venerdì 29 dicembre 2017

La Chiesa e la proibizione della lettura della Bibbia

Tra le tante accuse generate dalla malignità del laicismo e da quella di molte confessioni protestanti contro la Chiesa Cattolica, un posto di tutto riguardo spetta certamente al divieto che la Chiesa di Roma avrebbe imposto ai suoi fedeli di leggere autonomamente le Scritture sacre, in special modo i vangeli. Secondo i laicisti tale divieto rappresenterebbe una delle prove più schiaccianti di come la Chiesa Cattolica fosse nient’altro che una organizzazione oscurantista ed affossatrice del “libero” pensiero. Questa sciocchezza è stata talmente ripetuta dalla propaganda laicista che persino un’autorità della cultura mondiale come Indro Montanelli ebbe modo di affermare: “Da quando il Concilio di Trento aveva formalmente ribadito che il credente non aveva affatto il dovere, anzi non aveva il diritto di leggere e d'interpretare le sacre scritture. Di esse era perfino proibita la traduzione in lingua italiana appunto per riservare al prete il compito di decifrarle. Il verbo doveva restare un'esclusiva di casta..." (I. Montanelli “L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)” Rizzoli, 1998, p. 21). 

I protestanti sono particolarmente accaniti nel reiterare tale accusa: per loro la Chiesa romana vietò la lettura della Bibbia al popolo perché temeva che gli abusi e le eresie presenti nella dottrina cattolica venissero scoperti. Per sostenere questa loro tesi viene sempre portato ad esempio il pronunciamento del Concilio di Tolosa che, già nel 1229, avrebbe vietato a tutti i cristiani la lettura della Bibbia. A questo divieto seguì poi il famoso provvedimento di papa Paolo IV che nel 1559, per contrastare l’avanzata del protestantesimo, istituì l'Indice dei libri proibiti nel quale erano vietate ben 45 versioni della Bibbia in lingua volgare, tradotte da autori sospetti, non cattolici o anonimi. 

L’elenco delle “prove” che dimostrerebbero questa volontà della Chiesa Cattolica di proibire la lettura della Bibbia contempla anche un misterioso documento del 1553 conservato nella Biblioteca nazionale di Parigi ed intitolato: “Avvisi sopra i mezzi più opportuni per sostenere la Chiesa romana”. Questo documento che sarebbe stato redatto da tre fantomatici vescovi del tempo consigliavano il papa di allora, Giulio III, a non permettere la lettura dei vangeli affinché il popolo non scopra la falsità e le eresie della dottrina cattolica. 

A detta dei protestanti e dei laicisti tutto ciò dimostrerebbe come la Chiesa sia stata un’organizzazione criminale e truffaldina che abbia sempre impedito e proibito la libera lettura delle Scritture arrivando a condannare e mandare al rogo chiunque si fosse azzardato a tradurre dal latino in lingua volgare la Bibbia.

Quindi, a sentire protestanti, laicisti ed anticattolici vari, sembrerebbero provati l’oscurantismo ed il dispotismo cattolici. Ma anche stavolta ci troviamo di fronte ad una falsità, ad una campagna denigratoria che non ha nulla di vero. Per rendersene immediatamente conto basta riportare la tanto evocata disposizione del Concilio di Tolosa del 1229: “Proibiamo che qualsiasi laico possieda i libri dell'Antico o del Nuovo Testamento tradotti in lingua volgare. Se una persona pia lo desidera, può avere un Salterio o un Breviario... ma in nessun caso dovrà possedere i libri sopra menzionati tradotti in lingua romanza”.

Come si può notare, questa disposizione non vieta affatto la lettura della Bibbia, ma solo quelle tradotte in lingua volgare. La lettura ed il possesso della Bibbia in lingua latina, cioè la versione tradotta da San Girolamo, la cosiddetta “Vulgata”, erano permessi e raccomandati. La Chiesa Cattolica, infatti, anche a causa del diffuso analfabetismo tra il popolo e l’elevato costo dei libri, ha sempre favorito la lettura e la meditazione della Scrittura all’interno di monasteri e biblioteche. I monaci ed il clero secolare erano incoraggiati a leggere le scritture secondo le loro necessità spirituali, come anche testimonia Ireneo di Lione nel II secolo (Adversus haereses 3, 4). 

Ma perché la Chiesa proibì la lettura ed il possesso di Bibbie tradotte in lingua volgare? Per capire le ragioni di un tale provvedimento occorre conoscere il contesto in cui si svolse il Concilio di Tolosa. Nel XIII secolo in Europa, e specialmente nel sud della Francia e nord Italia, si assistette alla comparsa di movimenti ereticali di tipo gnostico che cominciarono a diffondere interpretazioni eterodosse della Scrittura. Queste si basavano su una visione spiritualista del messaggio dei vangeli, in particolare quello di Giovanni, arrivando a negare la bontà della materia e delle sue manifestazioni concrete come il matrimonio e la procreazione, lo Stato e, specialmente, il potere temporale e la Chiesa Cattolica alla quale si negava anche il ruolo di mediatrice tra Dio e gli uomini. Di conseguenza tutti i sacramenti erano visti come frutti malvagi della corruzione del peccato originale, mentre occorreva estraniarsi dal mondo e fuggire dalla corporeità. Tutto ciò diede origine a movimenti sociali di vasta portata che sfociarono ben presto in vere e proprie rivolte. Tra queste molto nota è la vicenda dei Catari francesi, denominati “Albigesi”, dal nome della città di Albi, loro principale centro, che determinò un vero e proprio sconvolgimento della società medioevale. Fu, quindi, in quel periodo in cui l’ortodossia della fede cristiana fu messa gravemente in pericolo, che la Chiesa, dietro anche la pressante richiesta delle autorità politiche, come il re di Francia Roberto II, il conte di Poitiers e duca di Aquitania Guglielmo e l'imperatore Enrico III, vietò la lettura personale della Bibbia in lingua volgare per evitare gli eccessi gnostici (Rino Cammilleri “Storia dell'inquisizione” 1997, p. 16). 

Inoltre è opportuno specificare che il Concilio di Tolosa non fu un Concilio ecumenico, ma solo un sinodo locale, cioè le sue deliberazioni non determinarono una norma per tutta la Chiesa cattolica, ma solo per la comunità locale dove era presente il problema. Ciò significa che i pronunciamenti di tale sinodo avevano un valore limitato al periodo dell’emergenza gnostica e non determinavano un atteggiamento generale. 

La Chiesa, infatti, non si è mai opposta alla diffusione di traduzioni bibliche in lingue moderne, ma solo a quelle che erano mutile, cioè che non riportavano tutti i libri canonici, e che, a suo giudizio, propugnavano interpretazioni eretiche. Ad esempio la Bibbia Alfonsina del 1280 in lingua spagnola, quella a cura di John Rellach del 1450 in lingua tedesca, quella in italiano del 1471 curata dal monaco camaldolese Nicolò Malermi, quella in francese di Jacques Lefèvre d'Étaples del 1528 o la Bibbia di Reims, in inglese, del 1609, furono tutte traduzioni riconosciute dalla Chiesa cattolica la cui lettura e possesso erano permessi. 

Il misterioso documento del 1553, “Avvisi sopra i mezzi più opportuni per sostenere la Chiesa romana”, richiamato spesso dai protestanti, risulta essere un falso. Gli storici hanno ormai accertato da tempo che non si tratta di un documento cattolico, infatti a Parigi è conservato un libello di Pier Paolo Vergerio, un ecclesiastico cattolico divenuto protestante, che in odio alla Chiesa cattolica scrisse quella citazione di parte (A.C.Siegrfied ”La Vita e i lavori di P.P.Vergerio”, Strasbourg, 1857 - in 8°, pag. 39). Questo testo fa parte dei numerosi opuscoli pubblicati anonimamente dal Vergeto all'epoca della sua violenta polemica contro il papato.

Un altro mito che occorre sfatare è quello secondo il quale la Chiesa avrebbe perseguitato ed ucciso chi traduceva la Bibbia. Storicamente non risulta niente di tutto questo, la Chiesa si limitava a distruggere le versioni non riconosciute e a sanzionare i trasgressori solo a livello spirituale. Si ha notizia solo di due casi di condanne capitali di autori di traduzioni non autorizzate, entrambe in Inghilterra, relative a John Wycliffe e William Tyndale. Nel primo caso si trattò di una condanna simbolica, infatti vennero bruciati nel 1415 i resti riesumati del corpo sepolto nel 1384 e per quanto riguarda il secondo caso la condanna fu sancita non da un tribunale cattolico ma inglese, dunque anglicano, nel 1536. 

Infine veniamo alla crisi protestante del XVI secolo. Come è noto Lutero non si limitò a sferzare e condannare i costumi corrotti della Chiesa Cattolica, ma propugnò una vera e propria riforma dottrinaria. Tra le varie innovazioni che vennero introdotte ci fu anche quella della libera lettura ed interpretazione della Bibbia da parte di qualsiasi cristiano. Tutto ciò portò ben presto, com’era naturale, ad una molteplicità di interpretazioni ed infine alla frammentazione della Chiesa riformata. Tale impostazione portò inevitabilmente anche alla produzione di versioni della Bibbia tra le più disparate e senza alcun controllo, prima fra tutte la traduzione in tedesco operata dallo stesso Lutero. Questa sua versione fu utilizzata senza tanti problemi come uno strumento di propaganda anticattolica. Venne rigettata senza alcuna seria motivazione l’autorevole Vulgata Clementina, la versione in uso presso la Chiesa Cattolica tratta integralmente dalla versione greca dei LXX, per adottare le cosiddette traduzioni dai testi originali cioè il discutibile e lacunoso Textus Receptus, infatti questi testi originali, in realtà, non sono i più antichi e sono molto frammentati. E come se non bastasse progressivamente furono eliminati i libri deuterocanonici perché conservati solo nella versione greca dei LXX, perché non accettati dagli ebrei e perché favorevoli ad alcuni insegnamenti cattolici non compatibili con i dogmi protestanti della “predestinazione” e della "salvezza per sola fede".

Come è fin troppo evidente i protestanti imposero una loro dottrina e, come in un letto di Procuste, tagliarono ed aggiunsero per giustificare i loro dogmi. E’ normale che la Chiesa Cattolica non poteva restare inerte di fronte allo scempio della Scrittura, così come fino ad allora era stata tramandata, ed è per questa volontà di preservazione dell’originale tradizione apostolica, le autorità ecclesiastiche proibirono la lettura delle versioni protestanti in quanto ricavate da manoscritti scarsamente attendibili, mutile e spesso segnate da stili polemici ed anticattolici. E’ giusto il caso di ricordare che i vangeli, quindi la tradizione apostolica, poggia sulla versione greca dei LXX. 

Fu esclusivamente per contrastare e prevenire questi pericoli che la Chiesa Cattolica pronunciò ufficialmente con il Concilio di Trento la sua condanna:

Il sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale [...] sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti [della Bibbia] e nelle tradizioni non scritte [...]. Seguendo l'esempio dei padri della vera fede, con uguale pietà e venerazione accoglie e venera tutti i libri, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, essendo Dio autore di entrambi [...]. Lo stesso sacrosanto sinodo [...] stabilisce e dichiara che l'antica edizione della Vulgata, approvata dalla stessa Chiesa da un uso secolare, deve essere ritenuta come autentica nelle lezioni pubbliche, nelle dispute, nella predicazione e spiegazione e che nessuno, per nessuna ragione, può avere l'audacia o la presunzione di respingerla [...] Inoltre stabilisce che nessuno, fidandosi del proprio giudizio [...], deve osare distorcere la Scrittura secondo il proprio modo di pensare” (Concilio di Trento, sessione IV, 8 aprile 1546)

Come si vede, con buona pace di Montanelli e dei protestanti, tale pronunciamento non vieta la lettura della Bibbia, ma solo la limita alla sua traduzione ufficiale latina, non vengono vietate le traduzioni in lingue volgari per uso personale, che infatti continuarono a circolare liberamente, previa approvazione ecclesiastica. Infatti la Bibbia venne integralmente tradotta con approvazione ecclesiastica in lingua inglese verso il 1610 ed anche in lingua italiana verso il 1780. 

Nel frattempo la critica biblica e la ricerca si sono dotate di regole scientifiche comuni validate dalla comunità accademica internazionale cosicché oggi tra le migliori edizioni presenti ce ne sono anche di protestanti come la Riveduta del Luzzi, la Nuova Riveduta, l’American Standard Version, la Revised Standard Version e la New American Standard Bible. Sono fortemente affidabili, risultano frutto di un onesto lavoro di revisione sui testi originali e vengono stampate da autorevoli case editrici. Ma in passato un tale sistema di informazioni e di controlli non esisteva ed era forte il pericolo di manomissioni e contraffazioni che potevano diffondere tra il popolo errori, dubbi ed eresie.

Ciò che impressiona è l’incredibile successo che possono avere questi miti negativi sulla Chiesa Cattolica, in fondo bastava andarsi a leggere i pronunciamenti dei Concili di Tolosa e di Trento, che ho riportato, per capire come stessero effettivamente le cose. Ma se pure una mente eccelsa come quella di Montanelli, si è lasciata trasportare dalla sua ideologia anticattolica, si capisce fin troppo bene che contro l’odio ideologico non si può nulla. 


Bibliografia

A. C. Siegrfied ”La Vita e i lavori di P.P.Vergerio”, Strasbourg, 1857;
R. Cammilleri “Storia dell'inquisizione” 1997.

lunedì 25 dicembre 2017

Buon Natale!!!





A tutti i frequentatori e visitatori del blog auguro
un sereno e felice Natale del Signore!

mercoledì 29 novembre 2017

Biglino e la violenza nella Bibbia

Fra i vari argomenti utilizzati da Biglino per cercare di dimostrare che il Dio d’Israele, Yahweh, non sia altro che un feroce capo militare appartenente alla misteriosa casta degli Elohim, ricorre spesso quello riguardante le atrocità e le violenze presenti nella Bibbia. Secondo Biglino, infatti, tali efferatezze non sarebbero altro che la testimonianza di una guerra in cui gli Ebrei, guidati dal loro capo militare Yahweh, hanno distrutto i loro nemici. Nessun Dio, sostiene Biglino, si comporterebbe in questo modo, comandando ed ordinando assassini, stermini, stragi, stupri, rapine e devastazioni. In libri come il Deuteronomio, ad esempio, Dio ordina lo sterminio di interi popoli abitanti la terra di Canaan (cap. 7), oppure nel libro dei Numeri, dove questo feroce Dio comanda addirittura lo stupro delle giovani Madianite (cap.31).


Biglino sfrutta abilmente la vecchia questione della violenza ordinata da Dio, presente nella Bibbia, per tirare l’acqua al suo mulino. Egli sa bene quanta presa e quale impressione generi questo argomento presso il lettore comune ed infatti l’idea che il dio biblico sia solo un bieco sanguinario è uno degli argomenti più gettonati dai denigratori della religione cristiana. Si tratta di una questione antichissima che si propose già nel II secolo d.C. quando il proto-gnostico Marcione, un vescovo e teologo greco antico, propugnò un primo abbozzo di canone delle scritture da ritenersi vere e sacre, in cui tutto l’Antico Testamento veniva scartato come manifestazione di un Dio cattivo e deteriore. Ma già da allora la Chiesa rifiutò una tale impostazione tenendo sempre in grande considerazione la rivelazione di Dio lungo tutta la storia della salvezza e condannò le tesi marcioniste. Oggi, come un novello Marcione, Biglino denigra l’Antico Testamento, ma in realtà si tratta dell’ennesima visione rozza e primitiva dello studioso piemontese che interpretando letteralmente la Bibbia non riesce, o non vuole, cogliere le vere caratteristiche della rivelazione di Dio che si attua nella Scrittura. Egli sembra non conoscere affatto il metodo storico-critico assolutamente necessario per lo studio scientifico del significato dei testi antichi. La Scrittura riporta il pensiero e l’azione di Dio mediati dall’agiografo e questi sono resi in un linguaggio umano. Ciò che occorre tenere ben presente è il fatto che la Bibbia non è un libro “calato dal cielo”, ma si tratta di una composizione realizzata da autori umani in tutte le sue parti e in tutte le sue fonti. La sua giusta comprensione, quindi, non può che affidarsi, anche e soprattutto, al metodo storico-critico.

Per poter dunque spiegare come sia possibile che Dio ordini queste azioni violente non basta una semplice traduzione letterale, bisogna conoscere la letteratura, la cultura e i costumi attraverso i quali questi autori ci hanno trasmesso questi fatti e la rivelazione con essi veicolata. La Palestina nei secoli XII ed XI prima di Cristo è una terra particolarmente violenta, abitata da popoli sempre in guerra tra di loro. Molti scavi archeologici hanno mostrato la distruzione violenta di diversi insediamenti cananei intorno al 1250-1200, a testimonianza del fatto che l’uso di distruggere le città nemiche ed eliminare tutti i loro abitanti rappresentava l’usuale modo per dirimere le questioni tra fazioni avverse. In quei tempi era anche diffusissima l’usanza di ingraziarsi i favori di dei crudeli e sanguinari attraverso sacrifici umani, anche di bambini. Come, ad esempio, i sacrifici al dio Moloch nei quali i bambini venivano sgozzati e poi bruciati in olocausto. La conquista della Terra di Canaan da parte di Israele, la biblica terra promessa da Dio, è raccontata e presentata come una qualsiasi guerra di conquista di quel tempo, dove era normale e scontato procedere con distruzioni di città ed eccidi dei nemici. Furono atti decisi dai condottieri dell’esercito israelita, Mosè e Giosuè, perché quello era il modo con cui si procedeva ad una conquista bellica. La rivelazione di Dio si presenta, quindi, attraverso la mentalità dell’agiografo di quei tempi dove la possibilità di poter annientare il nemico significa la sopravvivenza per il proprio popolo errante. Dio promette agli israeliti la Palestina e la Bibbia celebra l’avverarsi di tale promessa attraverso la gloria e la potenza di una conquista armata vittoriosa, riflesso, per quegli uomini, della grandiosità del loro Dio.
Gli ordini divini di attuare lo sterminio sono, quindi, un modo enfatico e sacrale per descrivere gli ordini di Mosè o di Giosuè, che secondo l’uso del tempo, adempivano alla volontà divina, perché era Dio che li guidava nella terra a loro promessa. Era un loro comando, ma presentato, secondo l’uso del tempo, come un comando divino, perché essi, come capi, agivano quali intermediari di Dio. 

In questa fase non è possibile ravvisare alcun un giudizio morale da parte della Bibbia, ma solo la rivelazione di un Dio potente che con mano forte guida Israele. La valutazione morale, invece, dev’essere individuata nel progressivo sviluppo etico del popolo ebraico. Quello che Biglino ignora è proprio questa evoluzione e il fatto che la Bibbia trova il suo senso solo in una visione unitaria e progressiva. Non è possibile applicare la nostra visione e la nostra morale contemporanea a vicende puntuali e così distanti nel tempo. La Bibbia espone una progressiva affermazione della morale divina, all’inizio con la vendetta come forma di giustizia: “Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte” (Gen 4,15), per passare alla cosiddetta legge del taglione: “Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede” (Dt 19,21), fino ad arrivare alle vette del vangelo dove Gesù istituisce la legge dell’Amore: “Avete inteso dire che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5, 43-44). 

Alla luce di tali evidenze il criterio generale di interpretazione deve dev’essere quello di un Dio che si è rivelato servendosi degli uomini, della cultura, dei modi di concepire la santità di Dio e la giustizia tra gli uomini secondo i costumi del tempo. Spiega molto efficacemente il biblista ed ebraista Gianfranco Ravasi: “È stato spiegato a più riprese dagli studiosi che questi limiti dell’Antico Testamento sono legati a un dato fondamentale della Bibbia. Essa non è una collezione di tesi teologiche e morali perfette e atemporali, come sono i teoremi in geometria, bensì è la storia di una manifestazione di Dio all’interno delle vicende umane. È dunque un percorso lento di illuminazione dell’umanità perché esca dalle caverne dell’odio, dell’impurità, della falsità e s’incammini verso l’amore, la coscienza limpida e la verità. Sant’ Agostino definiva appunto la Bibbia come il libro della pazienza di Dio che vuole condurre gli uomini e le donne verso un orizzonte più alto”. (da «Non uccidere!» Il quinto comandamento, Gianfranco Ravasi) 

Illuminante in tal senso è il documento conciliare Dei Verbum, la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, che dice: “I libri dell'Antico Testamento, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina […] Dio, ispiratore e autore dei libri dell'uno e dell'altro Testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell'antico e l'antico diventasse chiaro nel nuovo" (DV 15-16), 

La Sacra Scrittura, composta in un arco di tempo molto lungo, è un insieme di libri che trova il suo senso generale solo in una visione unitaria. Per comprendere una parte bisogna collegarla a questa visione complessiva, in tutte le sue tappe, dal primo libro dell’Antico Testamento, fino all’ultimo libro del Nuovo. In tale ottica appare chiaro lo sviluppo progressivo della rivelazione divina. Si tratta di un'indicazione preziosa per evitare l’errore di Biglino di affidarci ad una pericolosa interpretazione letterale, che tradisce anziché favorire la comprensione di un dato testo. 



Bibliografia

J. A. Soggin “Storia d’Israele” – Paideia Editrice Bologna 1984;
G. Garbini “Storia e ideologia nell’Israele antico” Paideia, Brescia 1986;
J.M. Miller, J.H. Hayes ”A History of Ancient Israel and Judah” London 1986;
G. Barbaglio “Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane” Cittadella, Assisi 1991;
I. Finkelstein, N. A. Silberman ”Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito” Carocci, Roma 2002.

mercoledì 15 novembre 2017

Lo scisma d'Oriente

I concili ecumenici di Nicea del 325 d.C. e di Costantinopoli del 381 d.C. pervennero alla composizione del famoso simbolo della fede cristiana, “il Credo”, una formula che noi cristiani recitiamo ancora oggi durante la Messa. Tra le verità di fede espresse da quel dettato c’è la proclamazione dell’unità della Chiesa. La Chiesa è “una”, perché è una la sua origine, è uno il suo Fondatore, Gesù Cristo, ed è una la sua “anima”, lo Spirito Santo. 

Purtroppo, come sappiamo, questa solenne verità di fede è stata più volte ferita dai cristiani che con i loro peccati hanno diviso invece che unire il popolo di Dio. Durante i secoli eresie, scismi, apostasie, hanno portato ad una frammentazione che rappresenta un vero e proprio scandalo. Questo stato di cose non può che portare discredito alla Chiesa di Cristo, nonché sconcerto tra le anime più semplici. Oltre a ciò si è aggiunto anche lo scherno dei nemici di Cristo e della Chiesa, come quello dei laicisti, anche di quelli più beceri ed ignoranti. Ad esempio il pittoresco opinionista, matematico a tempo perso, Piergiorgio Odifreddi, pur essendo notoriamente a digiuno dei temi riguardanti la storia della Chiesa, non esita a rigirare il coltello nella piaga: “Il Cristianesimo […] si divide in varie sette: i Cattolici nell'Europa e nell'America del Sud, i Protestanti nell'Europa e nell'America del Nord, gli Ortodossi nell'Europa dell'Est, e gli Anglicani in Inghilterra. In questa cacofonia di voci discordanti molti sostengono di parlare in nome e per conto di Gesù, in maniera più o meno istituzionale, e qualcuno pretende addirittura di esserne il vicario in terra, con gran confusione dei poveri di spirito” (www.piergiorgioodifreddi.it/wp-content/uploads/2010/10/gesu.pdf). 

In realtà è un errore pensare, come fa Odifreddi, che esistano cristianesimi diversi, dove ognuno pretende di essere quello autentico, piuttosto occorre riflettere sul fatto che tali fratture sono state principalmente causate da motivazioni storico-politiche. Ad esempio, nel caso del grande scisma d’Oriente del 1050 tra la cosiddetta Chiesa Occidentale e quella Orientale, una grossa ferita che ancora sanguina in seno alla Chiesa cristiana, la separazione fu causata primariamente da motivi politici e da una serie di incomprensioni ed oggettive ed inevitabili difficoltà delle comunicazione e delle relazioni tra popoli molto differenti culturalmente e distanti geograficamente. 

Già la separazione politica tra l’impero romano d’Occidente e quello d’Oriente, nel V secolo, conferma non solo l’impossibilità politica di mantenere unito un così grande territorio, ma anche il processo di allontanamento, già in atto, tra le due parti dell’impero, quella sorta dal mondo latino e quella nata dal mondo greco-ellenistico. Nel corso del V secolo comincia a manifestarsi un’ignoranza reciproca già sul piano linguistico, Agostino di Ippona, per esempio, ignora il greco, che in Oriente sta per sostituire completamente il latino come lingua ufficiale. Perfino le eresie sono differenti, mentre in Oriente imperversa la polemica con Pelagio sulla problematica riguardante la natura umana e la grazia divina, in Occidente si affrontano le questioni cristologiche. 

Occorre anche ricordare le invasioni barbariche in Occidente che accentuano le differenze. Dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente nel 476, la maggioranza dei cristiani occidentali sono barbari o barbarizzati, mentre gli orientali si sentono orgogliosi di essere rimasti romani civili e raffinati. Per di più le invasioni slave ed arabe nei secoli seguenti, provocando un’interruzione temporanea delle comunicazioni tra Oriente ed Occidente, accelerano l’evoluzione divergente delle due aree culturali. E’ inevitabile, quindi, che quando si ristabiliscono le comunicazioni esistano da entrambe le parti delle gravi incomprensioni delle differenze reciproche. 

Già la crisi iconoclasta dell’VIII secolo rappresentò una fase iniziale dello scontro, non solo religioso, ma principalmente politico, tra Roma e Costantinopoli, per arrivare alla prima crisi vera e propria con il caso di Fozio. Questo personaggio, che non apparteneva al clero, assai colto e uomo politico di notevole rilievo, venne eletto patriarca di Costantinopoli nell’858, dopo le forzate dimissioni del suo predecessore Ignazio. Il papa Niccolò I, ovviamente, rifiutò di riconoscere tale elezione, ritenendo Ignazio il patriarca legittimo, e scomunicò Fozio. Ciò portò alla rottura, aggravata anche da rivalità di giurisdizione ecclesiastica sulla Bulgaria. Fozio venne a sua volta destituito nell’867 e tornò patriarca Ignazio. Morto costui nell’887, Fozio gli successe una seconda volta ottenendo il riconoscimento da papa Giovanni VIII. Quando le cose sembrano essersi risolte, a testimonianza di un processo di rottura ormai giunto al suo apice, riprese la contesa che andrà sempre più gonfiandosi attorno ad importanti questioni politico-religiose come il primato del papa e la dottrina del “Filioque” (Lo Spirito Santo, secondo la Chiesa latina, procede dal Padre “e dal Figlio”), ma anche per motivazioni molto meno serie come l’opportunità dell’uso del pane azzimo per l’Eucarestia, il celibato dei preti, la disciplina del digiuno, la soppressione dell’ “alleluia” durante la quaresima, la barba degli ecclesiastici, ecc. Quando nel 1050 un vescovo orientale, Leone di Ochrida, solleva una polemica di carattere liturgico, una sua lettera di condanna di diverse usanze latine divenne la goccia che fece traboccare il vaso e decenni di incomprensioni reciproche presero il sopravvento. Papa Leone IX inviò a Costantinopoli una legazione diretta dal fedele cardinale Umberto di Silva Candida che andò scontrandosi col patriarca Michele Cerulario. Due avversari di scarsa buona volontà e senza mezze misure. Il 16 luglio, proprio mentre la morte di papa Leone IX, avvenuta nel frattempo, faceva decadere la validità dell’ambasciata di Umberto, si verifica la frattura e la scomunica reciproca. 

La separazione tra il cristianesimo orientale e quello occidentale fu, quindi, il frutto di malintesi e di atteggiamenti malintenzionati. Era inevitabile che maturassero diversità di interessi politici e differenze nell’espressione della fede tra popoli così distanti tra loro. Ma nonostante tutto ciò la fede cristiana era e rimase sempre la stessa, le due confessioni possiedono una fede comune. Tra le due confessioni cristiane esistono ben poche divergenze teologiche, e tutto oggi lascia credere che si tratti di una faccenda di formule. Ciò è confermato dal fatto che nel 1965, papa Paolo VI e il patriarca Atenagora abolirono le rispettive scomuniche, che nel 1979 l’incontro tra papa Giovanni Paolo II e il patriarca Dimitrios I diede vita alla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Fino ad arrivare all’odierno papato di Francesco caratterizzato da un forte percorso ecumenico, spiegato in dettaglio nell’enciclica Evangelii Gaudium, dove l’unità passa attraverso la diversità e dove vengono promossi rapporti più orizzontali sia con gli altri credo religiosi che con la Chiesa ortodossa. 

La Chiesa è una e deve tendere all’unità. Questa verità e questo impegno devono costituire una necessità primaria e insopprimibile. A mio avviso è fondamentale convincersi che il messaggio cristiano può essere recepito da culture diverse e che la teologia non è fatta per giustificare rivalità politiche o ideologiche. 


Bibliografia 

F. Dvornik “Lo scisma di Fozio” Edizioni Paoline, 1952;
S. Runciman “La civiltà bizantina” Sansoni, Firenze 1960;
D. Obolensky “La Chiesa bizantina” in M. D. Knowles, D. Onolensky “Il Medio Evo” Marietti Torino, 1971;
C. Dhiel, C. Capizzi “Storia dell’impero bizantino” Pontificio Istituto Orientale, Roma 1977;
A. P. Kazhdan “Bisanzio e la sua civiltà” Roma-Bari, Laterza, 1994;
G. Ravegnani ”La storia di Bisanzio” Roma, Jouvence, 2004.

lunedì 30 ottobre 2017

I terrori dell'anno mille.

Tra i più diffusi miti riguardanti la storia della Chiesa c’è sicuramente quello della paura per l’avvento dell’anno mille. Secondo questo mito le “rozze” ed “arretrate” popolazioni dell’Europa medioevale, soggiogate dall’oscurantismo della religione cristiana, avrebbero atteso con terrore il compiersi della fatidica data perché vi sarebbe stata la fine del mondo. 

Ovviamente, come al solito, non c’è niente di vero, non esiste alcunché nelle cronache di quei tempi che autorizzi a vedere nell’anno mille una società angosciata per l’approssimarsi della fine del mondo. Siamo di fronte all’ennesimo mito creato dalla storiografia laicista di stampo illuminista, anche se in questo caso è più corretto parlare di un mito nato già in epoca rinascimentale. Agli occhi dei letterati e degli uomini di cultura del XIV secolo, e successivamente degli illuministi del XVIII secolo, il medioevo ha ideologicamente sempre rappresentato l’antitesi oscura e notturna del loro ideale di chiarezza e di luce. Nacque così l’idea, senza che questa sia minimamente suffragata da un riscontro delle fonti storiche, che il medioevo fosse solamente un’età in cui la mente degli uomini era ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione e che grande parte di tale situazione fosse responsabilità del supposto oscurantismo della Chiesa cattolica. L’attesa della fine del mondo fu concepita, così, quasi come una sorta di antitesi al Rinascimento, prima, e all’Illuminismo dopo, con gente oppressa dal senso della morte e da numerose ed immotivate paure.

Questa accusa di oscurantismo alla religione cristiana trae origine dalle leggende riguardanti la fine del mondo nell’anno mille sorte sull’errata interpretazione di alcuni passi del Nuovo Testamento come quelli che troviamo nell’Apocalisse di Giovanni. Ad esempio, al capitolo 20 troviamo il noto passo: “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra” (Ap. 20, 7-8). Esprimendosi in un linguaggio tipicamente simbolico, proprio della cultura ebraica, l’Apocalisse non vuole indicare un periodo di tempo esattamente di mille anni, ma semplicemente un periodo molto lungo di cui nessuno è a conoscenza della sua durata. Già nel IV secolo Agostino d’Ippona interpreta questo passo dell’Apocalisse in chiave simbolica e nel “De Civitate Dei“ sostiene che i mille anni dell’Apocalisse non sono altro che un modo simbolico per indicare il lungo periodo storico aperto dalla venuta di Cristo e destinato a concludersi con la fine del mondo.

In realtà esiste un documento d’età medioevale che fa riferimento ad eventi eccezionali e terribili connessi con l’avvento dell’anno mille. Si tratta della cronaca di Sigeberto di Gembloux, un monaco benedettino che fu cronista medievale, dove si può leggere: “Si videro in quei giorni molti prodigi, uno spaventoso terremoto e una cometa dalla coda folgorante: la sua luce accesa e intensa giunse fin dentro le case e nel cielo si formò l’immagine di un serpente”. Ma Sigeberto, essendo nato nel 1030, non fu testimone oculare dei fatti narrati e riporta racconti di cui non si conoscono le fonti. In ogni caso Sigeberto non fa alcuna menzione di terrori, ansie o paure.

Viceversa abbiamo una testimonianza molto importante di un abate di Saint-Bonoit-sur-Loiìre, un certo Abbone, che nel suo “Liber Apologeticus”, scritto nel 998, ricordando un episodio della sua giovinezza databile attorno al 975, riporta: ”A proposito della fine del mondo, sentii predicare al popolo in una chiesa di Parigi che l’anticristo sarebbe venuto alla fine dell’anno mille e che il giudizio universale sarebbe seguito di poco […] Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora” (Duby- Frugoni “Mille e non più Mille”, Rizzoli, 1999). Questa testimonianza oculare toglie ogni dubbio sul fatto che non ci fu alcun panico collettivo e a questa conclusione sono giunti molti storici illustri come Marc Bloch, Henri Focillon, Edmond Dognon, Jacques Le Goff e George Duby. Quest’ultimo ha affermato: “…è in stretto rapporto con il disprezzo manifestato dalla giovane cultura occidentale nei confronti dei secoli cupi e rozzi dai quali era uscita, e che essa rinnegava per mirare, di là da questo abisso barbarico, all’antichità, suo modello. Posto al centro delle tenebre medioevali, l’anno mille, antitesi del Rinascimento, offriva lo spettacolo della morte e del più ottuso avvilimento” (G. Duby, “L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva”, Einaudi, Torino 1977, pag. 117). 

I terrori dell’anno mille sono frutto di una leggenda. Gli storici illuministi del XIX secolo hanno ideologicamente ricostruito l’attesa dell’anno mille in termini di panico collettivo per enfatizzare l’idea di un medioevo cupo e retrogrado sotto il tallone oscurantista della Chiesa, ma hanno falsato la realtà delle cose. Ciò che c’è di vero in tutta questa vicenda è l’innegabile interesse che i cristiani hanno sempre avuto per i calcoli e le previsioni della fine del mondo. Nonostante gli avvertimenti del Cristo, molti hanno sovente ritenuto di intuire i segni premonitori della fine del mondo. Il minimo fenomeno cosmico viene interpretato come se fosse il preludio della fine.

Certo, il cristianesimo poggia sull’attesa escatologica. Con la morte e la risurrezione di Gesù sono arrivati gli ultimi tempi, ma non è stabilito sapere quanto questi debbano durare. Si tratta di un “rinvio” che permette all’umanità di convertirsi. Il cristiano, come la Chiesa, è un pellegrino che vive in funzione dell’incontro decisivo col suo Signore, senza farsi sommergere da un panico che nascerebbe da motivi puramente umani.


Bibliografia

H. Focillon “L’an Mil” Colin, Paris, 1952;
G. Duby, “L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva”, Einaudi, Torino 1977;
G. Duby- Frugoni “Mille e non più Mille”, Rizzoli, 1999.

venerdì 6 ottobre 2017

Biglino e l’eternità di Dio

Altro argomento che Biglino propone incessantemente nelle sue conferenze è la questione riguardante l’esatta traduzione del termine ebraico “olam”, in lingua ebraica “עולם”. Tutte le bibbie più accreditate traducono questo termine con “eternità”, ma per lo studioso piemontese questo modo di tradurre è un abuso perché quel termine non avrebbe quel significato. Per provare quello che dice Biglino tira fuori sempre un estratto del dizionario di ebraico ed aramaico biblici della Società Britannica dove alla voce “olam” viene espressamente riportata l’indicazione di non tradurre con “eternità”. Per Biglino tutto ciò costituisce l’ennesima prova che le bibbie che leggiamo non sono altro che un’impostura, dei testi manipolati e falsati nel loro reale significato. Secondo Biglino nella Bibbia non c’è il concetto di eternità e, quindi, neppure quello di un Dio eterno, anzi, secondo lui la Bibbia non parlerebbe affatto di Dio. La Bibbia sarebbe solamente un testo che racconta l’epopea di una famiglia in cui, successivamente, è stata inserita la figura di Dio con le sue prerogative tra cui anche l’eternità. Ovviamente quando e da chi sarebbe stata operata questa manipolazione Biglino non lo dice, o non lo sa, ma al suo uditorio questo interessa molto poco, è troppo affascinato dall’idea del solito complotto della Chiesa.

Come al solito Biglino parte da un dato che è oggettivamente vero per poi sfruttarlo al fine di abbindolare i creduloni ignoranti e proporre la sua visione complottistica. Da un punto di vista strettamente tecnico il termine ebraico “olam” non ha il significato di “eternità”, inteso secondo la nostra visione, ossia l’assenza di tempo. Ma Biglino nelle sue conferenze fa leggere solo una parte della nota del dizionario d’ebraico ed aramaico britannico. A pagina 304 di tale dizionario la nota per intero recita: “Non tradurre come eternità, si tratta di un tempo molto lungo” (Philippe Reymond “Dizionario di ebraico e aramaico biblici” Ed. Società Biblica Britannica, 2011, pag. 304). Abbiamo, quindi, specificata anche la nozione di un “tempo molto lungo”, cioè un tempo lunghissimo, praticamente indefinibile. Come è possibile riscontrare in qualsiasi dizionario di ebraico, il termine “olam” è usato anche per indicare qualcosa di lontanissimo, sia nello spazio, che nel tempo, quindi per indicare un qualcosa che non è possibile definire in modo preciso. Infatti altro significato di “olam” è "mondo", proprio perché è grande, oppure ”universo” perché è immenso, indefinibile, nel senso che i suoi confini sono talmente lontani da non poter essere visti. Il termine “olam”, quindi, è perfettamente compatibile con il concetto di Dio ebraico: immenso, indefinibile, inconoscibile, nella Bibbia il termine ebraico “El 'Olam” significa proprio “Potente indefinibile” (G. Brin “The Concept of Time in the Bible and the Dead Sea Scrolls: Studies on the Texts of the Desert of Judah” Brill: Leiden 2001).

Essendo Dio indefinibile, perché inconoscibile, per poterlo definire si può solo indicare cosa non è, cioè “in-determinato”, “in-finito”, ecc. Lo stesso nome di Dio, il sacro tetragramma YHWH, in realtà non definisce niente e lascia la figura di Dio totalmente “nascosta”, “inarrivabile”. Infatti la stessa radice del termine “olam” implica il senso di "scomparire", di “nascosto”. Per la Bibbia, quindi, Dio è inconoscibile e non può essere rappresentato con le categorie umane, quindi Dio è al di fuori anche del tempo. Ad esempio nel Salmo 145 al versetto 13, nella traduzione della maggior parte delle bibbie, è scritto: “Il tuo regno è un regno eterno (malkut kol-`olamim) e il tuo dominio dura per ogni età”, e nella Bibbia di Gerusalemme (salmo 144, secondo la differente numerazione) si ha: “Il tuo regno è regno di tutti i secoli (malkut kol-`olamim), il tuo dominio si estende ad ogni generazione”. La traduzione grammaticalmente più giusta sarebbe “un regno lontanissimo nel tempo” che, però, in italiano non ha senso e non rende il vero significato del versetto. Quindi per rendere in italiano il concetto di un Dio inconoscibile ed indefinito, fuori dalle categorie umane come il tempo, molte bibbie traducono giustamente con “regno eterno”, “regno di tutti i secoli”. Il salmista ha ben presente che il regno di Dio sarà per tutte le generazioni e che nessuna di queste resterà esclusa, quindi questo regno non sarà destinato a finire, perché quando si esauriranno le generazioni si esaurirà anche il tempo. E il tempo non può limitare Dio in quanto ne è il creatore e pertanto ne è al di fuori. Il salmo, infatti, indica chiaramente, al verso 3, che la grandezza di Dio non può essere misurata. Ma a togliere qualsiasi dubbio è certamente il finale del salmo 101, secondo la numerazione greca, dove troviamo una chiara affermazione dell'eternità di Dio espressa secondo la modalità d'espressione ebraica:


"Io dico: Mio Dio,
non rapirmi a metà dei miei giorni;
i tuoi anni durano per ogni generazione.
In principio tu hai fondato la terra,
i cieli sono opera delle tue mani.
Essi periranno, ma tu rimani,
tutti si logorano come veste,
come un abito tu li muterai
ed essi passeranno.
Ma tu resti lo stesso
e i tuoi anni non hanno fine
.
I figli dei tuoi servi avranno una dimora,
resterà salda davanti a te la loro discendenza".

Alla luce di tutto ciò è profondamente sbagliato, come fa Biglino, affermare che siccome non esiste il concetto di eternità nella Bibbia, allora il Dio che vi è rappresentato è solo una costruzione teologica successiva. Questo perché la Bibbia tratteggia chiaramente l’immensità di Dio e lo fa sottolineando la sua caratteristica di essere inconoscibile dall’uomo. Una immensità che lo pone al di sopra di tutto, quindi anche del tempo. E’ per questo che è del tutto lecito tradurre “olam” con “eternità”.

Bibliografia



Philippe Reymond “Dizionario di ebraico e aramaico biblici” Ed. Società Biblica Britannica, 2011;
G. Brin “The Concept of Time in the Bible and the Dead Sea Scrolls: Studies on the Texts of the Desert of Judah” Brill: Leiden 2001;
Dizionario “Koehler & Baumgartner" Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament;
Dizionario “Brown-Driver-Briggs” Hebrew and English Lexicon;
Consulenza Ebraica - ForumFree

venerdì 29 settembre 2017

Conclusioni

Come abbiamo visto tutte le incredibili scoperte e le sconvolgenti rivelazioni che propugnano questi testi sono basate sul nulla. Senza dover avere una competenza specifica o possedere particolari mezzi di indagine è facilissimo rendersi conto autonomamente dell’inconsistenza di tali argomentazioni. Non è mai esistito un Priorato di Sion, se non quello del secolo scorso inventato da uno spostato come Plantard, i famosi vangeli gnostici non riportano alcuna notizia di matrimoni di Gesù, la chiesa Cattolica non ha nascosto o trafugato alcunché di scomodo, i famosi “documenti segreti” nascosti nella Biblioteca Nazionale di Parigi sono un’autentica bufala, la nascita e la scomparsa dei Templari o le crociate albigesi sono state determinate da motivazioni storiche serie e dimostrate, non certo dalle buffonate sparate da D. Brown e soci.

Si potrebbe obiettare che D. Brown, avendo scritto solo un romanzo, aveva legittimamente la licenza di inventare per piegare la storia ai propri fini. Certo, ma allora perché inserire, a pag. 9 del suo libro, una nota con cui si assicura che tutti i documenti, rituali e rivelazioni varie rispecchiano la realtà? Perché ne “Il Codice da Vinci” sono riportati pari pari contenuti e teorie di altri testi che romanzi non sono, ma che, anzi, hanno il coraggio di reputarsi dei libri storici? Prova di ciò è stata l’azione legale di M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln contro D. Brown per il presunto plagio del loro “The Holy Blood and the Holy Graal”. Disputa legale vinta poi da D. Brown (il film prodotto dalla Sony era pronto ad uscire…). Appare, comunque, troppo comodo lanciare il sasso nello stagno e nascondere poi la mano. E’ come se qualcuno scrivesse e divulgasse universalmente, mentendo spudoratamente, peste e corna di persone a noi care giustificandosi poi che si tratta solo di un romanzo. Nei suoi precedenti libri, come ad esempio “Angeli e demoni”, D. Brown ugualmente attacca i cristiani e la Chiesa Cattolica, ma almeno ha il buon gusto di non offendere la loro fede. Questi libri, infatti, non suscitarono alcun scandalo, tanto è vero che prima de “Il Codice da Vinci” pochissimi sapevano dell’esistenza di tali romanzi. Per riuscire a conferire fascino ed attrazione ai suoi libri, D. Brown ha avuto bisogno di offendere e denigrare le basi della fede cristiana ammantando la sua storia di un alone di falsa veridicità. D. Brown non si è fatto alcun scrupolo di avvertire il lettore che stava leggendo una falsità, calpestando ed infamando, così, la Chiesa Cattolica e la fede cristiana di milioni di credenti.

Resta, infine, una domanda: come mai questa letteratura ha avuto tutto questo successo? Perché l’opinione pubblica gli ha tributato un tale trionfo? 
Anche se palesemente falso ed inverosimile, tutto ciò che può screditare la chiesa ed i cristiani è bene accetto. Nessuno si fece troppi problemi a credere al falso di Morton Smith, il vangelo segreto di Marco, era troppo allettante poter ritrovare l’omosessualità tra i primi cristiani, provare la disonestà della chiesa e decretare l’inaffidabilità della tradizione apostolica. Passare sopra la dignità religiosa e la mancanza di rispetto verso il credo cristiano è la peculiare caratteristica della nostra società secolarizzata. I cristiani costituiscono, oggi, l’unica voce a difesa dei valori della vita, della famiglia, della dignità umana. Al contrario dell’imperante “Politically correct”, la voce cristiana ha il coraggio e la fermezza per ribadire e difendere i nostri valori fondamentali. Ella richiama ad una seria e responsabile valutazione degli aspetti della nostra vita, dei nostri costumi, delle nostre abitudini. Tutto ciò disturba le coscienze obnubilate, il commercio dei profilattici, l’industria dell’aborto, la manipolazione genetica umana, ecc… Tutto ciò è visto come indebita ingerenza in uno stato laico, mentre la nostra società è fatta a pezzi dal degrado morale, è dominata dalla pubblicità che impone i suoi modelli consumistici, è ingannata da scelte politiche di morte. Una società falsa ed ipocrita dove imperversa la dittatura del politicamente corretto, che sta attenta alla pagliuzza di condannare l’insulto “frocio”, ma ingoia tranquillamente il cammello dell’aborto, dove è giustamente condannato il disprezzo, sempre che non si sia fumatori, obesi, pedofili, nazisti o cristiani. Una simile società non può essere altro che l’ambiente perfetto per accogliere trionfalmente un’immondizia come Il Codice da Vinci”, che, deleggittimando la Chiesa, demolisce il rispetto di Dio fornendo falsi alibi. Questa china pericolosa intrapresa dalla nostra società ha origini antiche, è il frutto del progressivo abbandono dei valori, dell’inculturazione religiosa. Già papa Giovanni Paolo II, avvertendo questo pericolo, prima di morire, profeticamente esortava con questa parole la società contemporanea: «Nell’impiego e nella recezione degli strumenti di comunicazione urgono sia un’opera educativa al senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un’opera dì difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale, dell’elevazione dell’autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto fermo e coraggioso di ogni forma dì monopolizzazione e di manipolazione. Né a quest’opera di difesa si ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le strade del mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema, della radio, della televisione e del teatro, dev’essere annunciato il Vangelo che salva». (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici n. 44).

Eppure da tutta questa vicenda è possibile scorgere un lato positivo. Il libro di D. Brown ha indubbiamente portato all’attenzione di milioni di persone argomenti che normalmente sono riservati alle ristrette cerchie degli esperti del settore. Moltissima gente avrà cominciato a farsi delle domande e, magari, iniziato un cammino di ricerca. Una chiave di lettura del successo di D. Brown può anche essere quella di aver stimolato l’innata esigenza presente in ognuno di noi di ricercare la verità. Curiosamente, di tutto il Nuovo Testamento, lo scritto più antico giunto sino a noi, il papiro Rylands P52, riporta proprio le parole di Pilato davanti a Gesù: «Che cos’è la Verità?». 

Ringrazio il lettore per la scelta accordata e la pazienza dimostrata nel seguire le varie puntate di questa analisi storica su uno dei più famosi best sellers librari di questi ultimi anni.
La speranza è quella di non aver annoiato. 


FONTI 
-EUSEBIO DI CESAREA “Storia Ecclesiastica”
-GIUSEPPE FLAVIO “Antichità Giudaiche”
-GIUSEPPE FLAVIO “Guerra Giudaica”
-PAPIA di GERAPOLI “Esposizione dei loghia del Signore”
-S. GIROLAMO “Epistolario”
-S. GIUSTINO “Apologia”
-S. IRENEO DI LIONE “ Adversus haereses”



BIBLIOGRAFIA

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-FALBO G. “La Domenica giorno del Signore e della Chiesa” – Incontri di Palazzo 2005-2006, Parrocchia S. Monica – Ostia Roma. 
-FALBO G. “Le verità di fede definite dai concili” – Gruppo biblico 2001-2002, Parr. S.Monica, Ostia-Roma.
-FALBO G. “Storia della chiesa antica” – Centro di cultura teologica, XXVII Pref. Diocesana, Ostia Roma, 1994.
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-FRALE B. “I Templari” – Il Mulino, Bologna 2004.
-GRUNDMANN H. “Movimenti religiosi nel Medioevo” – Il Mulino, Bologna 1974.
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-RAVASI G. “Gesù era sposato oppure no?” - Vita Pastorale n. 4, aprile 2005.
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-TORNIELLI A. “Processo al Codice da Vinci” - Gribaudi 2006.

venerdì 22 settembre 2017

Pietro Grasso e i suoi appelli: quando è meglio tacere.

Ieri sera stavo tranquillamente preparando la cena ascoltando di sottofondo il telegiornale delle 20, quando compare in video il volto contrito del presidente del Senato Pietro Grasso. Sorpreso da tale apparizione improvvisa ascolto il suo "messaggio agli italiani" rimanendone stupefatto ed allibito. Riferendosi all'atroce vicenda della morte di Nicolina, la quindicenne uccisa a Ischitella, in provincia di Foggia, dall'ex compagno della madre, la seconda carica dello Stato ha pensato bene di diffondere il seguente messaggio: "A nome di tutti gli uomini ti chiedo scusa. Finché tutto questo verrà considerato un problema delle donne, non c'è speranza. Scusateci tutte, è colpa nostra, è colpa degli uomini, non abbiamo ancora imparato che siamo noi uomini a dover evitare questo problema, a dover sempre rispettarvi, a dover sradicare quel diffuso sentire che vi costringe a stare attente a come vestite, a non poter tornare a casa da sole la sera. E' un problema che parte dagli uomini e solo noi uomini possiamo porvi rimedio".

Pietro Grasso chiede scusa a nome di tutti gli uomini e, quindi, lo farebbe anche a nome mio. E che significa questo? Cosa potevo fare per evitare la morte della povera ragazza? Sarà stata responsabilità delle forze dell'ordine o dell'apparato giudiziario che non sono stati in grado di evitare questa violenza. Cosa c'entrano gli "uomini"? O, forse, si parla di una responsabilità morale degli "uomini". Quindi io, in quanto "uomo", avrei parte di tale responsabilità, come se ogni uomo sia potenzialmente un violentatore ed un assassino di donne. Il presidente del Senato, infatti, dice apertamente che è colpa degli "uomini". E quali? Tutti? Quindi è anche colpa mia. 

Mi chiedo se Pietro Grasso è veramente cosciente di quello che va dicendo, perché mai dovrebbe essere anche colpa mia? Cosa ne sa Pietro Grasso della mia vita, della mia integrità morale, del mio rispetto profondissimo per tutte le persone e la loro dignità. Cosa ne sa Pietro Grasso del mio sconforto, rabbia, angoscia, per l'uccisione di ogni persona? Ma, soprattutto, cosa ne sa Pietro Grasso della rettitudine morale di milioni di persone che vivono in questo paese? Persone per bene, che, come me, inorridiscono e sono scandalizzate da tali violenze.

A differenza di Pietro Grasso, parlo di persone, non di "uomini" o "donne", "maschi" o "femmine". Queste distinzioni le lascio a Pietro Grasso e alla sua visione sessista, al suo dividere la società tra "uomini" e "donne". Che senso ha tale distinzione? Esiste per caso una comunità degli "uomini" ed una delle "donne", o non siamo forse un'unica società? La responsabilità di non aver saputo proteggere quella ragazza è solo degli "uomini", oppure dell'intera società? L'insegnamento morale scadente impartito ai ragazzi, gli esempi ed i modelli che la società propone loro, che generano o favoriscono la mentalità aberrante che porta a tali omicidi, è responsabilità dei soli "uomini" oppure è un problema che investe l'intera società? 

La società umana non è come la descrive Pietro Grasso, non è dividendo la figura maschile da quella femminile che si costruisce una società più giusta. Non sono le assurdità delle "quote rosa", la storpiatura della lingua italiana, con termini orribili come "sindaca" o "ingegnera", oppure la criminalizzazione del genere maschile, ad educare e prevenire la cosiddetta violenza di "genere". Servono i valori veri sul rispetto della persona e della vita, bisognerebbe considerare le persone per le loro competenze, le loro capacità, affidabilità, capacità di relazionarsi, per il loro pensiero, senza stare a distinguere se sono maschi o femmine. L'uomo è maschio e femmina, un'unica "entità" che caratterizza la grandezza dell'umanità.        

giovedì 31 agosto 2017

Parte XXIII– I Catari

Stranamente ne “Il Codice da Vinci” non c’è traccia di questa setta che, invece è abbondantemente evocata sia da M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln, in “The Holy Blood and the Holy Graal”, che da L. Gardner nel suo “La linea di sangue del santo Graal”. Secondo loro il massacro dei Catari del 1244 è la prova che questi fossero a conoscenza del “segreto”, cioè dell’esistenza di una discendenza terrena di Gesù, e che per questo siano stati sterminati. In particolare scrive L. Gardner a pag. 252: «A ovest-nord-ovest di Marsiglia, sul golfo del Leone, si stende l’antica provincia della Linguadoca i cui abitanti, nel 1208, vennero ammoniti da papa Innocenzo III per la loro condotta poco cristiana. L’anno successivo, un esercito papale di 30.000 soldati al comando di Simone di Monfort calò sulla regione. […] erano stati mandati a sterminare la setta ascetica dei catari (i Puri) […] che secondo il papa e re Filippo II di Francia, erano eretici […] il timore del papa in realtà era causato da qualcosa di molto più minaccioso. Si diceva che i Catari fossero i custodi di un grande e sacro tesoro, associato ad un’antica e fantastica conoscenza […] la regione della Linguadoca corrispondeva sostanzialmente a quello che era stato il regno ebraico di Septimania nell’VIII secolo, sotto il merovingio Guglielmo de Gellone […] al pari dei Templari, i Catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l’uguaglianza dei sessi […] contrariamente alle accuse, i testimoni chiamati a deporre parlavano soltanto della Chiesa dell’Amore dei Catari e della tenace devozione al ministero di Gesù […] chi non apparteneva alla setta beneficiava ugualmente delle sue opere benefiche […] sebbene il loro rituale non fosse minaccioso di per sé, si riteneva che la setta possedesse sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente il concetto fondamentale della Chiesa romana ortodossa. C’era soltanto una soluzione per un regime fanatico e disperato e fu impartito l’ordine: “Uccideteli tutti!”».

L. Gardner lavora abbondantemente di fantasia, lo stravolgimento della storia è totale, un vero manipolatore. Vagheggia, ancora, dell’esistenza di un fantomatico regno ebraico di Settimania che, secondo lui, sarebbe stata la comunità ebraica che accolse i supposti discendenti di Gesù e Maria Maddalena. Ovviamente niente di più falso, la Settimania era una regione della Gallia antica chiamata così perché vi era di stanza la Legione VII dell’esercito romano d’occupazione (Legio septima). Più tardi prenderà il nome di Gallia Narbonese, dalla città principale Narbona. Dopo la fine dell’impero romano la regione cadde in mano ai Visigoti che la tennero fino alla conquista araba (719 d.C.). Successivamente fu riconquistata da Pipino il Breve e da Carlo Magno che l’annessero al loro impero. Guglielmo de Gellone, citato da L. Gardner, secondo notizie storiche certe, non era un governante merovingio, ma un personaggio molto influente alla corte di Carlo Magno, il suo nome completo era Guglielmo d’Orange, Conte d’Aquitania. Nel 787 d.C. fu nominato conte proprio dal sovrano carolingio, di cui era pure cugino, ricevette l’abito monastico benedettino da San Benedetto d’Amiane e fondò nell’804 d.C. un monastero molto famoso a Gellone presso Amiane in Francia (“Vita Hludowici Imperatoris” di Eginardo). Questo monastero derivò la sua importanza dalla presenza della reliquia della scheggia della Santa Croce donata da Carlo Magno. Attirava, per questo, i pellegrini diretti a Santiago de Compostela e, nel XI secolo, fu importante luogo di raduno per tutti i sovrani crociati in procinto di recarsi in Terrasanta. Oggi Guglielmo d’Orange è ricordato dalla Chiesa Cattolica come santo il 28 maggio. Famosi sono gli affreschi di Giotto e Niccolò di Tommaso che raffigurano la sua vita in una cappella del Maschio Angioino di Napoli. 

Affermare, poi, che la Chiesa Cattolica fosse preoccupata del proliferare dell’eresia catara perché questa possedeva una “conoscenza” particolare è una solenne stupidaggine. L. Gardner descrive i Catari come gente pacifica, parla di una società modello dove vigevano l’amore e la tolleranza, ma, come al solito, L. Gardner dice fesserie, egli non ha la minima conoscenza di quello che afferma. Mi sembra importante, a questo punto, fare chiarezza dal punto di vista storico, cioè attenendosi a documenti certi, su chi erano veramente i Catari e sulle crociate avvenute contro di loro. 

L’eresia catara (dal greco katharos = puro) fu la crisi più grave ed importante con cui la cristianità dovette confrontarsi dopo l’arianesimo. Gli appartenenti a questa setta, tra i secoli XI e XIII, diedero origine a proprie comunità in quasi tutta Europa, specialmente nei Balcani, nella Francia meridionale e Aragona, in Italia settentrionale e persino in Sicilia. Non fu, quindi, come lascia intendere L. Gardner, un fenomeno tipico della Francia meridionale, ma costituì un vero e proprio sistema socio-religioso alternativo a quello esistente allora in gran parte dell’Europa. Ben lungi dalle fantasiose affermazioni di L. Gardner, i Catari costituirono un vero e proprio “cancro” che rose dal di dentro le istituzioni ufficiali e la base della vita sociale di allora. La dottrina catara, infatti, rifiutava ogni autorità per proporre una visione deteriore della realtà. Possiamo, infatti, far comprendere l’eresia catara nel grande gruppo delle eresie gnostiche e manichee.
Per la dottrina catara tutto ciò che esiste, cioè il mondo materiale, è opera del demonio o di un dio malvagio che si oppone al dio del bene che, invece, è creatore del mondo buono, cioè quello spirituale. Per questo i Catari disprezzavano il dio dell’Antico Testamento, autore del malvagio mondo materiale, per esaltare il dio buono, autore di quello spirituale, del Nuovo Testamento. Ovviamente un Nuovo Testamento completamente reinterpretato secondo la loro aberrante visione. Non poteva, infatti, esistere alcun punto di contatto tra i due “mondi”, cosicché negavano l’incarnazione di Gesù e la resurrezione della carne. Essi ritenevano che il suo Corpo fosse solo spirituale, con una apparenza di materialità. 
L’anima umana non è sempre considerata creazione del dio buono, lo sono solo quelle dei “Puri” o “Perfetti”, cioè una ristretta cerchia di persone che sarebbero degli angeli imprigionati da satana in corpi umani. Attraverso una serie di reincarnazioni (credevano anche a questo, sic!) queste anime arrivavano ad essere “pure”, cioè catare, e si ponevano come guida spirituale della setta per poi liberarsi dal corpo. In quest’ottica l’auspicato fine ultimo dell’umanità per i “Puri” era il suicidio generale. Si sottoponevano a regole durissime, non lavoravano, non partecipavano alla vita sociale, non riconoscevano alcuna autorità, ogni attività sessuale era proibita, se qualcuno veniva meno, allora la sua caduta era dovuta alla sua anima ritenuta ancora non sufficientemente pronta. I “perfetti” erano considerati come dio stesso e venivano letteralmente adorati dagli altri componenti della setta che avevano anche l’obbligo di mantenerli. 

Oltre ai “perfetti”, infatti, c’era tutta la moltitudine dei seguaci ritenuta impura e peccaminosa. I Catari, infatti, non credevano nel libero arbitrio, così chi era ritenuto un’emanazione del male non aveva altro destino che perire. La loro unica speranza era quella di ricevere dai “perfetti”, alla fine della vita, il “consolamentum”, una sorta di purificazione spirituale. Per ottenerla, però, occorreva esserne degni e, quindi, vivere distaccandosi progressivamente dalla vita materiale, oppure la si poteva ottenere subito se poi, però, si era disposti a suicidarsi. Questa pratica era diffusissima presso i Catari, si chiamava “endura”, secondo loro se praticata subito dopo il “consolamentum” garantiva il paradiso. Esistevano diverse forme di “endura”, la più diffusa era l’inedia, riservata ai lattanti, ma anche il dissanguamento, realizzato anche con bevande mescolate a frammenti di vetro, o lo strangolamento. Molte volte l’”endura” veniva applicata a vecchi e bambini, cosicché il suicidio diveniva omicidio. Uno studioso tedesco del XIX secolo, Dollinger, studiando gli archivi dell’inquisizione a Tolosa e Carcassonne notò con raccapriccio che furono molto più le vittime dell’”endura” che dell’inquisizione stessa. 

Questa dottrina, considerando intrinsecamente cattivo e peccaminoso tutto ciò che lega l’anima alla materia, odiava ed aborriva le attività procreative, la perpetuazione della specie era vista come un’opera satanica, le donne incinte e i neonati erano disprezzati perché visti sotto l’influenza del demonio. Presso le comunità catare, per limitare l’azione del “male”, veniva largamente praticato l’aborto. Il matrimonio veniva considerato un generatore di male, tutte le autorità terrene erano considerate creature del dio malvagio, quindi non bisognava riconoscerle, venivano aborriti i tribunali, erano considerate azioni sataniche prestare giuramento ed impugnare le armi. L. Gardner parla di persone aperte anche a chi non faceva parte della setta, falso! Ai Catari era severamente proibito anche solo parlare con estranei alla setta, perché “gente del mondo”, eccettuando i tentativi di conversione.
Tutte le sette catare avevano una accesissima ostilità verso la Chiesa Cattolica che vedevano come la grande meretrice Babilonia. Non potevano accettare il suo ruolo di intermediaria dell’amore di Dio verso gli uomini nella loro vita sulla terra. Per questo non accettavano i sacramenti che ritenevano segni del demonio.
Tutto ciò portò centinaia di migliaia di persone in tutta Europa a ritirarsi dalla vita sociale, era messa in grave pericolo non solo l’unità della fede e la dignità umana, ma anche la stessa aggregazione sociale. Questo modo di vedere la società era suicida, tutto ciò non poteva essere accettato né dalle autorità costituite, tantomeno dalla Chiesa.
Nel 1167 a Saint Felix de Caraman (Tolosa) si tenne un vero e proprio concilio eretico dove le comunità catare si diedero un’organizzazione. Essi rifiutavano la gerarchia cattolica, ma ne avevano una propria costituita da un clero, i “perfetti”, con ogni sorta di privilegi, e dai credenti, cioè tutti gli altri. Da quel momento il movimento cataro cominciò a diventare minaccioso.
Alcune ramificazioni secondarie dei Catari (i catarelli e i rotari) cominciarono a saccheggiare regolarmente le chiese; attorno all’anno mille, nella regione dello Chàlon, un certo Leutardo incitava a distruggere croci ed immagini sacre; tra il 1143 e il 1148 un “perfetto”, Eon de l’Etoile, a capo di una comunità catara si autoproclamò figlio di Dio, signore di tutto il creato, e in virtù del suo potere ordinò ai suoi seguaci di distruggere ogni chiesa. Nel 1225 i Catari incendiarono una chiesa cattolica a Brescia; nel 1235 uccisero il vescovo di Mantova.
Di fronte a questi atti di violenza ed al proliferare dell’eresia la Chiesa, per molti anni, fu in difficoltà su come agire. A Verona, nel 1184 un sinodo vide il papa Lucio III e l’imperatore Federico I Barbarossa costretti ad istituire misure di controllo per contrastare la propaganda eretica, ma senza grandi successi. Nel 1206 il nuovo papa Innocenzo III incaricò i Cistercensi e i Domenicani ad operare un’intensa predicazione senza ottenere risultati soddisfacenti. L’eresia si diffondeva ovunque con velocità, nel 1012 si ha notizia di una setta a Magonza, nel 1018; nel 1200 ne compaiono numerose in Aquitania (sud ovest della Francia), nel 1028 a Orléans; nel 1025 ad Arras; nel 1028 a Monforte (presso Torino); nel 1030 in Borgogna. Il vescovo cattolico di Milano affermava che nel 1166 nella sua diocesi c’erano più eretici che cristiani. La zona, però, dove l’eresia catara proliferò maggiormente fu la Linguadoca dove furono inviate numerose missioni per cercare di convertire gli eretici, tra queste quella di San Bernardo di Chiaravalle il quale racconta che le chiese erano deserte e nessuno più si comunicava e faceva battezzare i figli. I missionari e il clero cattolico locale venivano malmenati, minacciati ed insultati. In Linguadoca fu ucciso dagli eretici persino il legato papale Pietro di Calstelnau. Inoltre la nobiltà locale prese a sostenere attivamente la setta, intravedendo la possibilità di appropriarsi dei beni e delle terre della Chiesa. Raimondo VI di Tolosa arrivò persino ad ospitare alcuni catari nel suo seguito per poter ricevere la loro benedizione in caso di morte improvvisa.
Tra il XI e il XIII secolo per porre un freno deciso all’eresia si susseguirono tre crociate conosciute come le crociate albigesi (gli albigesi erano i catari francesi, n.d.r.). Furono una risposta violenta e disperata contro un male che minava le fondamenta dello stato e della fede. Le istituzioni, cioè il braccio secolare (Simone di Monfort, il re di Francia Luigi VIII) in associazione con i mezzi ecclesiastici ripresero i controllo delle regioni meridionali francesi e repressero nel sangue l’eresia. Nel 1224 l’Imperatore Federico II istituì la pena del rogo per gli eretici. 
Tutte queste drastiche misure furono dapprima tollerate, poi apertamente approvate dalla Chiesa che, però, successivamente, fu veloce a mitigare le forme repressive. 

Alla luce di tutto ciò le affermazioni di L. Gardner e di tutti coloro che hanno fantasticato sul massacro degli albigesi appaiono delle misere manipolazioni della storia. Eppure a noi, osservatori del XXI secolo, resta forte lo sgomento per le terribili responsabilità della Chiesa nella vicenda. Così come ho spiegato a proposito della caccia alle streghe, per poter avere una visione corretta dei fatti occorre calarci nella mentalità del tempo. L’inquisizione e la crociata furono mezzi estremi per estremi rimedi, la cristianità e la stessa società civile reagì violentemente di fronte ad un pericolo reale laddove il dialogo e la pazienza non funzionarono. Fu nel 1053, alla battaglia di Civitate, in cui l’esercito raccolto da papa Leone IX fu sconfitto dai Normanni di Roberto il Guiscardo, che comparirono per la prima volta in battaglia le insegne di S. Pietro (vexilia sancti Pietri). Tutte le popolazioni dell’Italia meridionale, infatti, si appellarono al papa per trovare un aiuto contro le scorrerie dei Normanni, che dalla Sicilia imperversavano devastando e distruggendo campagne e città. Neppure la scomunica aveva fermato le violenze, quindi risultò inevitabile la guerra. Nacque così il concetto della guerra giusta, l’estremo rimedio per ristabilire la giustizia e la salvezza delle anime, valori che per la società laica odierna non hanno più importanza, ma fondamentali nel medioevo. La guerra giusta fu considerato un atto sacro in cui parteciparvi non comportava il peccato. Tutte le sue successive manifestazioni evocate dalla Chiesa, dalle crociate in Terrasanta a quelle contro le eresie, costituirono uno slancio di fede autentica che, sebbene violento e con spargimento di sangue, ha sempre avuto un carattere difensivo a vantaggio della giustizia. Non bisogna, infatti, confonderla con la guerra santa islamica. Il “Jihad” musulmano non aveva carattere difensivo, ma essenzialmente imperialista e caratterizzata da un forte intento di proselitismo, caratteristiche totalmente assenti nelle crociate cristiane.