martedì 17 gennaio 2017

Parte XVI – La Genesi e la donna

Ne “Il Codice da Vinci” D. Brown sostiene che l’antifemminismo della Chiesa Cattolica trae le sue origini addirittura dalla Genesi, si può leggere pag. 279: "… E’ stato l’uomo, non Dio, a creare il concetto di “peccato originale”, secondo cui Eva ha assaggiato la mela e procurato la caduta della razza umana. La donna, che un tempo era la sacra generatrice di vita, adesso era diventata il nemico.” “Devo aggiungere” intervenne Teabing ”che questo concetto di donna come portatrice di vita era il fondamento dell’antica religione. Il parto era qualcosa di misterioso e potente. Purtroppo la filosofia cristiana ha deciso di appropriarsi del potere di creazione femminile ignorando la verità biologica e facendo dell’uomo il Creatore. La Genesi ci dice che Eva è stata creata da una costola di Adamo. La donna divenne una derivazione dell’uomo. Una derivazione peccaminosa. Per la dea, la Genesi fu l’inizio della fine”…"

Una penosa dimostrazione di incredibile ignoranza. Per cercare di costruire una base alla sua patetica teoria, D. Brown s’inoltra in ambiti per lui totalmente sconosciuti e, fatalmente, finisce per perdersi. Come è possibile attribuire alla filosofia cristiana ciò che è scritto nell’antichissima Genesi, primo libro dell’Antico Testamento, costituito dall’assemblaggio di documenti e tradizioni lungo l’arco di tempo tra l’epoca di Mosé (XIII secolo a.C.) e quella della restaurazione d’Israele dopo l’esilio a Babilonia (V secolo a.C.)? La sua lettura è ingenua e rozza, un concentrato di ignoranza e luoghi comuni. La Genesi non dice affatto che l’uomo ha creato la donna ed attribuisce sia all’uomo che alla donna la responsabilità del “peccato originale”, ossia di aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male (non c’è alcuna mela, n. d. r.). 

Come tutti sanno la Genesi è un libro caratterizzato da uno stile letterario fortemente simbolico. Occorre, quindi, tener conto del significato di tali simboli per avere la giusta chiave di lettura. Nella Genesi abbiamo due narrazioni della creazione dell’uomo, una attribuita alla tradizione cosiddetta “elohista”, più recente ed elaborata, ed un’altra detta “jhavista”, più antica e, quindi, ricca di elementi antropomorfici. Nella prima narrazione: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Genesi 1, 27) appare chiaro il messaggio di uguaglianza di sostanza e dignità tra l’uomo e la donna in quanto due metà della stessa umanità creata da Dio. Sant’Agostino, il grande Padre e Dottore della Chiesa del primo millennio, diceva chiaramente riguardo a questo passo della Genesi: “la donna è con suo marito immagine di Dio, cosicché l’unità di quella sostanza umana forma una sola immagine” (De Trinitate XII 7)

Questo stesso messaggio, seppure in modo meno esplicito, è racchiuso anche nella seconda narrazione caratterizzata da una forma fortemente simbolica: "Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna»"(Genesi 2, 18 – 24).

In questo brano la donna, in un’epoca in cui è reputata un essere inferiore, schiava dell’uomo, viene sorprendentemente considerata come una sua pari. Infatti l’uomo non trova tra gli animali un aiuto che gli sia simile e quando lo trova nella donna, che Dio gli ha posto accanto, riconosce che esso è osso delle sue ossa e carne della sua carne, cioè della sua stessa natura e sostanza. Dio, posto il sonno nell’uomo, plasma una donna da una sua costola. In ebraico costola (= selà) significa anche “lato”, ciò sta ad indicare che la donna è vista come la metà dell’uomo. Dio non “prende” la donna dalla testa dell’uomo, ne avrebbe fatto un essere superiore, né dai suoi piedi, avremmo un essere inferiore, ma dal lato dell’uomo perché ne costituisce la metà. Questa complementarietà definisce la caratteristica principale dell’uomo creato da Dio: quella di essere sessuato in maschio e femmina. Per questo, la Genesi dice: "l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" proprio per ribadire la necessità della vita di coppia come realizzazione dell’unità creata da Dio. 

Ma c’è di più, la Genesi, tanto disprezzata da D. Brown, si spinge ben oltre. Alludo al cosiddetto protovangelo che si legge nel capitolo 3, versetto 14: "Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno»". Nella sua infinita bontà, Dio, subito dopo il peccato dell’uomo, progetta la sua salvezza che affiderà proprio alla stirpe della donna.

Non c’è traccia di antifemminismo nella Genesi, l’uomo e la donna sono creati da Dio, hanno pari dignità e sono chiamati a partecipare con Lui alle meraviglie della Creazione, quelle di D. Brown sono, quindi, solo fandonie date in pasto ai creduloni.

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