martedì 28 febbraio 2017

La riflessione sull'eutanasia

In Italia, in questi giorni, sta imperversando il discorso sui temi riguardanti il fine vita, l’eutanasia e la sua regolamentazione. Il tutto è dovuto alla tristissima vicenda di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, rimasto tetraplegico in seguito ad un grave incidente, che, recatosi in Svizzera, ha posto fine alla sua vita con una eutanasia assistita, pratica che in quel paese è legale. L’opinione pubblica laica, favorevole all’eutanasia, è così tornata all’attacco per sollecitare una legge che introduca nel nostro ordinamento la possibilità di poter disporre della propria vita fino alle estreme conseguenze. Si tratterebbe di una decisione di gran rilievo, in quanto verrebbero sconfessati nuovamente (la prima legge a farlo è stata quella sull’interruzione volontaria della gravidanza) i principi di inviolabilità della vita umana su cui si basa la nostra Carta Costituzionale. 

Tra i tanti pareri espressi e le opinioni più diffuse dal mondo laico a favore di una tale legge ho voluto confrontarmi con il pensiero di una persona di grandissima cultura, il noto magistrato Carlo Nordio che dalle pagine del quotidiano romano “Il messaggero” ha voluto denunciare il “groviglio ideologico” che, a suo parere, bloccherebbe le leggi sull’eutanasia. Secondo Nordio la questione si concentrerebbe su tre temi: quello etico, quello giuridico e quello economico. 

Dal punto di vista etico Nordio, nel suo articolo, afferma che è la Chiesa a definire la vita umana un bene indisponibile in quanto dono di Dio. Il magistrato però obietta che chi riceve un dono può farne ciò che vuole, altrimenti non si tratterebbe più di un regalo, ma al massimo di un prestito. Obiezione, a mio parere, alquanto debole. Con la vita umana non stiamo parlando di un semplice dono, di una scatola di cioccolatini o un dopobarba, che se non piace si butta, ma per i cristiani si tratta di un dono di Dio, un bene prezioso a cui bisogna riservare una particolare considerazione. E’ come un prezioso tesoro, tipo il Colosseo di Roma, un’eredità del passato, un dono per la città. Il Comune non può certo venderlo ad acquirenti facoltosi o abbatterlo per costruirci un centro commerciale, scatenerebbe una protesta generale. Per Nordio, invece, l’etica laica ha sempre accettato l’idea del suicidio considerandola lecita e per provarlo cita tutta una serie di suicidi fin dall’epoca degli antichi greci. Dimentica, però, il magistrato che qualsiasi ordinamento giuridico, compreso quello degli antichi, ha sempre limitato, ed anche ritenuto illecita, tale pratica. Non si deve confondere la norma etica con i comportamenti messi in atto.

Dal punto di vista giuridico Nordio pensa che il nostro codice penale punisca il suicidio assistito perché in contrasto con l’ideologia fascista che riteneva il cittadino “un suddito sottomesso alle funzioni dello Stato”. E tale impostazione, sempre secondo Nordio, avrebbe costituito quel dato comune con il comunismo ed il cattolicesimo che ha permesso l’esistenza di un codice penale che ancora condanni l’eutanasia dopo settant’anni di Repubblica. A mio parere, invece, fascismo, comunismo e cattolicesimo non c’entrano niente, ma credo che tanta parte di tale impostazione ci derivi dalle nostre comuni radici cristiane. Proprio quelle che il laicismo di affanna a negare e che, invece, permeano tutta la nostra visione sociale della vita. Se consideriamo un orrore la pena di morte, se la pena inflitta è sempre volta alla riabilitazione del reo, se siamo così sensibili alle politiche sociali di aiuto dei meno abbienti, tutto ciò è dovuto al fatto che la nostra società si è formata e coagulata attorno ad una impostazione cristiana della realtà, dove l’uomo è al centro di tutto e la sua vita considerata come un qualcosa di sacro che va difeso e protetto. 

Infine, Nordio tratta la questione anche da un punto di vista economico ritenendo uno scandalo che il povero Fabiano Antoniani si sia dovuto pagare le spese per andare a morire. Penso che con questo il magistrato abbia voluto auspicare che l’eventuale eutanasia divenuta legale debba essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Ma questo implicherebbe una legge che rendesse lecito il ricorso all’eutanasia e che, quindi, considerasse come un diritto la scelta di voler morire. Tutto ciò non esiste, almeno per ora, in Italia, quindi mi sembra quantomeno prematuro scandalizzarsi. Ciò che a mio modo di vedere sarebbe veramente scandalizzante é una legge che riconosca un diritto a morire. Come può essere concepito un diritto del genere? La nostra Costituzione contempla un diritto alla vita, non alla morte. 

Fragili, ingenue e tragiche al tempo stesso. Così mi sono sembrate le argomentazioni di una delle menti più illuminate a favore dell’eutanasia. La carenza più vistosa mi è sembrata l’assoluta incapacità di considerare la vita umana per come viene definita dalla nostra Costituzione, cioè un valore fondamentale. Se la vita umana è tale come può essere relativizzata da una opinione personale? Se la vita ha valore solo se ne vale la pena di essere vissuta, la vita stessa perde di valore e viene meno un cardine fondamentale della nostra Carta Costituzionale. Non può esistere un diritto a morire, perché sarebbe un falso diritto in quanto distruggerebbe ogni altro diritto. Ogni uomo ha diritto ad essere amato, non abbandonato alla sua disperazione. E’ per quella che si arriva a desiderare la morte. Nel triste caso di Fabiano Antoniani lo scandalo non è stato quello di aver dovuto cercare la morte in Svizzera, ma di non aver trovato quell’amore che gli avrebbe impedito di considerare la vita un peso.

venerdì 24 febbraio 2017

Il laicismo di Zingaretti calpesta democrazia e diritti

Sconcertante è stata la notizia di ieri dell’assunzione di due medici da parte del nosocomio romano San Camillo, da destinare ai reparti di ostetricia e ginecologia, col requisito di avere delle caratteristiche etico-professionali ben precise. Infatti i due medici assunti hanno dovuto promettere di non essere obiettori di coscienza e, quindi, di non frapporre alcuna obiezione etica nell’operare una interruzione di gravidanza e di continuare ad esserlo per alcuni anni. 

Ma ad essere ancora più sconcertanti sono state le dichiarazioni del presidente Nicola Zingaretti che ha fortemente voluto tale concorso. Nel suo delirio il governatore del Lazio è arrivato ad affermare che tale concorso si sarebbe reso necessario per garantire la piena applicazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza e tutelare al meglio il diritto alla salute della donna. 

Siamo di fronte ad un’altra dimostrazione di assoluto spregio della democrazia da parte del laicismo, l’ennesimo tentativo di superare i canali democratici per imporre una visione volgarmente dittatoriale. Con la scusa di tutelare il diritto alla salute della donna, si introduce una vera e propria discriminazione tra chi legittimamente esercita il diritto all’obiezione di coscienza e chi, invece, non lo fa.

L’idea di un concorso simile è semplicemente aberrante, se n’è accorto perfino il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha giustamente fatto ricordare come la Legge non prevede questo tipo di selezione e che se una struttura avesse problemi di fabbisogno di personale medico per la piena attuazione della legge 194 ha la facoltà di attingere in mobilità da altro personale. E’ opportuno, infatti, ricordare quanto il ministro Lorenzin ha relazionato al Parlamento sul regime delle interruzione di gravidanza in Italia. In 30 anni le interruzioni sono scese di 131216 unità e il numero dei medici non obiettori è sufficiente per la piena attuazione della legge 194.

Ma a mio modo di vedere la cosa più grave è l’odiosa discriminazione che devono sopportare i medici obiettori per il solo fatto di esercitare un loro diritto costituzionale. L’obiezione di coscienza è un diritto fondamentale della persona e non può in alcun modo essere un requisito per partecipare ad un concorso pubblico. E’ semplicemente assurdo sfavorire chi esercita un proprio diritto e favorire chi sceglie di non esercitarlo. C’è, poi, da sottolineare che non è possibile costringere una persona a far tacere la propria coscienza. La libertà di coscienza è un diritto inalienabile e può essere esercitata in qualsiasi momento. La negazione di esercitare un diritto non può essere un requisito per l’assunzione.

Ma per i laicisti come Zingaretti è questo il metodo normale di procedere: calpestare la democrazia e i diritti della persona per imporre la propria deleteria visione. Che, in questo caso, è una visione di morte.

lunedì 20 febbraio 2017

Un testo di legge sul fine vita che nasconde l'eutanasia.

Oggi in aula alla Camera dei Deputati è prevista la votazione del testo della legge sul fine vita, più propriamente “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Nel silenzio generale dei telegiornali, o solo appena alcuni trafiletti sui principali media, nei giorni scorsi si è registrata la forte protesta del mondo cattolico sul tentativo di introdurre l’eutanasia con l’attuale testo della legge in discussione.


Questo testo, infatti, nonostante espliciti che il rifiuto del trattamento sanitario o l'interruzione “non possono comportare l'abbandono terapeutico”, arriva alla mostruosità di considerare come “trattamenti sanitari” l’interruzione della nutrizione e la disidratazione. L’articolo 1 comma 5 prevede, infatti, che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha […] il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento, ivi incluse la nutrizione e l'idratazione artificiali”.

Siamo alle solite, le forze laiciste tentano in ogni modo di imporre l’eutanasia e per farlo non esitano ad utilizzare ogni via traversa e a calpestare il valore della vita umana. Per Luca Moroni, presidente della FCP (Federazione Cure Palliative), ad esempio, occorre sancire il diritto del malato di rifiutare qualsiasi trattamento, compresa la nutrizione e l’idratazione artificiale. Ma come è possibile considerare la nutrizione e l’idratazione dei trattamenti sanitari? Si tratta di un vero e proprio stravolgimento della realtà oggettiva. Dare da mangiare e da bere sono gesti d’amore che non possono essere sottratti a nessuno, la vita dipende da tali azioni, negarle perché considerate alla stregua di un accanimento terapeutico equivale a distruggere la vita come valore universale. Ma c’è di più, l’articolo 1, comma 7 del testo di legge in discussione dispone che: “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale”, quindi questo testo di legge considera il medico alla stregua di un fantoccio infischiandosene delle sue funzioni deontologiche che sono, invece, mirate alla cura e protezione della vita, proponendosi, in questo modo, di negare il suo sacrosanto diritto all’obiezione di coscienza.

Negazione del valore fondamentale della vita umana, negazione del valore umano dell’assistenza più basilare, negazione della dignità umana, negazione della dignità deontologica del medico e negazione del suo diritto all’obiezione di coscienza. Sono questi i tristi e violenti tratti dell’azione laicista.

lunedì 13 febbraio 2017

Parte XVII – La caccia alle streghe

Nel minestrone di inesattezze e luoghi comuni preparato da D.Brown, ispirato al più becero anticattolicesimo, non poteva mancare lo scontato riferimento all’Inquisizione e alla caccia alle streghe. A pag. 150 de “Il Codice da Vinci” si legge: «La sua brutale [della Chiesa] crociata per “rieducare” le religioni pagane e il culto della femminilità era durata per tre secoli e aveva impiegato metodi astuti e orribili […] In trecento anni di caccia alle streghe, la Chiesa aveva bruciato sul rogo la sorprendente cifra di cinque milioni di donne».

Veramente un gioco sporco quello di D. Brown, costui, per avvalorare le sue assurde teorie complottistiche, non esita ad usare argomenti oscuri e controversi della storia della Chiesa con lo scopo inconfessato di generare un facile sentimento anticattolico. Il risultato di questa penosa operazione è, però, ancora una volta, la dimostrazione della sua profonda ignoranza. Inevitabilmente non c’è alcunché di vero nelle sue affermazioni. Innanzitutto la cifra che riporta è totalmente assurda. Gli studiosi del fenomeno riportano dati molto più contenuti. Secondo gli studi di Brian O. Levack, forse il massimo studioso mondiale sul fenomeno, cui ha dedicato circa vent’anni di ricerche negli archivi di tutta l’Europa, i processi per stregoneria in Europa nell’arco di oltre tre secoli sono stati circa 110 mila e di questi la conclusione con condanne a morte è stata inferiore al 60% (Brian O. Levack “La caccia alle streghe” Texas 1987, Laterza Bari 1988). Quindi le vittime sono state al massimo 60–65 mila. Si tratta certamente di una cifra drammatica, ma ben lontana da quella propinata da D. Brown, che sembra ignorare la più elementare demografia. Per avere un quadro più preciso ed esaustivo del fenomeno rimando il lettore al seguente articolo

Il fenomeno della caccia alle streghe è un doloroso episodio della storia della chiesa, ma ebbe motivazioni e sviluppi che non sono quelli riportati dal “Il Codice da Vinci”. In realtà la pratica della magia e della stregoneria è esistita in ogni tempo. Le paure ancestrali dell’uomo, originate dalla sua ignoranza nel capire la natura del mondo che lo circondava, hanno da sempre giustificato il ricorso al mondo dell’occultismo. Quando, però, nel XIV secolo il proliferare delle sette demoniache ha incominciato ad assumere il carattere di una vera e propria influenza del potere satanico nella vita della società, l’unica autorità morale di allora, la Chiesa Cattolica, intervenne per arginare il fenomeno, reprimere le eresie che minavano l’ortodossia della fede ed assicurare a moltissimi infelici un processo giusto evitandogli il linciaggio da parte della folla ignorante e superstiziosa. Purtroppo questo significò il ricorso alla pena di morte e così iniziarono le esecuzioni capitali. Nei secoli successivi, XV-XVII, il fenomeno ebbe uno sviluppo incontrollato, l’incapacità di dare una spiegazione scientifica ai fenomeni fuori dall’ordinario, la paura che attanagliò le popolazioni afflitte dalle frequenti epidemie di peste, i fenomeni di allucinazione collettiva dovuti alle tensioni sociali, alle guerre di religione e, soprattutto, alla predicazione religiosa protestante, che insisteva eccessivamente sulla potenza del male, determinarono una vera e propria psicosi. Quello che D. Brown non dice, infatti, è che la caccia alle streghe ebbe il carattere maggiormente repressivo nei paesi Protestanti come la Germania e, soprattutto, la Scozia. Altro dato ignorato da D. Brown è che a partire dal XV secolo i tribunali ecclesiastici vengono sostituiti da quelli laici, infatti è opportuno ricordare che la stragrande maggioranza dei processi per stregoneria è stata celebrata proprio presso tribunali laici. La maggioranza delle condanne è stata, dunque, comminata da giudici laici che non avevano niente a che vedere con la chiesa. Certamente in alcuni casi resta indubbia la responsabilità della Chiesa Cattolica che in talune occasioni non ha vigilato a dovere, ma occorre anche considerare che in quel periodo il potere laico riusciva ad essere molto forte e non facilmente controllabile dai papi. 

A noi, osservatori del XXI secolo, questa vicenda suscita orrore e sconcerto, ma se vogliamo capire quel determinato momento storico bisogna abbandonare la nostra visuale per calarci in quella dell’Europa del XIII – XIV secolo. La vita di allora era caratterizzata da insicurezze di ogni tipo: sociali, politiche, economiche. Al di fuori delle classi dominanti non esisteva il benessere, si viveva costantemente tra le sofferenze causate dalle malattie o dalla mancanza di cure mediche e, soprattutto, si moriva presto e il più delle volte per cause banali (infezioni e setticemie). L’unica certezza, per quelle società teocratiche, erano Dio, la Chiesa e la speranza di una vita migliore nel Regno dei Cieli. Appare, quindi, inevitabile una forte reazione verso chiunque potesse mettere a repentaglio tali prospettive. Purtroppo anche il ricorso alla pena di morte ed alla tortura era, in quei tempi, ancora considerato un normale modo di procedere nell’amministrazione della giustizia. 

Nell’anno 2000, comunque, durante il grande Giubileo, il Papa Giovanni Paolo II, reputando gravi le colpe della Chiesa Cattolica nei confronti della donna, ha solennemente chiesto perdono.

giovedì 2 febbraio 2017

Il mito della superiorità della cultura araba islamica

Uno dei miti maggiormente diffusi della storiografia più comunemente accettata, ossia quella prodotta dalla visione nettamente anticristiana ed anticattolica sorta in età illuminista, sarebbe la supposta superiorità della cultura islamica su quella cristiana. Tale convinzione nacque dal pregiudizio che voleva l’Europa cristiana precipitata in uno stato di forte arretratezza culturale dovuto all’oscurantismo ed alla grettezza della Chiesa di Roma, mentre il mondo islamico eccelleva nelle scienze e nel progresso. 


Secondo il famoso filosofo ginevrino Rousseau, illuminista vissuto nel XVIII secolo, “L’Europa era ricaduta nella barbarie delle ere più antiche” (In Peter Gay “The Enlightenment” W.W. Norton, New York 1966), l’illuminista Voltaire era convinto che dopo la caduta dell’Impero romano “la barbarie, la superstizione, l’ignoranza ricoprirono il volto della terra” (Voltaire “The best known works of Voltaire” The Book League, New York 1940) ed anche il famoso storico Edward Gibbon, massone ed anticlericale del XVIII secolo, bollò quel periodo come “l’epoca del trionfo della barbarie e della religione cristiana” (Edward Gibbon “Declino e caduta dell’impero romano”, Mondadori, Milano, 1998). Questa impostazione s’è fatta sentire anche nelle opere di alcuni storici moderni, come Daniel Boorstin o William Manchester, secondo i quali i cosiddetti “secoli bui”, cioè il periodo successivo alla caduta dell’impero romano, furono caratterizzati dall’oppressione e dall’oscurantismo delle autorità del mondo cristiano che formarono una barriera allo sviluppo delle conoscenze.

Tutte queste affermazioni nascono da un evidente malafede che è stata alimentata da un palese sentimento anticlericale. Un esempio eclatante è la convinzione ancora ben radicata che il periodo storico di maggiore civiltà e progresso che abbia mai visto la Sicilia sia stato quello durante la dominazione araba. In realtà si tratta di uno dei falsi più clamorosi della storiografia moderna ad opera dell’erudito, ma falsario, Giuseppe Vella che nel XVIII secolo fabbricò un documento falso con cui giustificava la dominazione musulmana dell’isola. Tutto ciò faceva nascere il mito della Sicilia islamica, isola di concordia e progresso scientifico-culturale. Fondandosi su tale documento il famoso storico Michele Amari, convinto anticlericale e massone, perpetuò negli anni successivi il mito del periodo d’oro islamico. La storiografia moderna, con storici più obiettivi come Alessandro Vanoli, Salvatore Tramontana, ecc… ha dimostrato che in Sicilia i musulmani si comportarono come un qualsiasi vincitore che si è insediato con la forza strappando il dominio ai popoli locali. Infatti la dominazione islamica fu rigida e tutta protesa all’islamizzazione dell’isola con la creazione di un califfato islamico, la distruzione di chiese e sinagoghe e la dura sottomissione delle comunità cristiane ed ebraiche. Fu applicato l’”Aman”, un editto del califfo Omar, personaggio tristemente famoso per aver incendiato la biblioteca di Alessandria, uno dei più grandi delitti contro l’umanità. Vi erano elencati tutta una serie di obblighi e divieti, molti dei quali estremamente pesanti ed umilianti, cui erano sottoposti i dhimmi, cioè i non musulmani che vivevano nell’isola, cioè gli ebrei e i cristiani. 

Va, comunque, detto che nel mondo islamico si verificarono numerosissimi casi in cui, nonostante la condizione di “dhimmitudine”, i cristiani riuscivano a divenire persone influenti con posizioni di potere. Ma ciò non fu dovuto ad una particolare tolleranza della società islamica verso i non credenti, ma al fatto che tali persone di cultura e formazione cristiana erano in grado di fungere come abili amministratori e di ricoprire validamente cariche di governo, benché ciò fosse vietato dalla legge islamica (Moshe Gil “A History of Palestine, 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge, 1992, p.470). 

Quello della superiorità della cultura islamica rispetto all’Europa cristiana dei “secoli bui” è un vero e proprio mito. In realtà la raffinata cultura araba islamica fu mutuata da quella dei popoli che furono assoggettati. E’ stata la cultura greco-giudaica-cristiana di Bisanzio a fornire la base per il fiorire delle conoscenze arabe. I progressi tecnologici del mondo arabo non furono dovuti che alle straordinarie conoscenze delle comunità cristiane, come quelle copte o nestoriane, di quelle persiane e hindu. Tutte popolazioni che finirono per essere inglobate dalla marea islamica. La più antica opera scientifica in lingua araba, ad esempio, è stato un trattato di medicina composto da un presbitero cristiano ad Alessandria (Samuel Hugh Moffet “A History of Christianity in Asia” Vol. I, Harper, San Francisco, 1992, p. 344). Inoltre, come spiega lo storico Marshall Hodgson, gli eruditi dhimmi tendevano a conservare la propria identità nazionale e l’originaria professione di fede senza confondersi con l’elemento arabo e ciò fa ridimensionare notevolmente il valore della tanto favoleggiata cultura araba (Marshall Hodgson “The Venture of Islam: Conscience and History in a World Civilization” Chicago University Press, Chicago 1974, p. 298). Persino la famosa architettura araba non fu che l’opera di architetti di cultura dhimmi che seppero adattare alle esigenze islamiche modelli tipici dell’arte persiana e bizantina (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio”, Lindau, 2010, p.84). Ad esempio la grande Moschea della Roccia, riconosciuto capolavoro dell’architettura “islamica”, non fu altro che l’opera di architetti e artigiani bizantini ingaggiati dal Califfo Abd al Malik (Teddy Kollek, Moshe Pearlman ”Pilgrims to the Holy Land” Harper and Row, New York 1970, p.59). Sono molto poche le conquiste scientifiche che possono essere fatte risalire agli arabi, lo stesso Avicenna, il più autorevole scienziato e filosofo musulmano, era persiano. La portentosa, per quei tempi, medicina “araba” era frutto della scienza dei cristiani nestoriani, l’avanzatissima matematica degli arabi era, in realtà, il prodotto dell’ingegno persiano e siriaco. Basti pensare che i cosiddetti numeri arabi hanno in realtà un’origine hindu, cioè indiana. Il tanto celebrato concetto dello “zero” non è affatto arabo, ma appartiene allo straordinario sistema numerico hindu (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio”, Lindau, 2010, p.85).

Certamente alla cultura araba musulmana va molto riconosciuto: dalla profonda conoscenza degli autori classici agli straordinari contributi nel campo della matematica e dell’astronomia, ma non è possibile storicamente considerarla superiore alla cultura dell’Europa medioevale cristiana. Anzi la dominazione islamica, anche nel momento del suo più alto culmine, ha sempre patito un’evidente arretratezza dal punto di vista tecnologico. Rispetto agli islamici gli europei disponevano di risorse e invenzioni di importanza fondamentale, come una migliore cantieristica navale, migliori trasporti, migliori sistemi di coltivazione, avevano migliori e più micidiali armi, come le balestre, migliori armature e fanterie maggiormente addestrate. Tutto ciò spiega come sia stato possibile che i crociati abbiano potuto percorrere migliaia di chilometri, sconfiggere un nemico numericamente molto superiore ed impegnare validamente l’intero mondo islamico fino a quando l’Europa è stata in grado di assicurare loro le risorse necessarie (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio”, Lindau, 2010, p.107). Tutto ciò è stato possibile, contrariamente a quanto affermano le fandonie anticlericali illuministe, perché la filosofia cristiana medioevale era ben lungi dall’essere oscurantista, ma metteva in risalto l’armonia, l’ordine, la proporzione, cioè la razionalità del creato ed è proprio grazie a questa visione di Dio, del cosmo e dell’uomo, che nacque la scienza. Questa impostazione determinò la nascita della scienza moderna e l’avvento dei più grossi scienziati dell’era moderna, come i francescani Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, il sacerdote Niccolò Copernico, il vescovo Niccolò Stenone, padre della geologia e della paleontologia, gli astronomi cristiani Galileo Galilei e Keplero e tanti altri. 


Bibliografia 

R. Pernoud “Medioevo, un secolare pregiudizio” Editore Bompiani 2001;
R. Pernoud “Luce del Medioevo” Editore Gribaudi 2002;
J. Le Goff, “Un lungo Medioevo”, Dedalo 2006;
R. Stark “Gli eserciti di Dio”, Lindau, 2010;
S. Tramontana “L’isola di Allah. Luoghi, uomini e cose di Sicilia nei secoli IX-XI”, Einaudi, 2014;
A. Vanoli “La Sicilia Musulmana” Il Mulino, 2016.