venerdì 27 febbraio 2015

Ci mancava anche la predica del Charlie Hebdo.

E' proprio vero: non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire, e i redattori del giornaletto satirico francese Charlie Hebdo sono decisamente sordi. Sordi e anche duri di comprendonio. Il Papa, qualche tempo fa, durante il suo viaggio nelle Filippine lo aveva detto forte e chiaro: se non rispetti neppure mia madre il minimo che ti devi aspettare sarà un pugno! Ma loro niente! Hanno ripreso, sbattendo di nuovo Maometto in prima pagina. Il risultato? In risposta all'ennesima vignetta gli estremisti musulmani hanno bruciato l'80% delle chiese cristiane in Niger. Complimenti vivissimi, veramente una bella operazione di satira intelligente ed evoluta.

Ma non finisce qui, ora bisogna sorbirci anche la predica che il giornaletto rivolge al Papa considerandolo un estremista. Nella prima pagina dell'ultimo numero compare un Papa Francesco furente che, assieme alle caricature di un jihadista, di Marine Le Pen e di Nicolas Sarkozy, cerca di assalire un povero cagnetto con una copia del Charlie. L'accusa è chiara: il Papa dovrebbe rileggersi i Vangeli, "perché un buon cristiano non darebbe mai un pugno a chi insulta sua madre, ma porgerebbe l’altra guancia".

A parte il fatto che il Papa quando ha fatto quelle dichiarazioni non parlava assolutamente della reazione che deve avere il cristiano, ma metteva in guardia sul fatto che se si offendono gli affetti più cari è naturale che ciò provochi una reazione violenta e che, quindi, la satira, in previsione di questo fatto, non dovrebbe mai spingersi oltre tali limiti, occorre anche registrare l'ottusità mostrata ancora una volta dai redattori del giornaletto francese che ha causato le recenti violenze in Niger. In questo paese i cristiani rappresentano solo l’1% della popolazione, per il resto musulmana, ma hanno sempre vissuto in armonia, fino all’uscita del numero di Charlie Hebdo con la vignetta su Maometto. "Per i cristiani qui è suonata la sveglia, non sapevamo di avere nemici", spiega Boureima Kimso, capo dell’Alleanza delle chiese evangeliche in Niger.

Queste mezze tacche e parodie di giornalisti satirici, così ottusi ed ignoranti, che non riescono neppure a comprendere il senso dei discorsi del Papa, dovrebbero almeno avere il pudore di evitare di affrontare temi, come l'interpretazione del Vangelo, di cui sono totalmente avulsi. 

mercoledì 11 febbraio 2015

La dignità del corpo umano per il laicismo.


E' di questi giorni la sconcertante notizia dell'intenzione di costituire un piccola zona destinata alla pratica della prostituzione all'interno del quartiere romano dell'Eur. L'iniziativa è partita da un'idea del presidente del IX municipio Andrea Santoro con l'approvazione del sindaco Ignazio Marino, secondo queste "illuminate" menti in questo modo si potrebbero proteggere le prostitute assicurando loro un ambiente più sicuro e controllato. Ma queste argomentazioni non sono sembrate molto convincenti, infatti sia dall'interno dello stesso partito del Sindaco che dal Vaticano, si è subito levato un coro di critiche, persino il Prefetto di Roma ha avvertito che un'operazione del genere potrebbe costituire un favoreggiamento della prostituzione. In un bell'articolo comparso ieri sul Corriere della Sera la scrittrice Dacia Maraini ha ribadito che "non servono ghetti, ma lezioni a scuola".

Sempre restando in un'ottica laica, anch'io ritengo totalmente assurda un'idea del genere e trovo avvilente l'incredibile incompetenza del Sindaco Marino, e della sua Giunta, che s'illudono di poter replicare modelli nord europei ignorando la profonda differenza tra le due situazioni. I famosi quartieri a luci rosse di città come Amsterdam, Copenaghen o Amburgo riguardano la prostituzione intesa come un vero e proprio mestiere, esercitato da libere professioniste, ma a Roma, e del resto in tutta Italia, la prostituzione è un triste fenomeno di prevaricazione e violenza. Nella stragrande maggioranza dei casi queste donne sono attirate in Italia con la scusa di un lavoro e poi costrette con la forza a prostituirsi. In moltissimi casi si tratta di vera e propria riduzione in schiavitù. Possibile che la Giunta Marino non sappia queste cose?

Il cinismo esasperato di questa classe politica dirigente romana è deprimente e frutto più tipico della visione laicista della persona umana. La donna, in fondo, è una cosa e il suo corpo un oggetto come un'altro. Un guasto tipico del laicismo è proprio quello di svuotare la vita umana, ed in particolare il corpo umano, della sua sacralità. In una società dove è possibile uccidere la vita nel grembo della madre, dove è ritenuto normale considerare l'embrione umano un oggetto qualunque, dove vengono calpestati i diritti dei più deboli, dei bambini che non possono difendersi, non c'è da meravigliarsi se si considera normale avallare le situazioni di schiavitù in cui sono costrette centinaia di povere disgraziate. 

Occorrerebbe, invece, recuperare questo senso del sacro, dell'inviolabilità della vita umana, educare i giovani al rispetto della dignità umana, da questo discenderebbe tutta una serie di benefici, tra i quali quella di tirar su una nuova generazione che non consideri più come una cosa normale acquistare il corpo di una donna disperata per il proprio piacere.

martedì 3 febbraio 2015

L'infallibilità papale: assurdità cattolica?

Nel 1870, a Roma, durante la prima fase del Concilio Vaticano I, presieduto dal papa di allora Pio IX (nella foto accanto), fu votato ed approvato il dogma dell’infallibilità papale. Praticamente si stabilì che quando il Papa parla ex cathedra, cioè come pastore universale della Chiesa, non può sbagliare.

Tra tutti i dogmi della Chiesa Cattolica questo è certamente quello che tra i laici e i non cattolici suscita più resistenze e perplessità. Anche molti teologi, come il russo Kireev e lo svizzero Küng, hanno posizioni fortemente critiche verso questo dogma. Ovviamente non può mancare anche la becera critica del mondo laicista che, ignorando il significato preciso e la natura di questo dogma, rinfaccia ai cattolici ogni discutibile operato e dichiarazione dei vari papi, spacciandoli per prove dell’inconsistenza del dogma. 

La definizione esatta del dogma dell’infallibilità papale riportata dalla costituzione dogmatica Pastor Aeternus del 1870 stabilisce precisamente i confini di tale infallibilità: il Papa deve sancire come supremo Pastore universale della Chiesa, deve insegnare a tutta la Chiesa, deve esplicitamente far intendere che sta confermando con atto definitivo una dottrina di fede e di morale e che la materia su cui si esercita il carisma dell’infallibilità è esclusivamente la fede e la morale. Da ciò ne deriva il fatto che il Papa e la Chiesa non sono affatto esenti da imperfezioni o debolezze in campo morale. La Chiesa. Infatti, ha sempre riconosciuto che nella lunga storia del Papato vi sono stati pontefici dal comportamento morale molto discutibile. 


Contrariamente a quanto affermano le confessioni cristiane non cattoliche, questo dogma, come del resto tutti gli altri, ha la sua base scritturale. Nel Vangelo, infatti, leggiamo che Cristo fondò la sua Chiesa sull’apostolo Pietro: “Tu sei Pietro e su di te edificherò la mia Chiesa” (Mt 16, 18). Questo significa che se Pietro potesse cadere in errore in materia di fede o di morale, ciò significherebbe che Cristo avrebbe edificato la sua Chiesa, che ha il compito di conservare il bagaglio della fede e della morale, sull’errore. E questo è inammissibile essendo Cristo Dio. Siccome anche i successori di Pietro, i vescovi di Roma, hanno lo stesso ruolo di Pietro, valgono le stesse considerazioni. Non è da sottovalutare anche il fatto che l’infallibilità del Papa è stata riconosciuta in varie occasioni in epoca antica. Nel 110 Ignazio, vescovo di Antiochia, morto martire a Roma, afferma chiaramente che i cristiani di quella città “sono puri da ogni estranea macchia” intendendo con questo l’infallibilità della Chiesa di Roma. Convinzione propria anche del vescovo di Lione, Ireneo, che, sempre nel II secolo, afferma che con la Chiesa di Roma deve accordarsi ogni altra Chiesa in quanto in essa è conservata la fede apostolica. Nel III secolo tale convinzione nell’infallibilità della Chiesa di Roma, e quindi nel suo vescovo, è attestata in Cipriano, vescovo di Cartagine, secondo il quale nella Chiesa di Roma non può albergare l’errore. 


Eppure tutto ciò sembra non bastare e molti avversari del dogma, per dimostrare la sua falsità, citano casi storici in cui le decisioni prese dai Papi non sono state oggettivamente infallibili. Generalmente vengono citati i casi dei Papi Liberio (352-366), Onorio I (625-638) e Giovanni XXII (1316-34). 


Papa Liberio fu coinvolto nella crisi ariana e non si comportò in modo eroico come fece Sant’Atanasio o Sant’Ilario di Poitiers, ma si trovò frastornato in mezzo ad una quarantina di formule teologiche dove la presenza o l’assenza di un solo “iota” (omooùsios, omoioùsios), la presenza o l’assenza di un ”alfa” (anòmois, òmois) creavano difficoltà apparentemente insormontabili, inoltre Liberio fu anche condannato all’esilio dall’imperatore di allora, Costanzo II, che era ariano. Fu così che per stanchezza e per desiderio di pace, con la promessa di poter far ritorno a Roma, che il Papa si adattò a firmare una formula elaborata a Sirmio da Basilio di Ancira che respingeva l’”omoùsios” del Concilio di Nicea. Tale formula fu, però, sicuramente antiariana, infatti a Sirmio vennero condannati gli anomèi, cioè gli ariani puri. Questo caso, quindi, non può essere classificato come un errore teologico del Papa e, così, essere considerato come una prova della falsità del dogma dell’infallibilità. Il Papa non poté esprimersi liberamente ed in una condizione “ex cathedra” ed agì diplomaticamente, sempre sotto la minaccia della continuazione dell’esilio. 



Il caso di Onorio I (che abbiamo già visto) fu certamente più grave in quanto si ebbe addirittura una sua condanna come eretico nel VI concilio ecumenico, il III di Costantinopoli, nel 681. La sua vicenda fu considerata dagli oppositori dell’infallibilità papale al Concilio Vaticano I, come la principale difficoltà storica. Ma anche in questo caso il favore concesso da Onorio a Sergio, patriarca di Costantinopoli nel VII secolo fautore del monotelismo, fu pesantemente influenzato dall’ingerenza dell’imperatore e, nonostante questo, il papa si mantenne sempre nell’ortodossia negando che in Cristo coabitassero due volontà contrarie. D’altra parte lo stesso Massimo il Confessore, monaco martire, grande avversario del monotelismo, difese sempre la memoria di Onorio ritenendo che la lettera del Papa a Sergio, del 634, si preoccupò essenzialmente di ciò che andava negato, ossia l’esistenza di due volontà contrarie in Cristo. Per questo nel 682 Papa Leone II conferma la condanna di Onorio I, ma ammettendone la negligenza, non l’eresia. Inoltre questa famosa lettera fu indirizzata da Onorio solo al patriarca Sergio e non a tutti gli altri patriarchi, non rivestendo, così, un carattere di universalità, requisito indispensabile per poter parlare di infallibilità papale.

Infine il caso di Papa Giovanni XXII che intervenne nella discussione teologica della visione beatifica delle anime dei giusti. Il Pontefice, un abile amministratore, ma pessimo teologo, abituato a prendere le questioni di petto, senza troppe riflessioni, affermò che tale visione si gode solo dopo il giudizio universale e non subito dopo la propria morte. Subissato dalle critiche, si affrettò a cambiare opinione. Si trattò, quindi, di una sua semplice opinione personale, non di un’espressione “ex cathedra”. Niente a che vedere con l’infallibilità papale. 
In nessuno di questi tre casi si riscontrano le circostanze per parlare di infallibilità papale per come è stata definita dal Concilio Vaticano I che, come abbiamo visto, è caratterizzata esclusivamente da una esplicita presa di posizione, solenne ed autoritaria, rivolta a tutta la Chiesa in materia di fede e morale. 

Tutto ciò implica il fatto che il Papa, come qualsiasi altra persona, alle prese con le difficoltà, può avere delle esitazioni ed incorrere in veri e propri sbagli, la sua infallibilità riguarda solamente un ambito molto preciso e ristretto ed è, storicamente, un avvenimento assai raro. E’ significativo constatare che se è vero che i Papi si sono talvolta sbagliati, si sono anche subito corretti e che la Chiesa di Roma è l’unica che può vantare il fatto di non essere mai incorsa in contraddizioni in materia di fede e morale. Non è possibile addurre alcun esempio di Papi che abbiano determinato e propagato l’errore con ostinazione. In questi due millenni di vita i Papi ebbero la possibilità di piegare la scrittura ai loro fini cercando di edulcorarla per giustificare le loro azioni, ma non lo hanno mai fatto. Papi tremendi come Bonifacio VIII, Giulio II o Alessandro IV si sono sempre astenuti da pronunciamenti dogmatici “ex cattedra”. E’ difficile non cogliere, in questo sorprendente dato di fatto, la realizzazione delle profetiche parole di Gesù nel vangelo: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa“ (Mt 16, 18). 



Bibliografia


AAVV “Enciclopedia del papato”, Ed. Paoline, 1964; 
G.R. Palanque, G. Bardy, G.D. Gordini “Dalla pace costantiniana alla morte di Teodosio (313-395)", Ed. Paoline, 1972; 

Infallibile? Rahner, Congar, Sartori, Ratzinger, Schnackenburg e altri specialisti contro Hans Küng”, Ed. Paoline, 1973; 

G.B. Sala “Infallibile? Una risposta” Ed. Paoline, 1973; 

http://it.cathopedia.org/wiki/Infallibilit%C3%A0_pontificia