lunedì 23 settembre 2013

L'arianesimo: negazione del cristianesimo.


Nella cristianità del terzo secolo impazzavano le discussioni teologiche sulla natura dei rapporti trinitari tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Come abbiamo già visto la Chiesa di Roma intervenne decisamente per portare chiarezza e, nella persona del papa Callisto, condannò decisamente i patripassiani e Sabellio che propugnavano quel monarchianesimo modalista in cui veniva esaltata l’unicità di Dio a scapito delle tre persone della Trinità. Questa azione, però, non escludeva il pericolo opposto, il monarchianesimo adozionista, cioè la concezione che Dio avesse solo adottato l’uomo Gesù come suo figlio. Come abbiamo già notato questa fede semplice dell’adozionismo si sviluppò enormemente e diede la stura a tutta una serie di visioni teologiche che ebbero la tendenza di sminuire l’importanza di Cristo, la sua dignità e di farne un dio minore o, addirittura, una semplice creatura. 


Tutte queste visioni confluirono in qualche modo in Luciano di Antiochia, un presbitero che raggiunse una posizione di spicco come capo della scuola teologica di Antiochia e morì martire nel 312 sotto la persecuzione di Massimino Daia. Egli insegnava una sorta di compromesso tra modalismo e adozionismo affermando che il Verbo, nonostante egli stesso fosse il creatore di tutti gli esseri, era una creatura, anche se superiore a tutte le altre. In sostanza anche il Verbo era una creatura di Dio ed è stato tratto dal nulla. Qui sono le radici dell’arianesimo. 

L’arianesimo prese il nome da Ario che, insieme ad Eusebio di Nicomedia, un suo sostenitore, fu discepolo di Luciano di Antiochia. Egli trasse le conclusioni dalle premesse di Luciano e diffuse questa nuova dottrina avendo grande capacità di comunicatore. Ario era un berbero di origine libica, nato probabilmente nel 256, che nel 311 fu ordinato presbitero da Achilla, vescovo di Alessandria d’Egitto. Nel 318 iniziò ad accusare Alessandro, il patriarca di Alessandria successore di Achilla, di essere sabellianista in quanto insegnava l’uguaglianza di dignità tra il Figlio e il Padre, mentre Dio non può che essere uno. Era questa la visione di Ario: solo il Padre è Dio, solo lui è eterno, il Verbo non è che una creatura, anche se la prima di tutte le creature di Dio, ma fatto dal nulla. Ario interpretava in senso negativo la teologia del più grande maestro della scuola alessandrina, Origene, che divideva in due momenti la rivelazione del Logos: cioè prima della creazione quando è una sola cosa con il Padre e dopo la creazione quando il Logos diviene un’entità distinta. Ma mentre per Origene il Logos è comunque generato da Dio e della stessa sostanza di Dio, in Ario diviene una creatura di Dio. 

La teologia di Ario costituì la prima grande rottura con la fede cristiana fino a quel tempo professata. Veniva messo in discussione ciò che i cristiani avevano sempre creduto, che il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Per l’arianesimo solo il Padre è senza inizio: se il Figlio è stato originato, vuol dire che ci fu un tempo che non esisteva, perché tutto ciò che ha un’origine deve iniziare ad essere. 

La reazione non si fece attendere, così nel 321 il patriarca Alessandro convocò un sinodo ad Alessandria con diversi vescovi, sia egiziani che libici, che si concluse con la scomunica di Ario che riparò in Palestina assieme al suo condiscepolo Eusebio di Nicomedia. Ma l’arianesimo, nel frattempo, si era diffuso notevolmente venendo sempre più in contatto con l’opposizione del cristianesimo ortodosso. A quel tempo le controversie non si limitavano ai teologi rimanendo discussioni accademiche, ma coinvolgevano veramente tutto il popolo cosicché sorsero molta confusione e dubbi su quale fosse la vera fede apostolica. 

L’imperatore di allora era Costantino che aveva appena assunto il pieno controllo dell’impero avendo nel 324 eliminato l’ultimo competitore Licinio. Egli si propose di pacificare l’impero ed essendo anche affascinato dalla fede cristiana, non capendo nulla di teologia, costrinse i vescovi a mettersi d’accordo e a precisare esattamente come stavano le cose. Per questo nel 325 convocò un concilio a Nicea, vicino a Costantinopoli. Il concilio fu accettato dal vescovo di Roma, Silvestro, il quale si fece rappresentare dal vescovo spagnolo Osio di Cordova e mandò due delegati, i preti di Roma Vito e Vincenzo. Questi, assieme al vescovo Osio risultarono essere i primi firmatari delle conclusioni del concilio: venne coniata la formula dell’”homoousios”, cioè della “stessa sostanza” che punto per punto ribatté le tesi di Ario. Il Concilio, con una schiacciane superiorità di 200 vescovi contro 4 proclamò che “il Verbo è Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. 

L’espressione tipica dell’arianesimo che il Verbo non è Dio, ma è una creatura e che ci fu un tempo in cui il Verbo non era, è inaudita e contrasta frontalmente con la fede cattolica. La fede semplice del popolo cristiano in Gesù come Dio rimase sbalordita dalle assurdità ariane. Tutta la Scrittura dimostra chiaramente che l’affermazione ariana è sbagliata. Gesù è veramente il Figlio di Dio, Egli stesso dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio, nessuno conosce il Figlio se non il Padre…” (MT 11, 27), nella polemica contro i Giudei dice: “Voi mi accusate di bestemmia perché ho detto che sono il Figlio di Dio” (Gv 10, 36). Gesù davanti al Sinedrio afferma di essere il Figlio di Dio. Tutti gridano alla bestemmia e Gesù viene condannato a morte per questo (Mt 26, 59-66). Ario diceva che il Verbo non era eterno, ma il vangelo di Giovanni afferma: “In principio era il Verbo…” quindi il Verbo è da sempre, non ha avuto un inizio. Gesù stesso afferma la sua eternità insieme con il Padre: “Prima che Abramo fosse Io Sono” (Gv 8, 48-59). A questa affermazione i giudei vogliono lapidarlo come bestemmiatore, avevano capito bene che si proclamava Dio e, in quanto tale, eterno. 

Anche le lettere di Paolo esaltano Cristo come Dio. Ad esempio nella lettera ai Romani viene detto apertamente che Cristo è Dio benedetto nei secoli (Rm 9, 5) e nella lettera ai Colossesi che in Gesù risiede corporalmente la pienezza della divinità (Col 2, 6-15). 

L’eresia ariana è talmente lontana dalla verità del vangelo che c’è da rimanere stupiti della sua enorme diffusione. Ma c’è da considerare che dopo la morte di Costantino, suo figlio, l’imperatore Costanzo II, di fede ariana, tentò di affossare l’ortodossia per affermare l’arianesimo attraverso ben quattro sinodi di sapore ariano, svolti presso la sede imperiale di Sirmio, che esiliarono tutti i vescovi cattolici. Ma nel 361 muore Costanzo e gli succede il pagano Giuliano, che disinteressandosi delle vicende cristiane fa tornare a casa tutti i vescovi esiliati. Il cristianesimo ortodosso riprenderà così quota, rafforzato anche dalla teologia raffinata dei grandi Padri Cappadoci fino alle definizioni del concilio di Costantinopoli del 381. L’arianesimo era definitivamente sconfitto. 

I cristiani vengono definiti in questo modo perché riconoscono in Cristo il Figlio del Dio vivente. La discriminante della fede cristiana è, dunque, che cosa pensiamo di Cristo. E’ lui stesso che lo ha chiesto ai suoi discepoli a Cesarea di Filippo. Pietro risponderà semplicemente che lui è il Cristo, il Figlio di Dio. Chi non riconosce questa verità del vangelo non può dirsi cristiano. Ma l’eresia ha anche avuto un aspetto positivo di approfondimento della riflessione per purificare la fede da ogni scoria, da ogni aspetto meno chiaro. 

Bibliografia 

Catholic Encyclopedia, Volume I. New York 1907, Robert Appleton Company 
Giovanni Filoramo, D. Menozzi (a cura di), "Storia del Cristianesimo", I, Roma-Bari 1997. 
Angelo Clemente, "Il libro nero delle eresie", Milano, Mondolibri, 2008

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