nato in Libano tra il 305 e il 310, che fu attivo nella città siriana di Laodicea. Teologo erudito e grande sostenitore del credo niceno, fu, assieme all’amico di Atanasio di Alessandria, grande avversario dell’arianesimo al punto che fu addirittura scomunicato nel 325 da Teodoto, vescovo ariano di Laodicea. Un’altra scomunica la ebbe nel 346 da Giorgio di Antiochia, anche lui ariano, nuovo vescovo di Laodicea. In seguito, come capo della fazione nicena, cioè ortodossa, di Laodicea, attorno al 362, fu nominato vescovo della città. Forse perché così combattuto dagli ariani, Apollinre elaborò una dottrina decisamente sbilanciata nel senso opposto arrivando a sostenere che Cristo, incarnandosi, non assunse l’anima umana. Per queste sue idee fu condannato dai sinodi di Roma del 374 e 377, da quello di Alessandria del 378, di Antiochia del 379 e, infine, dal concilio ecumenico di Costantinopoli del 381. Apollinare, per niente impressionato dalle censure, costituì ad Antiochia una comunità con una propria gerarchia ecclesiastica finché l'imperatore Teodosio I (379-395), con una propria ordinanza del 388, lo condannò all'esilio. Morì prima del 392 e la sua scuola teologica confluì nell’ortodossia, accettando la completa umanità di Cristo, oppure nel monofisismo, che si andò sviluppando nel V secolo e che vedremo più avanti.

L’eresia di Apollinare si concentra in due affermazioni: la carne del Cristo è “celeste”, cioè divina e la negazione della parte superiore dell’anima umana, cioè il “nous”, lo spirito. Quindi per Apollinare Cristo non ha un’anima razionale e spirituale come l’uomo, perché altrimenti avrebbe dovuto condividere anche la sua caducità, cioè il peccato e questo sarebbe impossibile. Quindi Cristo avrebbe assunto solo la “carne”, cioè il corpo e l’anima vegetativa, sostituendo quella razionale e spirituale con quella divina. In defintiva Gesù avrebbe avuto due nature, umana e divina, ma solo una volontà, quella divina. Per giustificare tale visione Apollinare citava il versetto del vangelo di Giovanni: “E il verbo si fece carne” (1, 4) intendendo col termine “carne” solo la parte materiale della natura umana. 

A contrastare questa visione, rilevandone i tratti contrari all’originale fede degli apostoli e a quanto riportato dalla Scrittura, furono i padri cappadoci Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa. Questi fecero notare che se l’incarnazione avesse riguardato solo il corpo e una parte dell’anima umana, allora Cristo non sarebbe stato perfettamente uomo perché mancante dell’elemento principale dell’essere umano che è l’anima propria dell’uomo, cioè quella intellettiva. Anche l’interpretazione del versetto 1, 4 del vangelo di Giovanni è sbagliata: infatti la parola greca per “carne”, cioè “sarx”, che traduce l’ebraico “basar”, intende l’uomo nella sua interezza, sottolineando il suo aspetto di debolezza e fragilità tipico dell’intero uomo, corpo ed anima.

L’eresia è, quindi, evidente: se Cristo non ha assunto tutta la natura umana, allora anche la sua redenzione è incompleta. Ciò che non è stato assunto non sarebbe stato redento e questo è impossibile. In realtà Cristo ha assunto anche la volontà umana che in Lui ha convissuto con quella divina. Nell’orto degli ulivi abbiamo la più eclatante manifestazione delle due volontà presenti in Gesù (Mt 26, 36-44), il quale non è venuto per fare la Sua volontà, ma quella del Padre (Gv 6, 37-40). E’ la volontà umana di Cristo, che accetta la volontà del Padre, quella che compie il sacrificio che ci salva (Eb 10, 1-10).


Bibliografia

Guillaume Voisin,” L'Apollinarismo” (Louvain, 1901);
Hans Lietzmann, “Apollinaris von Laodicea und seine Schule” (Tübingen, 1905)

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