giovedì 25 maggio 2017

Parte XX – Leonardo da Vinci

Il romanzo di D. Brown deriva il suo titolo dal famoso artista e scienziato italiano del Rinascimento Leonardo da Vinci (in realtà dal posto in cui è nato, visto che quell’ignorante di D. Brown pensa sia il suo cognome, n. d. r.). Ci si potrebbe chiedere (giustamente) cosa centri in tutta questa storia Leonardo da Vinci, eppure D. Brown riesce a raccontare una assurdità tale che, paradossalmente, diviene il filo conduttore del suo romanzo, nonché l’idea vincente per le illustrazioni della copertina del suo libro (ma anche per le locandine del film e per le scatole del videogioco al libro ispirati). 

A pag 285 de il “Codice da Vinci” si può leggere la seguente assurdità: «…Langdon sorrise. “In effetti, il Santo Graal comparve davvero nell’Ultima Cena. Leonardo l’ha messo in un posto molto visibile”…Sophie esaminò la figura alla destra di Gesù. A mano mano che studiava la sua faccia e il suo corpo era sempre più stupita. La persona raffigurata aveva lunghi capelli rossi, delicate mani giunte e il seno appena accennato. Era senza dubbio femmina. “Ma è una donna!” esclamò. Teabing rideva. “Sorpresa, sorpresa. Mi creda non si tratta di un errore. Leonardo era abilissimo nel ritrarre le differenze tra i sessi” […] ”Nessuno se ne accorge mai” disse Teabing. “I nostri preconcetti su quella scena sono talmente forti che la nostra mente cancella l’incongruenza e ci fa vedere quello che non c’è”…Sophie si avvicinò ancor più all’immagine. La donna alla destra di Gesù era giovane e aveva l’aspetto pio, un viso dall’espressione piena di discrezione, bellissimi capelli rossi e mani tranquillamente giunte. “Questa è la donna che da sola poteva far crollare la Chiesa? Chi è?” chiese. “Quella donna, mia cara” rispose Teabing “è Maria Maddalena” […] ”L’Ultima Cena grida praticamente a tutti che Gesù e Maria Maddalena erano una coppia di sposi” […] ”osservi come Gesù e la sua sposa sembrano uniti in corrispondenza del fianco e si allontanano l’uno dall’altra per creare uno spazio vuoto ben delineato tra loro”…il segno “femminile”: V. […] “se osserviamo Gesù e Maddalena come elementi compositivi e non come persone, vediamo balzare fuori un’altra forma. Una lettera dell’alfabeto”…In centro all’affresco c’era l’inconfondibile profilo di una enorme, precisa lettera “M”…”I teorici dei complotti le diranno che sta per matrimonio o per Maria Maddalena” […] disse Langdon, indicando l’Ultima cena. “Questo è Pietro. Vedi che Leonardo sapeva come la pensasse a proposito di Maria Maddalena?” Anche ora, Sophie rimase senza parole. Nell’affresco, Pietro era piegato minacciosamente verso la donna e la sua mano simile ad una lama faceva il gesto di tagliarle il collo. Lo stesso gesto di minaccia che si poteva vedere nella Vergine delle Rocce!...».

Senza dubbio un’ottima operazione di promozione del proprio romanzo, tirare in ballo un’opera così nota per dire che vi è nascosto un riferimento segreto di cui nessuno se ne era mai accorto è sicuramente un colpo di genio. Ovviamente non c’è niente di vero, ma se serve per fare effetto, D. Brown non si fa scrupoli coinvolgendo Gesù e gli apostoli in una gazzarra d’osteria banalizzando un momento della vita di Gesù così sacro per la fede cristiana.

Per confutare la lettura di D. Brown non occorre essere un critico d’arte, basta aprire una enciclopedia, visitare qualche sito web sull’argomento oppure, semplicemente, guardare il dipinto.

Leonardo dipinse l’”Ultima cena” tra il 1494 ed il 1497 per decorare un lato corto del refettorio della comunità dei padri domenicani di S. Maria delle Grazie, a Milano. Contrariamente a quello che comunemente si pensa l'opera non è un affresco, infatti Leonardo dipinse l’intonaco asciutto, come se fosse un tela, per avere a disposizione tempi realizzativi più lunghi. Come è noto la tecnica dell’affresco prevede la pittura sull’intonaco ancora fresco in modo che questo, asciugandosi, incorpori saldamente il colore garantendo una lunghissima tenuta. Per questo motivo l’”Ultima cena” è giunta sino a noi molto deteriorata. Leonardo fu ingaggiato per quel lavoro dal Duca della città, Ludovico il Moro, molto amico della comunità, tanto che il convento divenne il mausoleo della sua famiglia. Leonardo, quindi, non dipinse in un luogo appartato o di scarsa importanza dove non avrebbe corso il pericolo di vedere scoperto il suo “segreto”, bensì, realizzò la sua opera pittorica dalle dimensioni più grandi in una delle strutture più grandi e per una delle autorità italiane più importanti del tempo. Infatti nessuno considerò blasfemo o apertamente anticattolico il dipinto. Non i frati, non il Priore, padre Vincenzo Bandello, il cui nipote, novizio domenicano, addirittura, nelle sue novelle descrisse in modo dettagliato il modo di lavorare di Leonardo alle Grazie, senza riportare alcunché di anomalo. Persino la soldataglia napoleonica, nel 1800, considerò il refettorio un luogo così cattolico da trasformarlo, per sfregio, in stalla per ben tre anni.

L'Ultima Cena di Leonardo

Per tradizione tutti i refettori conventuali dei vari ordini religiosi cattolici sono decorati con la scena dell’ultima cena dove Gesù trasforma il pane e l’acqua nel suo corpo e sangue gloriosi, ma stavolta Leonardo vuole riprodurre il momento in cui Gesù annuncia agli apostoli che uno di loro lo tradirà. Viene rappresentato l’attimo appena precedente la rivelazione dell’identità del traditore. «Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà» (Gv 13, 21). Il dipinto va, quindi, interpretato alla luce dei versetti dal 21 al 27 del capitolo 13 del vangelo di Giovanni. Per questo motivo non compaiono sulla tavola, davanti a Gesù, i classici simboli eucaristici del pane e del calice. Si può notare, invece, che conformemente al versetto 22: «I discepoli si guardarono gli uni e gli altri, non sapendo di chi parlasse», gli apostoli sono raffigurati scandalizzati, ognuno nell’atto di domandarsi chi possa essere il traditore. Subito alla sinistra di Gesù c’è Tommaso che si protende verso il Signore alzando il dito, che poi metterà nel suo costato una settimana dopo. Seduto vicino a Gesù c’è, però, Giacomo il maggiore che appare inorridito dalla notizia. Egli e suo fratello, Giovanni, sono seduti uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra, immagine che richiama il passo di Marco 10, 37, cioè la richiesta di poter sedere nel regno dei cieli, alla destra ed alla sinistra del Signore. Subito dopo c’è Filippo che si porta le mani al petto. Leonardo attribuisce a lui la frase di Matteo 26, 22: «Sono forse io?». Parimenti anche i terzetti posti agli estremi della tavola, alla sinistra di Gesù, Matteo, Taddeo e Simone, ed alla destra, Andrea, Giacomo il minore e Bartolomeo, sono raffigurati come sconvolti ed increduli, pieni di amara sorpresa. 

Il terzetto subito alla destra di Gesù è formato da Giovanni, Pietro e Giuda, anch’esso è raffigurato da Leonardo nell’attimo appena precedente la rivelazione dell’identità del traditore. Leggiamo Giovanni 13, 23-25: «Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Di’, chi è colui a cui si riferisce?” Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù , gli disse: “Signore chi è?”». Leonardo traduce in immagini questi versetti, infatti Pietro con un cenno si avvicina a Giovanni per potergli parlare e lui si piega verso di lui per poterlo ascoltare. E’ per questo motivo che si forma lo spazio vuoto tra Giovanni e Gesù, e siccome sono seduti vicino, tale spazio ha una vaga forma a “V”. Solo un eccitato farneticante come D. Brown poteva vederci una vagina stilizzata.
Giovanni, Giuda e Pietro
Coerentemente con il racconto evangelico Pietro ha l’espressione infuriata perché vuole sapere subito chi è il traditore e il coltello che tiene nell’altra mano tradisce le sue drastiche intenzioni. Più tardi, infatti, non esiterà, nell’orto del Getsemani, a tagliare l’orecchio al servo del Sommo Sacerdote, Malco (Mt 26, 1). Egli non ha nulla contro la figura a cui si rivolge, questa, infatti ha un’espressione tranquilla ed abbandonata. E’ Giovanni, efebico, raffigurato secondo la classica iconografia del tempo, è l’unico senza barba ed ha lunghi capelli perché è solo un giovinetto (dove poi, D. Brown, riesca a vedere un seno femminile rimane un mistero, n.d.r.). L’unico apostolo non visibile in viso è Giuda, il traditore, egli, pur essendo seduto alla stessa tavola, appare come separato da tutti gli altri apostoli è ormai una presenza aliena, non fa più parte della comunità degli apostoli, «E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui» (Gv 13, 27).

Al centro del dipinto c’è Gesù, Egli è fisicamente separato da tutti gli apostoli, siamo in un momento solenne in cui il Figlio di Dio è solo di fronte al male assoluto, la sua figura è iscritta in un triangolo equilatero perfetto, Egli è il centro di tutto, la salvezza dell’uomo si compie attraverso il dono della sua vita, tutte le linee di prospettiva del dipinto partono da questo triangolo. Con la mano destra Gesù sta per prendere il boccone che indicherà in Giuda il traditore, mentre la sinistra è aperta in segno di abbandono alla volontà del Padre. E’ il simbolo dell’offerta perfetta di Gesù che si lascia travolgere dal male supremo per trasformarlo in salvezza, è la prefigurazione della sua morte e resurrezione. 

Di fronte a temi così importanti e profondi della fede cristiana, magistralmente espressi dal genio leonardesco, è difficile mantenere la calma nel leggere, e saper universalmente divulgate, le cretinate di quel mentecatto di D. Brown. Questo ignorante completo vede vagine e falli stilizzati, inesistenti misteriose “M”, toglie Giovanni dall’”Ultima cena” per inserirci la Maddalena quando, invece, gli apostoli presenti erano dodici, crede di vedere un gesto minaccioso nel dito dell’angelo che indica S. Giovannino in la “Vergine delle rocce”, altro dipinto leonardesco. 

Purtroppo chiunque ha letto il “Codice da Vinci” non è poi riuscito a resistere alla tentazione di analizzare l’”Ultima cena” di Leonardo. Quante persone si saranno rese conto delle assurdità sparate da D. Brown? E quante no? Queste domande mi fanno rabbrividire.

Inevitabilmente D. Brown tira in ballo anche altre opere di Leonardo, tra queste il famoso dipinto della “Gioconda”. A pag. 145 de “Il Codice da Vinci” si legge: «…la sua Monna Lisa non è né maschio, né femmina, contiene un sottile messaggio di androginia. E’ una fusione dei due sessi […] non solo la faccia di Monna Lisa ha un aspetto androgino, ma il suo nome è un anagramma della divina unione tra maschio e femmina. E quello, amici, è il piccolo segreto di Leonardo, e la ragione del sorriso saputo di Monna Lisa». Secondo D. Brown l’anagramma nascosto nel nome della Monna Lisa sarebbe un riferimento al dio egizio Amon, ritenuto il dio maschile della fertilità, e la dea egizia Iside, ritenuta la versione femminile di Amon. 

Questa stupidaggine colossale D. Brown la copia di sana pianta da “La rivelazione dei Templari: i Guardiani della vera identità di Cristo” di L. Picknett e C. Prince, un testo universalmente ritenuto di nessuna validità storica. Basta pensare che i suoi autori affermano come un fatto certo che la Sacra Sindone di Torino sia un autoritratto fotografico di Leonardo da Vinci (sic!). Si tratta, invece, solo di un giochetto con termini che vagamente si assomigliano tra loro: “Monna” con “Amon e “Lisa” con “Iside”. Inoltre, contrariamente alle corbellerie che scrive Brown, Amon non è il dio egizio della fertilità, bensì la versione tebana del dio di Eliopoli Atun, cioè il dio primordiale. Queste divinità assumono, semmai, i connotati di creatori solo in associazione con il disco solare, cioè Ra, così abbiamo Amon-Ra e Atun-RaIn realtà non c’è alcun mistero, infatti è risaputo, come ci informa il Vasari, che la “Gioconda” è il ritratto di una donna realmente esistita, cioè Madonna Lisa, moglie di Francesco di Bartolomeo del Giocondo che lo commissionò a Leonardo nel 1503. 

lunedì 15 maggio 2017

Il primo gnosticismo, Cerinto.

In questo articolo prendo in considerazione un altro personaggio legato alla corrente del cristianesimo gnostico di tipo docetista sviluppatasi tra la fine del primo e l’inizio del secondo secolo. Si tratta di un certo Cerinto, un teologo e filosofo siriano di lingua greca originario di Antiochia, o secondo altre fonti di Efeso, che fu, in base alle poche fonti a disposizione, addirittura contemporaneo dell’evangelista Giovanni. 

A parlarci di questo Cerinto sono il vescovo di Lione, Ireneo (130 – 202), nel suo Adversus Haereses, e lo scrittore Eusebio di Cesarea, del III secolo. Ireneo, fiero oppositore dello gnosticismo, ci narra come Cerinto fosse uno dei capostipiti della corrente gnostico-docetista del primo cristianesimo. Sempre secondo Ireneo Cerinto venne a contatto con la comunità giovannea di Efeso, ma si scontrò con la tradizione apostolica trasmessa dall’apostolo e fu decisamente respinto. Secondo Ireneo il Vangelo secondo Giovanni fu addirittura scritto proprio per confutare la sua dottrina gnostica. Eusebio di Cesarea riporta persino un diverbio pubblico tra l’apostolo e Cerinto, incontrato alle terme di Efeso (Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, IV, 14, 6). L’opposizione verso Cerinto da parte della Chiesa fu subito netta e decisa, a tal punto che, narrano nei loro scritti Ippolito di Roma ed Eusebio di Cesarea, a Roma un prete dotto ed ortodosso di nome Gaio, vissuto sotto papa Zefirino (199-217), arrivò a ripudiare il Vangelo secondo Giovanni in quanto lo riteneva opera di Cerinto. Questo deciso rifiuto di Cerinto, e della sua teologia, testimonia come già nei primi periodi della vita della Chiesa è presente una fede già ben formata che deriva dalla tradizione apostolica. Già nel secondo secolo, a Roma ed ad Efeso, cioè sia nella Chiesa occidentale che orientale, è presente un’ortodossia che si oppone alle infiltrazioni gnostiche. 

La teologia di Cerinto è quella tipicamente gnostica-docetista, infinitamente lontana da quella tradizionale apostolica nata dalla prima testimonianza. Secondo la sua visione Dio, in quanto essere perfetto per eccellenza, non poteva aver creato il mondo perché imperfetto e malvagio e che tale creazione fu opera di un essere inferiore, un demiurgo oppure degli angeli. A divergere decisamente dal nucleo originale dell’annuncio cristiano delle origine è la convinzione che Gesù fosse un semplice uomo, nato da Giuseppe e Maria, e che solo successivamente discese su di lui l’essere superiore chiamato Cristo sotto forma di colomba, al momento del battesimo per insegnargli la via verso il Padre sconosciuto. Cristo, poi, prima della crocifissione abbandonò l’uomo Gesù al suo destino. Quest’ultima tesi caratterizza il docetismo di Cerinto come adozionista. Infine Cerinto attendeva, dopo la resurrezione, l'avvento di un regno terreno di Cristo.

Una visione che, come abbiamo visto, si opponeva all’originalità dell’annuncio cristiano, al Kerigma professato dai primi cristiani, nel quale è primario il riferimento alla divinità del Cristo-uomo e alla salvezza operata dalla sua sofferenza sulla croce (Col 1, 21-24). 

Bibliografia

Catholic Encyclopedia, Volume III New York 1908, Robert Appleton Company;
R.M.Grant, “Gnosticismo e Cristianesimo primitivo”, il Mulino, Bologna 1976;
H. Jonas, “Lo Gnosticismo”, SEI, Torino, 1973;
J.N.D. Kelly, “Il pensiero cristiano delle origini”, il Mulino, Bologna, 1972.