martedì 18 luglio 2017

I cristiani e la distruzione della biblioteca di Alessandria

Tra i miti più diffusi sui presunti crimini che avrebbero commesso i cristiani durante la storia dell’umanità, un posto di indubbia importanza ha certamente la vicenda riguardante la distruzione della famosa biblioteca di Alessandria, in Egitto. Questa mastodontica raccolta di scritti, pergamene e libri fu costituita intorno al III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo e rappresentò uno dei principali poli culturali ellenistici dell’antichità. Nell’immaginario collettivo laicista ed anticristiano la distruzione della biblioteca di Alessandria rappresenta l’immagine più emblematica dell’insidia portata dalla barbarie cristiana repressiva ed oscurantista contro la cultura classica. Il fatto di poter addebitare ai cristiani la responsabilità di questa distruzione, seppure, come vedremo, non ne esiste alcuna prova storica, rappresenta per i laicisti una tentazione a cui è difficilissimo poter resistere. 

Un esponente di questo modo distorto di vedere la storia è stato il matematico statunitense Morris Kline, infaticabile divulgatore dei temi riguardanti la matematica. Nel suo libro “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” arriva a scrivere: “Dal punto di vista della storia della matematica l'avvento del cristianesimo ebbe conseguenze sfortunate […] Ai cristiani era vietato contaminarsi con la cultura greca. Nonostante la crudele persecuzione dei Romani, il cristianesimo si diffuse e diventò così potente che l'imperatore Costantino (272-337) fu costretto ad adottarlo come religione ufficiale dell'impero romano [...] I libri greci venivano bruciati a migliaia. Nell'anno in cui Teodosio bandì le religioni pagane i cristiani distrussero il tempio di Serapide che racchiudeva ancora l'unica grande raccolta esistente di opere greche. Si ritiene che siano stati distrutti 300.000 manoscritti” (Morris Kline “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” Oxford University Press, 1972, pp 211-213).

A parte l’evidente errore storico di considerare l’editto di Milano, a cui Kline allude, il riconoscimento del Cristianesimo come la religione ufficiale dell’impero, mentre fu solamente un editto di tolleranza, ciò che viene affermato non ha alcuna giustificazione storica. Si tratta di uno dei tanti miti anticristiani. 

Il famoso editto di Tessalonica del 380 e i decreti attuativi del 391, con cui l’imperatore Teodosio fece distruggere i templi pagani, avevano lo scopo di rendere il cristianesimo l’unica religione di Stato al solo fine di rendere compatto ed unito l’Impero. In questi decreti non ci sono direttive per la distruzione della civiltà classica, ma vi è stabilito che i culti ariani e pagani dovevano finire. La distruzione del Serapeum di Alessandria, quindi, non era affatto volta alla demolizione della famosa biblioteca, ma all’interruzione del culto pagano di Serapide, antica divinità greco-egizia. Il Serapeum, inoltre, non è assolutamente da identificare con la famosa biblioteca, infatti all’interno del Tempio di Serapide vi era conservata una piccola raccolta di libri, solo qualche migliaio, che non aveva trovato posto nella biblioteca vera e propria (Casson Lionel “Biblioteche del mondo antico”, Sylvestre Bonnard Editore 2003). Nessuna fonte storiografica cita la distruzione di una qualsiasi libreria in quel periodo. In definitiva, non vi è alcuna prova che i cristiani del quarto secolo, distrussero la Biblioteca di Alessandria. In realtà le fonti storiche disponibili ci informano che la biblioteca era stata in buona parte già distrutta in seguito ai combattimenti avvenuti ad Alessandria al tempo della guerra tra l’imperatore Aureliano e la regina Zenobia di Palmira, verso il 270, nel corso dei quali fu distrutto il quartiere della città dove si trovavano la reggia e, al suo interno, la biblioteca (Luciano Canfora “La biblioteca scomparsa” Sellerio Editore, Palermo 1986). 

Una vera e propria congiura del silenzio, portata avanti da una certa storiografia laicista, ha poi glissato tranquillamente sul fatto che nel 642 d.C. ciò che ancora esisteva della biblioteca, che si era intanto ricostituita nel IV secolo attorno alla celebre scuola filosofico-matematica alessandrina, fu distrutta e dispersa dai conquistatori arabi. Le fonti storiche che riportano tale notizia sono in verità piuttosto tarde, ma hanno la caratteristica molto importante di essere concordi e di provenire da ambienti musulmani. Il primo a parlarne fu lo storico ed egittologo arabo ʿAbd al-Laṭīf al-Baghdādī, vissuto nel XII secolo, il quale afferma che la biblioteca fu distrutta dal generale ʿAmr, su ordine del secondo Califfo, cioè ʿOmar (De Sacy “Relation de l'Egypte par Abd al-Latif” Paris, 1810). La notizia è riportata anche dallo storico arabo al-Qifti (1172-1248) nella sua “Storia degli Uomini Dotti”. Sempre nel XII secolo anche lo storico siriano Abū l-Faraj, nella sua “Historia Compendiosa Dynastiarum” riporta l’avvenimento sotto forma di un aneddoto: dopo la conquista di Alessandria il comandante delle forze arabe chiese al califfo Omar a Damasco che cosa dovessero fare dell’enorme biblioteca della città, che ancora conteneva centinaia di migliaia di rotoli di pergamena. Sembra che Omar si sia limitato a rispondere quanto segue: “Se ciò che in essi è scritto è concorde con il libro di Dio (il Corano), sono superflui; se è in disaccordo non sono graditi. Pertanto, distruggeteli” (R. S. Mackensen “Background of the History of Moslem Library” American Journal of Semitic Languages and Literature, n.52, 1936 pag. 106).

Ovviamente queste fonti sono state ampiamente criticate e respinte come inattendibili dai vari storici anticristiani a cominciare dal famoso illuminista Edward Gibbon, ma, come rivela lo storico Franco Cardini, le raccolte librarie greche presenti in Alessandria scomparvero proprio verso la metà del VII secolo, all’epoca della conquista musulmana dell’Egitto, e che proprio da allora tutto il bacino mediterraneo conobbe una drastica interruzione dell’arrivo di scritti greci dall’Egitto (Franco Cardini su Avvenire, 26 luglio 2009). Tutto ciò appare segno inequivocabile che dopo la conquista musulmana Alessandria aveva cessato di essere un polo di cultura. Ciò che viene completamente ignorato dalla storiografia laicista è il fatto che solo a partire dal IX secolo, cioè da quando il mondo arabo-musulmano venne a contatto con le culture cristiano-siriane, iraniche ed hindu, l’Islam recuperò appieno la tradizione ellenica, il suo studio e trasmissione all’Occidente nel corso del XII secolo. Nei tre secoli precedenti l’Islam si preoccupò esclusivamente di distruggere ogni cultura preesistente.

La distruzione definitiva della biblioteca di Alessandria in quanto centro di cultura e di sapienza non può essere addossata in alcun modo alla Chiesa cattolica ed ai cristiani. E’ un fatto certo che i cristiani non hanno distrutto la biblioteca di Alessandria. Nel IV secolo non fu emanata alcuna istruzione o decreto che spinse i cristiani a distruggere la cultura greca. La distruzione del Serapeo fu un episodio che va collocato storicamente nella sua epoca, un periodo confuso di lotta per la sopravvivenza tra il cristianesimo, l’ebraismo ed il paganesimo in quel crogiuolo di popoli che era l’Egitto tardo imperiale, in cui la violenza era normalmente praticata e non esistevano margini di tolleranza. 

In realtà fu proprio la Chiesa cristiana l'unica istituzione che conservò il pensiero classico in Europa quando ogni istituzione civile fu spazzata via dalla furia dei barbari. Proprio in quel periodo tra i cristiani copti dell’Egitto “ogni monastero e probabilmente ogni chiesa possedeva un tempo la propria biblioteca di manoscritti” (Alfred Butler “Ancient Coptic Churches in Egypt” Oxford University Press, Oxford 1884, vol. II, pag 239”. In tutto l’Impero romano la Chiesa era impegnata nella conservazione delle biblioteche, nei loro grandi centri di studio i cristiani disponevano di vaste raccolte di libri ed era prassi comune lo studio e la memorizzazione dei testi (“Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010, pag 91).

Dobbiamo proprio all’opera instancabile di monaci e chierici che fu salvata e tramandata la civiltà occidentale, nei monasteri furono copiati a mano migliaia di opere classiche di ogni genere, dalla matematica alla geometria, dalla filosofia alla letteratura, fino all’architettura, la medicina, l’astronomia e l’agricoltura. Contrariamente alle accuse di oscurantismo degli storici laicisti, i cristiani e la Chiesa si comportarono proprio nel modo opposto, esaltando la conoscenza e perseguendo la ricerca. Essi si sforzarono di salvaguardare tutto quello che poteva concorrere all’approfondimento e all’espressione della fede. Il Cristianesimo presuppone il fatto che ogni vera conoscenza contribuisce alla gloria di Dio e che raccogliere i frammenti sparsi del sapere umano, da qualsiasi parte vengano, significhi andare alla ricerca delle tracce di Dio.

Bibliografia

De Sacy “Relation de l'Egypte par Abd al-Latif” Paris, 1810;
Alfred Butler “Ancient Coptic Churches in Egypt” Oxford University Press, Oxford 1884;
R. S. Mackensen “Background of the History of Moslem Library” American Journal of Semitic Languages and Literature, n.52, 1936;
Morris Kline “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” Oxford University Press, 1972; 
Luciano Canfora “La biblioteca scomparsa” Sellerio Editore, Palermo 1986;
Casson Lionel “Biblioteche del mondo antico”, Sylvestre Bonnard Editore 2003;
Franco Cardini su Avvenire, 26 luglio 2009;
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010:
Francesco Agnoli “Indagine sul Cristianesimo” Ed. Piemme spa, Milano 2010.

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