domenica 30 novembre 2014

Magistero e potere politico: l'insidia del monotelismo.


Una critica frequente che viene espressa alla figura evangelica di Gesù è quella di, in fondo, non aver fatto niente di eccezionale: Gesù, essendo Dio, poteva avere tranquillamente la forza di sopportare la passione e permettersi senza tanto sforzo di sovvertire la società ebraica del suo tempo. Questa critica si basa essenzialmente sulla negazione della piena umanità del Cristo. Questa critica non è certo una novità, infatti già nei primi secoli dell’era cristiana questa convinzione fu propria di molte eresie, come quella del monotelismo, molto simile all’apollinarismo che abbiamo visto recentemente.

Il monotelismo fu una eresia che si sviluppò a più riprese in Oriente, agli inizi del settimo secolo, e che aveva come carattere distintivo la negazione della piena umanità del Cristo. Secondo questa eresia in Cristo ci sarebbe stata una sola attività dipendente dalla persona che è divina, quindi ci sarebbe stata solo l’attività divina dovuta da una volontà divina. Risultava difficile concepire la piena umanità del Cristo e, quindi, la presenza del peccato, con la sua santità divina. L’impeccabilità di Cristo non sarebbe tutelata se si fossero avute due volontà, umana e divina, perché una di queste potrebbe essere indipendente dall’altra ed impedire l’unità di Cristo e, di conseguenza, la sua santità.

Questi modi di pensare erano fatti con le migliori intenzioni per conciliare le visioni opposte nel campo teologico di allora. Furono essenzialmente dei tentativi di trovare un compromesso tra il monofisismo, che vedremo più avanti, che ancora si trascinava e l’ortodosso difisismo proclamato nel concilio di Calcedonia del 451. Come iniziatore di questo movimento è ricordato Sergio, patriarca di Costantinopoli dal 610 al 638, che parla di attività “energheia”, e non di natura, in Cristo. Per Sergio, Cristo ha una sola attività, quindi, pur avendo due nature, umana e divina, è sempre lo stesso “Logos” che opera attraverso una sola attività.

A partire dal 633 Sergio fu avversato da Sofronio, patriarca di Gerusalemme, e, soprattutto, da un monaco chiamato Massimo il confessore, uno dei grandi padri della Chiesa orientale. Come è sempre stato in uso nella cristianità, per prevalere su tali opposizioni, Sergio cercò l'accordo col vescovo di Roma, papa Onorio, che, preoccupato dalla piega troppo polemica che andava assumendo la questione, per amore della pace, optò per una soluzione di compromesso dando ragione a Sergio pur riconoscendo l’ortodossia di Sofronio. Questa approvazione di Onorio a Sergio, un eretico che sarà condannato dal terzo concilio di Costantinopoli nel 680, divenne, in seguito, l’argomento principale di coloro che si opposero al dogma dell’infallibilità papale formulato nel Concilio Vaticano I del 1870. In realtà non ci fu l'avallo di nessuna posizione eretica, la posizione di papa Onorio fu pienamente ortodossa, così come spiega teologicamente il suo successore papa Giovanni IV nel 641 nella lettera indirizzata all’imperatore “Apologia pro Honorio papa”. La risposta accondiscendente di papa Onorio a Sergio fu dovuta essenzialmente al fatto che a prendere le parti di quest’ultimo fu l’imperatore in persona, Eraclio, che per tenere unito il suo impero diviso tra ortodossi calcedoniani e monofisiti aveva pensato alla soluzione a metà strada di Sergio. L’imperatore, con due editti, tra i quali l’Ektesis del 638 scritto dallo stesso Sergio, aveva imposto che Cristo dovesse avere una sola volontà chiamata “ipostatica”. Anche il successore di Eraclio, Costante II, fu dello stesso avviso con un editto dello stesso tono chiamato “Typos”. La risposta di Onorio fu, quindi, pesantemente influenzata dall’ingerenza dell’imperatore e non può essere utilizzata per negare il dogma dell’infallibilità.

La Chiesa di Roma, visto il perdurare di questa posizione eretica da parte dell’imperatore, così come si era pronunciata contro il monotelismo nel 641 con papa Giovanni IV, ribadisce la sua posizione nel 649 quando papa Martino I, con un Concilio convocato in Laterano di centoventicinque vescovi, condanna nuovamente il monotelismo e i decreti imperiali. La reazione di Costante II fu feroce, Martino venne arrestato, sottoposto ad una prigionia devastante e al dileggio pubblico, infine processato e spedito in esilio in Crimea dove dopo due anni, nel 655, morì martire. Anche Massimo il Confessore fu seviziato, gli furono tagliate la lingua e la mano destra, ed esiliato nel 662.

La posizione eroica del vescovo di Roma a difesa dell’ortodossia portò, infine, i suoi frutti. Il nuovo imperatore di Costantinopoli, Costantino IV, si riconciliò con papa Agatone e insieme convocarono un nuovo Concilio, il Costantinopolitano III, dal 680 al 681, che condannò definitivamente il monotelismo.

Come abbiamo già visto per l’apollinarismo, anche il monotelismo è chiaramente antiscritturale. Gesù non aveva solo la volontà divina, ma anche quella umana in quanto la sua incarnazione fu perfetta. Per amore verso gli uomini Egli volle assumere pienamente, tranne che nel peccato, la condizione umana. La lettera agli Ebrei dice chiaramente che la volontà umana di Cristo accetta la volontà del Padre per compiere il sacrificio di salvezza (Eb 10, 1-10), e Giovanni nel suo vangelo testimonia come Gesù sia venuto per fare la volontà del Padre e non quella sua. Queste affermazioni delle due volontà in Cristo, che si ritrovano frequentemente in tutto il vangelo dimostrano come la fede cattolica sia conforme alla fede apostolica originaria. E questo, spesso, passando per il martirio.

Bibliografia 

O. Bertolini, "Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi", Bologna 1941; 
G.P. Bognetti, "I rapporti etico-politici fra Oriente e Occidente dal secolo V al secolo VIII", in Id., L’età longobarda, IV, Milano 1968;
P.Corsi, "La politica italiana di Costante II, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’Alto Medioevo". Atti del Convegno 1986, II, Spoleto 1988.

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