lunedì 28 settembre 2015

L'iconoclastia e la proibizione delle immagini sacre

Con questa eresia affrontiamo un argomento molto sentito nell’ambito delle religioni che è quello della liceità o meno del culto delle immagini sacre. Come è noto una grande religione tipicamente iconoclasta è l’Islam dove non solo è proibita ogni raffigurazione di Dio (Allah), ma lo sono anche quelle del profeta Maometto. Anche in ambito cristiano vige una rigorosa proibizione delle immagini sacre in moltissime confessioni protestanti e tale convinzione è spesso oggetto di polemica con il cattolicesimo. 

Questa convinzione della necessità di distruggere le immagini sacre nasce nella prima metà dell’ottavo secolo e prese l’avvio come un movimento politico-religioso che si sviluppò nell’impero bizantino fino a quando il Concilio Niceno II del 787 non concluse, dal punto di vista dommatico, questa controversia. Il termine “iconoclastia” viene dal greco “eikon”, che significa “immagine”, e “klaio”, che significa “spezzare”, per cui gli iconoclasti sono coloro che “spezzano le immagini” e non solo in senso figurato, ma storicamente anche in senso materiale, così come tristemente testimoniano le odierne notizie delle distruzioni nei siti archeologici siriani da parte dei fanatici terroristi islamici. 

Presso le comunità cristiane, fin dagli arbori, le immagini erano sempre state in uso, basta pensare alle catacombe, risalenti al II e III secolo, nelle quali troviamo affreschi rappresentanti Cristo o la Beata Vergine Maria e, secondo la disciplina dell’arcano, diversi simboli come i pesci, il pane e l’ancora. Dopo l’editto di libertà di Costantino del 313 d.C. tali raffigurazioni cominciarono a diffondersi maggiormente con l’inizio dell’edificazione delle chiese. La furia iconoclasta, quindi, piomba sulla cristianità in modo del tutto inaspettato e prende storicamente l’avvio dall’iniziativa di un imperatore bizantino, Leone III Isaurico, salito al trono nel 717, che nel 726 emanò il primo editto iconoclasta. Tutte le immagini sacre dovevano essere distrutte, a cominciare proprio da un’immagine di Cristo, a quel tempo molto venerata a Costantinopoli, che era posta sulla porta del palazzo imperiale, la Chalké

Gli storici hanno molto dibattuto su quali potessero essere state le cause di questa clamorosa iniziativa di Leone III e l’opinione più accreditata conferisce all’operato dell’imperatore una connotazione quasi prettamente politica. Questa svolta iconoclasta viene per lo più considerata come un estremo tentativo dell’imperatore di proteggere l’unità dell’impero assecondando l’ormai diffusa condanna delle immagini sacre che si era sviluppata nella parte orientale dell’impero ed era appoggiata dai vescovi dell’Asia Minore, primo fra tutti Costantino di Nicoleia, e dovuta alle forti pressioni operate dagli Arabi musulmani e dal notevole diffondersi del Paulicianesimo, un movimento cristiano eretico, che abbiamo già vistoanch’esso fortemente contrario al culto delle immagini sacre. Ma anche la figura stessa dell’imperatore, la sua formazione ed ambizione, ebbero il loro peso. Leone III aveva una formazione intellettuale manichea, per cui riteneva la materia come maligna, e monofisita, cioè considerava la natura di Cristo unicamente come divina, quindi riteneva senza senso rappresentare la sua natura umana. Ma oltre a tutto ciò non è da sottovalutare anche la volontà tipica degli imperatori di ritenersi dei grandi riformatori religiosi e di estendere, così, il loro potere anche sul sistema dei monasteri, grandi “produttori” di icone sacre. 

Nel 726, quindi, iniziarono le distruzioni delle immagini sacre, vengono strappate dai manoscritti le figure di Cristo e dei santi, le reliquie vengono gettate in mare e ciò provocò la distruzione di un ingentissimo patrimonio letterario ed artistico. Coloro che resistono a tali distruzioni vengono perseguitati, imprigionati, torturati ed anche uccisi. Anche il patriarca di Costantinopoli, che non era contrario al culto delle immagini, viene esiliato e sostituito con un altro patriarca, Anastasio, favorevole all’imperatore (Georg Ostrogorsky, "Storia dell'Impero bizantino", Milano, Einaudi, 1968, pag. 150). Nonostante tutto ciò si registrarono rivolte popolari e, soprattutto, la riflessione dei vescovi e dei grandi teologi, tra cui soprattutto Giovanni Damasceno, che combattono questa furia iconoclasta affermando che non esiste alcuna adorazione delle immagini, cioè una “iconolatria”, dal greco “latria”, adorazione, ma una venerazione, cioè una “iconodulia” dal greco “dulia” che ha, appunto, tale significato. La venerazione non riguarda l’immagine in sé, ma è in vista di chi viene rappresentato, quindi, il culto delle immagini è un culto relativo, intendendo le immagini come un ponte, un momento di passaggio a chi da questa immagine era rappresentato.

I papi del tempo condannarono subito l’iconoclastia. Gregorio II, che fu papa dal 715 al 731, condannò l’editto di Leone III, e il suo successore, Gregorio III, che fu papa dal 731 al 741, ribadì tale condanna. L’imperatore reagì violentemente a queste censure tanto che progettò di far uccidere Gregorio II e s’impadronì dei possessi papali in Calabria e in Sicilia (Giorgio Ravegnani "I bizantini in Italia" Bologna, il Mulino, 2004 pp. 128-129). Il successore di Leone III, Costantino V, continuò la persecuzione e solo con il suo successore, Leone IV, salito al trono nel 775, si ebbe un rallentamento di questa lotta iconoclasta. Alla sua morte, nel 780, prese il potere la moglie Irene che aveva la reggenza del figlio minore Costantino VI. D’accordo con il papa, nel 787, si convocò il Concilio Niceno II che, presieduto dal patriarca di Costantinopoli Taraso, eletto col favore dell’imperatrice, alla presenza di oltre trecento vescovi, più i legali del papa, che a quel tempo era Adriano I, e i rappresentanti imperiali, dichiara legittima la venerazione delle immagini sacre arrivando ad una definizione che rimarcò la netta differenza tra venerazione ed adorazione. Ma la situazione fu ben lontana dall’essersi risolta, infatti nell’814 l’imperatore Leone V l’Armeno, preoccupato dalla tensione portata dagli sfollati di fede iconoclasta, che provenivano dalle terre occupate dagli Arabi, pensò di risolvere i dissidi reintroducendo un regime iconoclasta. Dopo alterne vicende, però, nell’842 la questione si risolse definitivamente quando l’imperatrice Teodora, reggente per il figlio minorenne Michele III, contraria alla politica iconoclasta, depose il patriarca Giovanni VII Grammatico e lo sostituì con l’iconodulo, cioè favorevole alla venerazione delle immagini sacre, Metodio I, che condannò per sempre l’iconoclastia.

Da un punto di vista prettamente biblico l’iconoclastia troverebbe il suo fondamento nella proibizione, presente nella Torah, nel Vecchio Testamento e nel Corano, di qualunque rappresentazione artistica dell’aspetto fisico di Dio (Esodo 20, 1-6). Questo comandamento fu, quindi, ripreso in senso anticattolico proprio dalla Riforma protestante nel XVI secolo, non tanto da Martin Lutero, quanto piuttosto da Huldrych Zwingli, che esclude le immagini dal protestantesimo svizzero, e da Andrea Carlostadio, per quanto riguarda la Germania. La Chiesa Cattolica reagì a tali impostazioni con il Concilio di Trento che, richiamando il secondo Concilio di Nicea, affermò che alle immagini sacre: “si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione: non certo perché si crede che vi sia in esse una qualche divinità o virtù, per cui debbano essere venerate; o perché si debba chiedere ad esse qualche cosa, o riporre fiducia nelle immagini, come un tempo facevano i pagani, che riponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l’onore loro attribuito si riferisce ai prototipi, che esse rappresentano. Attraverso le immagini, dunque, che noi baciamo e dinanzi alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, noi adoriamo Cristo e veneriamo i santi, di cui esse mostrano la somiglianza. Cosa già sancita dai decreti dei concili - specie da quelli del secondo concilio di Nicea - contro gli avversari delle sacre immagini” (Concilio di Trento, Sessione XXV, 3-4 dicembre 1563).

I protestanti leggono il comandamento di Esodo 20 in modo troppo esclusivo. In realtà la proibizione delle immagini sacre non è assoluta, infatti in molte parti della Bibbia le immagini, se non hanno a che vedere con l’adorazione degli idoli, sono ampiamente permesse. E’ il caso, ad esempio, di Esodo 26, 1 dove Dio comanda a Mosè di costruire l’arca dell’alleanza e di collocarvi delle immagini come quelle dei cherubini, oppure Numeri 21, 4-9 dove Dio comanda la costruzione del serpente di bronzo. Proprio a questo episodio si ricollega Gesù nel suo discorso notturno con Nicodemo applicando a sé questa profezia: “Come Mosè innalzo il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il figlio dell’uomo perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 1-21). La prescrizione dell’Esodo, quindi, riguardava un popolo primitivo, di dura cervice, che abitando in mezzo a popoli idolatri non riusciva a distinguere tra immagine e l’archetipo che l’immagine stessa rappresentava. E’ l’incarnazione del Cristo a gettare una luce nuova, la legge mosaica viene superata, la vera conoscenza i Dio libera dalla idolatria. Alla Parola, che unicamente caratterizza l’antica alleanza, fa seguito la visione di Cristo che si percepisce con i sensi. Egli è l’immagine del Padre e dice: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14, 9).

Nel Concilio di Calcedonia, del V secolo, la vera umanità di Cristo è stata affermata come sussistente nella sua persona divina. L’immagine racchiude una sorta di presenza dell’essere rappresentato: in questo senso può diventare oggetto di venerazione. Si venera, comunque, non il significante, ma il significato: nell’incarnazione Dio è voluto diventare visibile: l’immagine è spiritualizzata e trasfigurata per condurci alla contemplazione dell’invisibile. 


Bibliografia

Georg Ostrogorsky, "Storia dell'Impero bizantino", Torino, Einaudi, 1968;
G. Larentzakis, "La controversia delle immagini", in Storia della chiesa cattolica, Ed. Paoline, Milano 1989;
P. A. Yannopoulos, "Il secondo concilio di Nicea (786-787) o Settimo concilio ecumenico", in Storia dei concili ecumenici (a cura di G. Alberigo), Queriniana, Brescia 1990;
Marcello Craveri, "L'eresia. Dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo", Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996;
Giovanni Filoramo, D. Menozzi (a cura di), "Storia del Cristianesimo", I, Roma-Bari 1997;
Giorgio Ravegnani "I bizantini in Italia" Bologna, il Mulino, 2004.
https://it.wikipedia.org/wiki/Iconoclastia

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