lunedì 22 agosto 2016

Gli Alogi, i negatori del logos

Verso la fine del II secolo la grande disputa sorta intorno alla visione gnostica del messaggio evangelico si arricchì di nuovi elementi che contribuirono a rendere la discussione sull'ortodossia della fede cristiana sempre più tormentata. In Asia Minore, l'odierna Turchia, si era sviluppata l'eresia montanista, un movimento religioso che, partendo da posizioni molto vicine allo gnosticismo, prese ad esaltare la figura dello Spirito Santo e del Logos divino come elementi centrali ed esclusivi del messaggio cristiano. Tutto ciò portò inevitabilmente, nella situazione magmatica delle comunità cristiane del posto, a movimenti di reazione. Tra questi sorse nella penisola anatolica un gruppo religioso che per contrastare le visioni e le pretese profetiche dei montanisti prese a considerare le figure dello Spirito Santo, il Paraclito, e del Logos annunciati del vangelo di Giovanni e nella sua Apocalisse, come false ed ingannevoli. 

I componenti di questo gruppo rifiutavano di considerare Cristo come il Logos, cioé il Verbo, e rinnegavano gli scritti canonici tradizionalmente attribuiti a Giovanni, cioè il IV vangelo e la sua Apocalisse (Ireneo di Lione, Adversus Haereses, III, II 9). Per questo motivo il vescovo Epifanio di Salamina nella sua opera contro tutte le eresie, il Panarion del IV secolo, li chiamò "Alogi", cioè "negatori del Verbo" e riferì anche che consideravano gli scritti giovannei canonici come opera di Cerinto d'Antiochia, un teologo siriano gnostico, ritenuto eretico dalla tradizione giovannea.      

Epifanio fu molto duro con tali prese di posizione e non si fece scrupoli a considerare gli Alogi come un gruppo composto da persone poco intelligenti. Non si spiegava, infatti come fosse possibile che Cerinto abbia potuto scrivere un libro che contraddicesse le sue convinzioni teologiche. Cerinto, infatti, considerava Cristo solamente un uomo che fu successivamente adottato da Dio, mentre il vangelo di Giovanni, e la sua Apocalisse, definiscono chiaramente la divinità preesistente di Gesù.

Così come i Montanisti, anche gli Alogi, nati per reazione, sono ugualmente molto distanti dalla primitiva ed originale tradizione apostolica che ha sempre riconosciuto in Cristo la sua umanità e divinità. Il vangelo di Giovanni, il più tardo tra i vangeli canonici, scritto verso la fine del I secolo, non fa altro che riassumere la fede cristiana apostolica così come si sedimentò nelle primitive comunità cristiane. E' un vangelo che fu subito reputato di eccezionale importanza dalla comunità cristiana e ritenuto autentico fin dagli inizi dell'era cristiana. Ogni lista di testi nell'uso liturgico della Chiesa primitiva contempla questo vangelo che è presente negli importanti codici del IV secolo, come il Vaticano ed il Sinaitico. Senza dimenticare che il più antico frammento oggi esistente di ogni vangelo, risalente ai primi anni del II secolo, riporta proprio quattro versetti di questo vangelo.  

Bibliografia

Catholic Encyclopedia, Volume I. New York 1911, Robert Appleton Company.
M. Craveri “L’eresia. Dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo“ Mondadori Editore, Milano, 1996;

martedì 9 agosto 2016

Parte XI - Novità ed unicità del messaggio evangelico

Tra le più diffuse critiche al Cristianesimo c’è quella che identifica la fede dei primi cristiani come una religione finta costituita dalla riproposizione di culti preesistenti. Si tratta di una critica insensata, senza alcuna convincente base storica, eppure, fatalmente, anche D. Brown, ripropone le solite stupidaggini. Ne “Il Codice da Vinci”, a pag. 271, uno dei vari personaggi, lo “storico” Teabing, facendo una figura da somaro, afferma: «Nel cristianesimo non c’è nulla di originale. Il dio precristiano Mitra – chiamato ‘Figlio di Dio’ e “Luce del mondo” – era nato il 25 dicembre. Quando morì, fu sepolto in una tomba nella roccia e poi risorse tre giorni più tardi. Tra l’altro il 25 dicembre è anche il compleanno di Osiride, Adone e Dioniso. Al neonato Krishna sono stati offerti oro, incenso e mirra…». 

Veramente una sconcertante dimostrazione di crassa ignoranza! Come è possibile dire che nel Cristianesimo non c’è nulla di originale? Come è possibile paragonare Gesù ed il Cristianesimo con i culti di divinità pagane? Se c’è un punto su cui tutti sono d’accordo, cristiani, non cristiani ed atei, è proprio quello di considerare Gesù come una figura rivoluzionaria, di “rottura”. Egli, ebreo di nascita, dapprima stravolge la mentalità ebraica del suo tempo attuando comportamenti e professando insegnamenti assolutamente originali e impensabili per un giudeo. Poi universalizza il suo messaggio, cosa assolutamente inaudita, coinvolgendo nel suo progetto anche i gentili, cioè i non giudei. Si possono fare innumerevoli esempi di tutto questo: Egli porta a compimento la legge mosaica, la “Thorà”, (Mt. 5, 17), ritenuta sacra ed assolutamente intoccabile per gli ebrei, sostituendo il precetto formale con la legge dell’amore interiore (Mt. 5, 20; Mt. 5, 43-47). Insegna che la purità legale che si ottiene con le abluzioni, ritenute sacre ed imprescindibili, non ha alcun valore, ma è la purificazione del cuore che ci rende degni di Dio (Mt. 15, 1-20). Alla legge del taglione “occhio per occhio, dente per dente”, ritenuta fondamentale dagli ebrei, sorprendentemente, oppone il perdono (Mt. 5, 38-42; Luca 6, 29-30). Egli ama ed ha compassione per i peccatori (Mt. 9, 10-13; Mc. 2, 15-17; Luca 5, 30-31; Gv. 8, 1-11), misericordia con le prostitute (Luca 7, 36-50). Per gli ebrei le malattie sono punizioni divine per i propri peccati (Gv. 9, 1-2), eppure Gesù ha pietà per gli ammalati guarendoli fisicamente e spiritualmente, cioè rimettendogli i peccati, operazione, per gli ebrei, di esclusiva competenza divina (Mt. 9, 1-8; Mc 2, 1-12; Luca 5, 21). Sconvolgente è il messaggio di uguaglianza di tutti i popoli di fronte a Dio. Distrugge il concetto di popolo eletto da Dio che avevano gli ebrei (Mt. 8, 5-13), pone a modello di fede degli stranieri (Luca 10, 29-37; Luca 17, 11-19) ed afferma che tutti possono far parte del nuovo popolo di Dio e divenire suoi figli, se si convertono e lo amano (Mt. 7, 21; Luca 6, 46). 

Ma tutto questo è niente di fronte alla novità di un Dio che si fa uomo, che si lascia crocifiggere e che, fatto veramente eccezionale, dopo tre giorni risorge. E’ la risurrezione la più grande novità del Cristianesimo! La morte dovuta al peccato non esiste più, l’uomo non è un essere destinato alla distruzione, ma viene accolto con amore da Dio Padre. La risurrezione è il fondamento della fede cristiana (2Cor. 5, 16), non è una credenza sviluppatasi più tardi all’interno della Chiesa. E’ il dato di fatto storico testimoniato dagli apostoli attorno al quale si fonda la comunità cristiana. Quindi niente a che vedere con i miti iranici legati al culto del dio Mitra, in cui la “morte” e la “risurrezione” erano eventi legati al ciclo della natura che alterna le sue stagioni passando dal letargo dell’inverno al rifiorire della primavera. Niente di storico in tutto questo. La data del 25 dicembre, che, tra l’altro, non compare mai in nessun vangelo, era una ricorrenza simbolica della vittoria della luce sulle tenebre (solstizio d’inverno) in cui venivano celebrate divinità “solari” come, appunto, Adone, Osiride, Dioniso e, specialmente, il “Sol invictus”. La risurrezione di Gesù, così come raccontata dagli apostoli, è un fatto del tutto nuovo e sconvolgente, non ha riscontri presso gli ebrei che credevano solo in una risurrezione alla fine dei tempi (Gv. 11, 23-24; 1Cor. 15, 12) e neanche presso i Greci e i Romani. Questi non potevano concepire l’idea di un uomo che risorgesse e, per giunta, nella sua interezza di anima e corpo (1), proprio per questo motivo gli Ateniesi, sulla collina dell’Aeròpago, deridono Paolo quando parla loro della resurrezione di Gesù (Atti 17, 32). 

D. Brown afferma che anche il dio Mitra era chiamato “Figlio di Dio” e “Luce del mondo”, e allora? Anche i Faraoni dell’antico Egitto erano denominati così, i grandi condottieri greci e macedoni si ritenevano figli della divinità, per non parlare, poi, dei vari sovrani orientali o degli imperatori romani. Quello che D. Brown non sa è che il titolo di “Figlio di Dio” ha per gli ebrei un significato del tutto originale e particolare che lo contraddistingue da ogni altra tradizione. Il “Figlio di Dio” è l’atteso annunciato dai profeti, il messia promesso da Dio al suo popolo, una sorta di essere superiore che viene a riscattare Israele dalle sue infermità. Gesù applica a se stesso questa speranza messianica, solo che, altra novità, non si tratta di un riscatto terreno, “politico”, ma di una libertà dal peccato, cioè il “Regno di Dio”, la vita eterna.

Note
(1) per gli ebrei l’uomo è un’unità indivisibile di corpo e di anima, di materia e spirito, quindi l’unica risurrezione possibile è quella di quest’uomo completo. Per i greci, al contrario, l’uomo è il risultato di una addizione: corpo e anima, materia e spirito, dove la parte spirituale è come prigioniera di quella materiale.