giovedì 27 dicembre 2012

Buon 2013!!!!!

E’ già passato un anno da quando il 27 dicembre del 2011 pubblicavo il primo post sul mio neonato blog. Nato per una mia esigenza di portare sul web la mia esperienza di studioso della storia del cristianesimo antico, pian piano, visto l’interesse dei lettori, il blog ha finito per interessarsi di una più vasta gamma di argomenti spaziando dalla storia, la teologia fino alla più disparata attualità. La cosa non ha potuto che farmi piacere, anche se devo scusarmi se su taluni argomenti, come quelli filosofici, non sono molto ferrato, ma per fortuna sono stato aiutato dai cari amici Minstrel e Riccardo.



In un anno il blog è stato visitato da circa 11.600 utenti che hanno lasciato circa 800 commenti. Non sono numeri eccezionali, ma io ne sono comunque contento. Penso che l’importante è esserci e far valere le ragioni della propria fede. Troppe volte ed in modi scorretti, volgari ed offensivi la fede cristiana viene schiacciata e vituperata. Dalla miriade di piccoli siti laicisti speudostorici ai grandi numeri dei frequentatissimi blog anticattolici, come quelli dell’Uaar o di Odifreddi, la critica è sempre maligna e basata su menzogne ed incredibili ignoranze storiche ed esegetiche. Il mio piccolo blog sarà sempre una voce rivolta a stabilire un minimo di verità storica, onesta e basata sulle migliori fonti disponibili, pronto a mettersi al servizio delle fedi più semplici ed impressionabili. 



Non mi resta ora che salutare tutti gli amici che mi seguono, come Minstrel, Felsineus, Riccardo, GG, LG, Ritaroma, Myself, Padre Danilo e tutti gli altri visitatori, ovviamente anche quelli silenti. 



E…. naturalmente saluto anche il terribile Sal :) 



A tutti quanti un augurio di un felice e sereno 2013!!!

lunedì 24 dicembre 2012

Un si che ha salvato il mondo

Noi cristiani siamo abituati a considerare, a ragione, il mese di maggio come quello più tradizionalmente legato alla devozione mariana. E’ stato indubbiamente il forte senso di pietà popolare del mondo contadino a collegare il culto di Maria con il ciclo agrario. Maggio è il mese del risveglio della natura, nel quale si ottengono i primi frutti, sbocciano in tutta la loro bellezza ed armonia i fiori e Maria, primizia della creazione, è certamente il simbolo di tutta questa bellezza ed armonia. 

Ma dal punto di vista propriamente liturgico è dicembre il mese mariano per eccellenza. La lettura liturgica del vangelo propone in questo mese innanzitutto la figura della vergine Maria che, attraverso i vari momenti dell’annunciazione, della visitazione, della presentazione al Tempio, ci accompagna al mistero della nascita di nostro Signore Gesù Cristo. Tutto ciò spiega la profonda e antichissima devozione che i primissimi cristiani e i Padri della Chiesa hanno riservato alla Vergine. E’ il vangelo di Matteo quello che con più forza proclama che le Scritture si compiono in Gesù attraverso Maria: 

Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (1, 22-23). 

Viene qui richiamata un’antica profezia del libro di Isaia che possiamo leggere al capitolo 7: 

“In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: “Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto”. Ma Acaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”. Allora Isaia disse: “Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, cioè Dio-con-noi” (Isaia 7, 10-14). 

C’è, però, chi si oppone a questa visione, infatti la maggior parte degli studiosi laici, insieme a studiosi ebrei ritengono che questo versetto di Isaia faccia invece riferimento a un figlio del Re di Giudea Acaz, piuttosto che alla madre di Gesù, quando il versetto è letto nel contesto del capitolo 7 di Isaia (Howard W. Clarke, "The Gospel of Matthew and its readers: a historical introduction to the First Gospel"). Altri spiegano che la verginità di Maria non sia altro che un’errata traduzione in greco della parola ebraica “almah” (giovane donna) in “parthenos” (vergine) al momento della composizione della Bibbia dei Settanta (Pepe Rodrìguez, “Verità e menzogne della Chiesa Cattolica” Editori Riuniti, Roma 1998). 

Ovviamente sulla scia di tale dissenso tra gli studiosi si insinua la perniciosa subcultura pseudo storica laicista che arriva addirittura ad affermare che il culto della verginità di Maria non sia altro che un retaggio cristiano del culto pagano della dea Madre, quella che secondo loro sarebbe stata la ruach ebraica. (L. Malucelli “Tutto ciò che sai è falso” vol. 2, Ed. Nuovi Mondi Media 2004). I veri cristiani primitivi, ovviamente gli gnostici, si sarebbero scandalizzati di tale culto e di ciò ne sarebbe rimasta traccia nel vangelo detto di Filippo dove leggiamo: 

Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna?" (Vangelo di Filippo, 17, M. Craveri, “I Vangeli Apocrifi” Einaudi, Torino 1969). 

Si possono liquidare brevemente le fantasie laiciste ricordando loro che il vangelo di Filippo non riporta assolutamente l’opinione dei “veri” cristiani primitivi essendo uno scritto valentiniano datato tra il II ed il III secolo d.C. e che il termine ebraico ruach non indica affatto la dea Madre, ma lo Spirito di Dio. Tale termine, però, essendo femminile, ha tratto in errore i valentiniani che lo hanno scambiato per una donna. La verità è che i cristiani primitivi, già quelli del I secolo, quindi molto prima dei valentiniani, credevano nella verginità di Maria. Basta pensare alle lettere di Ignazio di Antiochia, vissuto alla fine del I secolo, dove è proclamata la nascita verginale di Gesù. 

La questione più seria riguarda l’esatta traduzione del termine ebraico “almah” che compare nel capitolo settimo di Isaia. La traduzione “vergine” usata nelle versioni cristiane di Isaia 7,14 è giustificata perché presa dalla versione di Isaia della Septuaginta. Questa, che è stata tradotta da ebrei, usa la parola vergine, quindi anche l'originale doveva essere inteso come vergine. (Rabbi Tovia Singer, "A Christian Defends Matthew by Istinting That the Autor of the First Gospel Used the Septuagint in His Quote of Isaiah to Support theVirgin Birth") . D’altronde è noto che la Septuaginta (risalente al III secolo a.C.) era usata da tutti gli ebrei della diaspora, fino al I secolo dopo Cristo, perché la lingua greca era la lingua comune. Quindi anche Matteo e tutti gli apostoli conoscevano ed usavano quella versione. 

Sarebbe un grosso azzardo sostenere il fatto che i rabbini possano aver sbagliato la traduzione. In effetti il termine “almah” (giovane donna) non esclude il fatto che la giovane non sia vergine. Per esempio, in Gn 24, 16 quando il servo di Abraamo andò a Caran a cercare una sposa per Isacco, il termine ebraico usato per fanciulla, “naarah”, non esclude la sua verginità, infatti leggiamo: "La fanciulla era molto bella d'aspetto, vergine; nessun uomo l'aveva conosciuta...". Più avanti in Gn 24, 43, quando la fanciulla è al pozzo, viene usato il termine “almah” sempre indicando una ragazza vergine. Quando veniva usato il termine “almah” ci si riferiva ad una giovane donna vergine, cioè che non aveva avuto rapporti sessuali con un uomo. 

Ma oltre a questo c’è anche da considerare il senso generale del versetto di Isaia. Che cosa di strano ci sarebbe, tanto da essere considerato un “segno”, nel fatto che una giovane donna partorisca un figlio? Invece il fatto che una vergine partorisca un figlio è cosa degna di essere notata e considerata come qualcosa di speciale. Questo evento, per adempiere tutta la sua funzione di “segno”, deve realizzarsi in tutta la sua dimensione, in tutta la sua perfezione (Laurentin “Le mystère de la naissance virginale”, in " Eph. Mar. " 5 [1955], p. 31, nota 79). 

Anche il nome del bambino, “Emmanuele”, che letteralmente significa “Dio con noi”, lascia pensare ad un fatto eccezionale come solo una nascita verginale può lasciar intendere. Questo nome non compare mai in nessun altro punto della Bibbia, si tratta chiaramente di uno specifico riferimento messianico, come ce ne sono tanti in Isaia e nel resto dell’Antico Testamento. Come è noto “mettere il nome” per il linguaggio biblico equivale a stabilire la missione del nuovo nato e Isaia intravede in questa nascita regale , a prescindere dalle circostanze presenti, un intervento di Dio in vista del regno messianico definitivo. 

In questi giorni assieme alla nascita di nostro Signore Gesù celebriamo la vergine Maria, la primizia della creazione, attraverso la quale la Salvezza è entrata nel mondo. Colgo l’occasione per augurare un sereno e santo Natale a tutti i visitatori del blog. 



Bibliografia 

Laurentin “Le mystère de la naissance virginale”, in " Eph. Mar. " 5 [1955], p. 31, nota 7; 
Del Olmo Lete “La profecia del Emmanuel (Is 7. 10-17)" Estado actual de la interpretacion” in Eph. Mar 22 (1972); 
G.Brunet “Essai surl'Isaie de I'histoire” Paris 1975; 
M. Crispiero “Teologia della sessualità” Ed. Studio Domenicano Bologna 1994

mercoledì 19 dicembre 2012

Il papa, la Kadaga e la disonestà laicista

Il 14 dicembre scorso Papa Benedetto XVI è intervenuto nel dibattito sul rispetto dei valori umani sostenendo energicamente la necessità di riconsiderare e correggere molti aspetti distorti della nostra realtà sociale, come la dittatura di un capitalismo finanziario sregolato, i fondamentalismi e i fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, il rifiuto delle responsabilità, atteggiamento che offende la persona umana, e l’uccisione di un essere inerme e innocente. Tutti comportamenti che, dice il papa, non potranno mai produrre felicità o pace.


Ovviamente la propaganda laicista, sempre attenta a non tollerare ogni voce contraria, si è subito scandalizzata di questo messaggio di pace e giustizia e ha pensato bene di distruggerlo, non con argomentazioni pertinenti, ma cercando di delegittimare le parole del pontefice riportando la “notizia” di una benedizione che il papa avrebbe dato al capo della delegazione Ugandese, Rebecca Kadaga, in visita a Roma. Su molti siti laicisti tale supposta “benedizione” è stata fatta passare addirittura come un esplicito appoggio dato dal papa alla proposta di legge, che la Kadaga sostiene nel suo paese, volta a punire gli omosessuali. Il presidente nazionale dell’Arcigay, Flavio Romani, ha dichiarato che con la “benedizione data ieri in Vaticano alla delegazione parlamentare ugandese guidata dalla portavoce Rebecca Kadaga, una delle più forti promotrici della 'Kill the Gay Bill'... Benedetto XVI continua a rappresentarsi come un apostolo di ingiustizia, divisione e discriminazione ai danni delle persone omosessuali, lesbiche e transessuali”.

Come c’era da aspettarsi l’immonda gazzarra tirata su ad arte dalla propaganda laicista si è rivelata ben presto tutta una bufala, infatti il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha spiegato a Vatican Insider che non c’è mai stata alcuna benedizione e che il gruppo di parlamentari ugandesi è passato a salutare il papa “come tutti quelli che partecipano all'udienza” e questo “non è assolutamente un segno di approvazione specifica per le attività svolte o le proposte avanzate da Kadaga”.

E’ anche opportuno ricordare che la Chiesa Cattolica si è sempre opposta a normative discriminatorie contro la persona. Nel dicembre 2009, quando la discussione sul 'Kill the Gay Bill' era all'apice, l'osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, monsignor Celestino Migliore, respinse ogni forma di “violenza e ingiusta discriminazione” nei confronti degli omosessuali, mentre poche settimane dopo, l'arcivescovo di Kampala, monsignor Cyprian. K. Lwanga, condannò il disegno di legge perché prendeva di mira “il peccatore e non il peccato” e non rispecchiava un “approccio cristiano” alla questione dell'omosessualità (da Vatican Insider).

Tutta questa penosa vicenda è l’ennesima prova di come la propaganda laicista sia mossa da un intento di odio e menzogna pur di screditare la Chiesa Cattolica e i cristiani.

domenica 9 dicembre 2012

Il non senso del non senso della vita.

In questi giorni ha chiuso i battenti il blog di Odifreddi “il non senso della vita” ospitato sul portale di La Repubblica.it. Certamente quando viene meno uno spazio di confronto, come può esserlo un blog, è sempre un fatto negativo perché si riducono le possibilità per esprimere liberamente le proprie idee.


Eppure ci sono delle eccezioni, casi in cui la ribalta del web serve solo a diffondere offese e bassi livelli di cultura e ragionamento, uno di tali casi è stato proprio il blog di Odifreddi, il famoso matematico noto per il suo laicismo fondamentalista anticristiano. Dalle pagine virtuali del suo blog Odifreddi si è prodotto in una lunga serie di articoli pieni di insulti e sciocchezze anticristiane, finché non è arrivato a fare il passo più lungo della gamba tacciando di nazismo Israele. E questo, ovviamente, ha decretato la fine del suo blog confermando ancora una volta come la libertà di insulto esiste solo per il cristianesimo ed i cattolici in particolare.

Nell’ultimo articolo del suo blog Odifreddi parla di “809 giorni di libertà” alludendo al carattere democratico ed aperto del suo spazio di confronto virtuale, ma si tratta dell’ennesima falsità del nostro matematico. Odifreddi, infatti, non esitava a far escludere dal suo blog, “bannare”, tutte le voci dissenzienti che non riusciva a controbattere validamente. Un esempio è stata proprio la mia esperienza personale: senza insultare e comportandomi correttamente secondo le regole del suo blog, Odifreddi non esitò a bannarmi perché non sapeva più come rispondermi (vedi qui).

La dipartita del blog odifreddiano non può, dunque, che essere una bella notizia, finalmente qualcuno che smette di parlare perché non aveva niente di sensato da dire.

venerdì 30 novembre 2012

Diritti negati? No, sciocchezze laiciste.

Tra le accuse più ricorrenti che i laicisti rivolgono verso il cristianesimo cattolico c’è quella di negare i diritti della donna. Tra questi diritti negati, secondo il loro modo fazioso e ottuso di pensare, ci sarebbe quello alla carriera. Infatti la Chiesa cattolica non concede alle donne l’accesso al sacerdozio e all’episcopato. Un farneticante articolo dell’Uaar (vedi qui) accusa la Chiesa cattolica di non essere al passo con quella più progredita protestante che, invece, ordina sacerdoti e vescovi anche tra la donne. Secondo questa “unione” di atei ed agnostici, che rappresenta una delle espressioni del più miope ed ignorante laicismo in Italia, “Solo in un quadro di laicità delle istituzioni i diritti delle donne trovano riconoscimento”. 

A parte il fatto che tale affermazione è completamente fuori dalla realtà e dalla storia, basta pensare all’emancipazione della figura della donna portata dal cristianesimo (vedi qui), è penoso constatare l’inconsistenza di tale accusa e la desolante ignoranza laicista sulle questioni riguardanti la fede cristiana cattolica e l’organizzazione della Chiesa. Per i laicisti divenire sacerdoti, in un’ottica tipicamente terrena, significa fare carriera, raggiungere posti di comando e potere a cui tutti devono poter aspirare. Ma la Chiesa è ben altro, è la presenza di Cristo sulla terra, laddove incontriamo realmente il Regno di Dio che è profondamente diverso dalla concezione umana del potere e del diritto. 

Prima di lanciarsi in accuse senza senso i laicisti dovrebbero sapere che il sacerdozio non è un diritto, ma una vocazione, cioè una chiamata ad un servizio. Esattamente come Cristo ha chiamato a sé i dodici apostoli, così Dio chiama gli “operai alla sua messe”. Nessuno può pretendere di divenire sacerdote, perché non può dipende né lui e né dalla Chiesa, ma dalla chiamata di Dio. Essere sacerdoti, poi, non significa affatto assumere un ruolo di importanza e potere. Nel vangelo Gesù ammaestra i suoi apostoli: 

Allora Gesù, chiamatili a sé disse loro: " Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 42 – 45). 

Appare evidente lo stridente contrasto tra la mentalità puramente utilitaristica ed arrivista del laicismo e la vita nella Chiesa, alla sequela di Cristo, dove la mentalità è quella di porsi al servizio della Parola e degli ultimi, laddove troviamo il Cristo sofferente.

lunedì 19 novembre 2012

Il cristianesimo e la caduta dell'impero romano

Come è potuto succedere che l’impero romano, così potente e organizzato del II secolo, poté crollare nel 476 d.C. lasciando il potere a popoli barbari venuti da oltre il Reno ed il Danubio? Questo interrogativo ha sempre suscitato uno dei più appassionanti temi della ricerca storica: bisogna cercare una causa interna, d’ordine economico, morale o religioso? 

Secondo molta parte della cultura laicista la causa principale della caduta dell’impero romano d’Occidente fu l’affermazione del cristianesimo. Questa idea propagandata da alcuni storici e filosofi, specialmente gli illuministi del XVIII, come Montesquieu, Voltaire, E. Gibbon, ecc., si basa sul fatto che la società romana fattasi cristiana avrebbe progressivamente perso la sua originaria compattezza ed il suo spirito combattivo che gli derivavano dai tradizionali miti e culti pagani. Secondo i laicisti il cristianesimo non fu altro che debolezza, paura, esaltazione di quanto più esecrabile potesse esistere. 

Come già Celso nel II secolo e Porfirio nel III secolo, antichi polemisti pagani, anche il moderno ammiratore di Celso, lo storico ateo L. Rougier, allievo di E. Renan, anticattolico pure lui, accusa violentemente i cristiani di aver portato la rovina nella potente società pagana dell’Impero romano: 

Le vere cause delle persecuzioni furono motivi di ordine sociale. (…) I cristiani furono una genìa esecrabile, formata da una lega di tutti i nemici del genere umano, accozzaglia di schiavi, di poveracci, di scontenti, di gente senz’arte né parte, che contestano l’ordine stabilito, disertano il servizio militare, fuggono gli incarichi pubblici, fanno propaganda per il celibato, maledicono le dolcezze della vita, gettano l’anatema su tutta la cultura pagana, profetizzano la fine del mondo, a dispetto degli auguri che predicevano a Roma un destino eterno”. 

Tale visione ha molto poco di storico ed è chiaramente intaccata dal pregiudizio anticlericale tipico del modo di ragionare dei laicisti. Appare, infatti, del tutto improbabile che una forza che ha indubbiamente agito verso una coesione nella parte orientale dell’impero abbia avuto un effetto opposto per la parte occidentale. In realtà l’errore fondamentale di tale posizione laicista è quella di vagheggiare un paganesimo idealizzato che in realtà non è mai esistito. Il mondo pagano, infatti, era lacerato sul piano sociale, sul piano intellettuale e sul piano religioso. L’ideale greco di ordine , di bellezza e di ragione, così enfatizzato e mitizzato dai laicisti, non era affatto riuscito ad evitare una realtà caratterizzata da espressioni di disprezzo rivolte indistintamente a barbari, donne, schiavi e plebei. Certamente nelle classi superiori ci furono esempi di virtù, ma la normalità fu un grande scetticismo verso il paganesimo della tradizione che portò all’interesse verso le religioni orientali e verso la dissolutezza dei costumi. 

La realtà storica mostra in modo indubitabile come la religione di Roma e di Augusto, come pure il tentativo di Giuliano l’apostata del IV secolo, provarono a sostenere artificialmente l’unità dell’impero, ma non riuscirono ad abolire le divisioni tra i popoli. Invece i cristiani furono capaci di creare una comunità salda ed unita nella fede e nella carità. Il cristianesimo attecchì in tutte le classi e in tutti gli ambienti, non aveva niente di rivoluzionario a livello politico, al punto di professare fedeltà e lealtà nei confronti dell’imperatore (Rm 13, 1), ma portò quel bagaglio di umanità e giustizia sociale di cui la società pagana era drammaticamente carente. Il potere imperiale pensava di risolvere i problemi attraverso la persecuzione di una fede che osava denunciarne il carattere inutile ed illusorio. I cristiani furono perseguitati perché proclamavano una verità sgradevole alle orecchie della gente. 

Bibliografia 

S. Mazzarino, “La fine del mondo antico” Garzanti, Milano 1959. 
J. Vogt “Il declino di Roma” Il Saggiatore, Milano 1966. 
A.H.M. Jones, “Il tramonto del mondo antico”, Laterza, Bari, 1972. 
Paul Kennedy, "Ascesa e declino delle grandi potenze" Garzanti 1993. 
Paul Veyne, “Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394)", Collezione storica Garzanti, Milano, 2008.

sabato 10 novembre 2012

Aborto, cade l'ultimo alibi.

Alcuni giorni fa è stato approvato dalla Commissione Affari Sociali della Camera un emendamento che modifica la legge n°40 sulla procreazione assistita: è stata abrogata la norma secondo la quale la madre di un bambino nato attraverso tali tecniche non può essere disconosciuto al momento della nascita. Ciò significa che da ora sia le madri dei bambini nati naturalmente che quelle dei bambini nati attraverso tali tecniche, avranno lo stesso “diritto” di sottrarsi dal loro ruolo di genitore. Praticamente l’emendamento costituisce un atto dovuto per riconoscere lo stesso diritto a tutti, anche se il disconoscimento di un bambino tanto desiderato e nato solo dopo un percorso lungo e faticoso, fatto di cure mediche ed ospedali, è una possibilità meramente teorica. 

Certamente il disconoscimento di un bambino è un fatto molto triste, si fa fatica a definire “diritto” la possibilità di non amare il proprio figlio, ma tale norma costituisce comunque una grande possibilità per tantissimi bambini di essere adottati da famiglie che non possono avere figli. Ogni bambino, ogni nuova vita umana ha il diritto di essere amata ed accolta in una famiglia. 

Con questa norma, così emendata, cade ogni alibi che giustifichi l’esistenza di una legge che renda lecita l’interruzione volontaria della gravidanza. Se ora chiunque ha la possibilità, garantita dalla legge, di non riconoscere il proprio figlio, in modo che questo possa essere adottato, che senso ha ancora l’aborto? Ovviamente interrompere una gravidanza significa sopprimere una vita umana innocente, quindi non c’è alcuna giustificazione per questo atto gravemente contrario alla legge morale naturale, ma anche volendo fare un discorso totalmente laicista, cioè ostinandosi a difendere un tale abominio sostenendone la liceità, come è possibile non ammettere che una legge sull’interruzione di gravidanza non ha più alcuna valida ragion d’essere?

mercoledì 7 novembre 2012

Il Montanismo

Un’eresia molto antica che ebbe origine nel II secolo, si diffuse dalla Frigia, in Asia minore, per estendersi in tutto il medio oriente e che sopravvisse fino al VI secolo, fu il Montanismo. Questo nome proviene dal suo fondatore, Montano, un ex sacerdote della dea Cibele, che ritenendosi il solo in grado di interpretare correttamente il vangelo di Giovanni, pretese di essere riconosciuto come l’incarnazione del Paraclito promesso da Gesù. 

Sulla scorta di tale convinzione i capi del movimento parlano con autorità, esigono fede assoluta ed obbedienza incondizionata. Tutto portò inevitabilmente ad un contrasto con la Chiesa Cattolica ortodossa. I montanisti negavano ogni autorità ecclesiastica dei vescovi e dei presbiteri e si ponevano come i detentori della pienezza della rivelazione. Montano era coadiuvato da due profetesse: Massimilla e Priscilla, ed affermava che le loro profezie, in condizione di estasi, fossero addirittura superiori alla testimonianza apostolica. 

I montanisti erano ossessionati dall’idea di dover eliminare ogni peccato attraverso la castità, digiuni molto severi e la ricerca deliberata del martirio. Per questo erano contrari al secondo matrimonio e propugnavano una vita di ascesi. Di fronte alle persecuzioni preferivano autodenunciarsi e condannare coloro che scappavano, alimentando così tra i pagani la convinzione che i cristiani fossero dei poveri pazzi. Erano anche convinti che chi peccava ed usciva dalla grazia divina non potevano essere più redento. 

Ma il tratto più distintivo di tale eresia fu il suo millenarismo, cioè l’attesa di una imminente parusia. Per i montanisti la fine del mondo doveva avvenire immediatamente dopo la morte della profetessa Massimilla. Tutto ciò ebbe come conseguenza la totale assenza di interesse per il mondo ritenuto ormai alla fine e, quindi, il ritiro dalla vita sociale. La seconda venuta di Cristo nella parusia venne localizzata dai montanisti a Pepuza, un oscuro villaggio della Frigia, ritenuta addirittura una seconda Gerusalemme. 

Nel 179 muore Massimilla, ma la fine del mondo, predetta subito dopo, naturalmente non avvenne. Nonostante ciò il movimento non scomparve, ma permase con alterne fortune sviluppandosi soprattutto nella linea del rigorismo morale a partire dal 200. Proprio questo aspetto sarà quello che maggiormente attirò al montanismo l’apologista cattolico Tertulliano. 

Questa eresia nacque in una comunità cristiana che non voleva rassegnarsi al fatto che la parusia non sarebbe stata imminente e che non sarebbe intervenuta per salvaguardare i cristiani dalle persecuzioni. Il Montanismo fu solo uno dei tanti cristianesimi antichi che, nonostante una certa storiografia moderna anticattolica e laicista tenti di riabilitare, propugnò una dottrina che si rivelò subito distante dalla tradizione apostolica. 

L’eresia, infatti, è evidente: il millenarismo montanista pretendeva di stabilire la data della fine del mondo quando il vangelo afferma chiaramente che Gesù promette il suo ritorno senza determinare né il tempo e né il luogo (Mt 24, 29-44); Montano si riteneva il nuovo Paraclito promesso da Gesù (Gv 14, 15-26), ma in realtà in quel passo non è presentata una nuova rivelazione come Montano pretende di essere, bensì l’illuminazione e l’approfondimento di quanto Cristo ha detto. Lo Spirito Santo dimora in noi, dimora nella Chiesa, ma non esclusivamente in un personaggio in particolare come pretendeva Montano. I montanisti si ritenevano i protagonisti di una nuova rivelazione, ma di rivelazione ce n’è una sola, che si conclude con la morte dell’ultimo apostolo, cioè Giovanni, quindi con l’ultimo scritto del Nuovo Testamento, che è l’Apocalisse. Nella sua conclusione leggiamo: “Chiunque oserà togliere qualche cosa o aggiungere qualche cosa a questa profezia, tutte la maledizioni ivi contenute ricadranno su di lui” (Ap 22, 18-19), cioè non c’è un’altra rivelazione. 

Anche per questa eresia vediamo come l’azione della Chiesa Cattolica fedele alla tradizione apostolica, non ha soltanto preservato l’originale fede, ma ha anche difeso e tutelato la dignità della vita umana e della società poste chiaramente in pericolo dalle convinzioni suicide del Montanismo. 


Fonti 
Eusebio di Cesarea - Storia Ecclesiastica (libro V) 
Epifanio – Panarion (48 ss) 

Bibliografia 
Catholic Encyclopedia, Volume X. New York 1911, Robert Appleton Company.    

martedì 23 ottobre 2012

Il vangelo della moglie di Gesù una bufala?

Circa un mese fa è comparsa sul web la notizia della scoperta di un antichissimo papiro nel quale vi era la rivelazione che Gesù avesse una moglie. La professoressa Karen King dell’Università di Harvard ha presentato il testo del papiro, del IV secolo, in un convegno internazionale di studi copti che si è tenuto a Roma. 

Subito la notizia è stata ripresa da numerosi siti atei ed agnostici che, pronti a negare qualsiasi attendibilità storica alle fonti cristiane, non hanno disdegnato il papiro cristiano copto replicando enormemente la notizia felici e contenti di avere una “prova” che la tradizione della Chiesa sia solo il frutto di un’oscura manipolazione. 

Ovviamente tale notizia poteva sbalordire solo chi non è esperto di Cristianesimo antico. Il ritrovamento in Egitto di un testo scritto in copto risalente al IV secolo è chiaramente da attribuire alla tradizione gnostica profondamente presente in quel paese a quell’epoca. E', infatti, tipico degli gnostici usare l’unione sponsale come metafora dei legami tra Cristo e la personificazione di entità astratte come la sapienza o la fede per indicarne l'intima unione. Con ogni probabilità il papiro non parla di alcunché di reale, ma solo di situazioni astratte. Quindi facendo riferimento alle comunità gnostiche egiziane non ha senso parlare di una questione sullo stato civile di Gesù. Lo gnosticismo deplora il matrimonio carnale perché legato alla materia peccaminosa e Gesù, per loro, era solo un "eone", cioè un'entità spirituale (per approfondire vedere qui). 

Ma la notizia più interessante è che su tale papiro cominciano ad essere espressi molti dubbi circa la sua autenticità da parte di eminenti studiosi (per saperne di più vedere qui) al punto che il Comitato redazionale dell’“Harvard Theological Review” ha deciso di rimandare la pubblicazione del contributo ufficiale della Karen King sulla scoperta del papiro, inizialmente prevista per gennaio 2013, fino a quando non vi saranno elementi sufficienti per stabilirne l’autenticità. 

Poveri atei ed agnostici l’attesa per provare le “menzogne” della Chiesa si allunga…

mercoledì 17 ottobre 2012

I cristiani e la coerenza


Una delle tante accuse che il laicismo rivolge contro i cristiani è quella di non avere convinzioni politiche personali, di essere dei “succubi del Vaticano”, organizzazione “malefica” che tutto controlla e manovra. 

Ovviamente tale accusa nasce solo dall’ignoranza e dall’abitudine alla prevaricazione ed alla menzogna del laicismo, ma è pur vero che per molti cristiani esiste la questione, mai completamente risolta, riguardante la liceità di sostenere schieramenti politici palesemente contrari al proprio credo. E' opportuno, da parte di un cristiano, far valere il suo punto di vista sempre e comunque, specialmente nel segreto dell'urna elettorale? Non sarebbe più giusto lasciare ad ognuno la possibilità di agire come crede? Voler imporre il proprio punto di vista non è una violenza a chi non crede in Dio? 

Devo dire che tra noi cristiani, questo modo di pensare è abbastanza diffuso. Mi è capitato spesso durante le riunioni della catechesi di palazzo o al catechismo per la Cresima degli adulti, accorgermi di come la fede sia considerata innanzitutto una questione "personale", un rapporto privato che ognuno di noi ha con Dio. La Chiesa e i cristiani hanno un loro modo di vedere le cose e non è giusto che lo propagandino a chi non interessa, interferendo così nella vita sociale ed attirandosi antipatie ed ostilità. 

Può essere condivisibile questa presa di posizione? Quando mi trovo di fronte a queste considerazioni mi vengono in mente le parole di Gesù nel Vangelo "... se hanno odiato me, odieranno anche voi..." e mi chiedo, perché hanno odiato Gesù? Certo non credo perché se ne stava a casa a fare il falegname! Con il suo ministero Gesù ha inciso profondamente nella società ebraica che lo circondava. Ha denunciato i suoi errori, le sue ipocrisie e ha posto i suoi insegnamenti come punto di riferimento per tutti coloro che erano alla ricerca della Verità. Ma non solo questo! Gesù ci invita a mettere in pratica questi insegnamenti, a diffonderli, a renderli pubblici (Mt 10, 27). Quindi un cristiano che sta in "buoni rapporti" con tutti ha qualcosa che non va, purtroppo occorre essere anche "odiati", Gesù ce lo ha detto chiaramente "...non pensate che sia venuto a portare la pace..." (Lc 2, 34). 

I cristiani hanno una missione da compiere: quella di essere sale, lanterna e lievito così da incidere nella società in cui vivono ed edificare il Regno di Dio, una realtà operante già da questa vita terrena (Lc 17, 20-21). Questo non significa prevaricazione e disprezzo delle idee degli altri, ma costituire un esempio, la presenza di Cristo nella società. 

I cristiani se sono convinti di questo, e si sentono coinvolti in questa missione, devono necessariamente manifestare questo credo in ogni momento della loro vita e quindi anche nelle loro scelte politiche, consci di operare per il bene collettivo.

martedì 9 ottobre 2012

Babilonia o Roma?


Come è noto gli avversari del primato petrino e del ruolo primaziale della Chiesa di Roma, tra cui spicca con la sua insistenza la setta dei Testimoni di Geova, sono alla continua ricerca di cavilli e pretesti per demolirne la discendenza apostolica. 

Tra gli argomenti che portano a supporto delle loro tesi, in risposta al papa che si proclama successore di Pietro, c’è la negazione della venuta ed attività a Roma del principe degli apostoli. Secondo loro Pietro non andò mai a Roma, bensì a Babilonia, l’antica città mesopotamica, dove nel I secolo d.C. sarebbe esistita addirittura una comunità cristiana. Questa idea nasce dall’ormai abusato versetto della prima lettera di Pietro che recita: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pt 5, 13) 

Per poter affermare che la prima lettera di Pietro si riferisca effettivamente alla città mesopotamica, i protestanti ed i Testimoni di Geova devono dimostrare che al tempo in cui fu attivo Pietro la città di Babilonia fosse un attivo centro cittadino con una comunità cristiana già formata. A tal fine viene comunemente citata l’enciclopedia giudaica che suffragherebbe tale affermazione facendo riferimento a due documenti: una citazione del bibliotecario orientalista del XVI secolo, Giuseppe Simone Assemani ed un brano di Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio. 

L’enciclopedia giudaica riporta che: “Una chiesa cristiana a Babilonia fu distrutta dagli ebrei durante il regno di Sapore II” (Assemani, "Bibl. Orientalis" III. 2, 61). Ovviamente, essendo Sapore II del IV secolo d.C., questo non dimostra affatto che a Babilonia nel I secolo ci fosse una comunità cristiana. Molto più pertinente appare il riferimento di Giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche dove si legge: “Quando Ircano fu portato là, Fraate, re dei Parti, lo trattò in modo cortese, perché aveva saputo che si trattava di una persona distinta e di nobile stirpe. Perciò lo sciolse dalle catene e gli consentì di abitare in Babilonia, ove vi era ancora un gran numero di Giudei” (Ant. Giud. Libro XV. 14–2). 

Ma anche questo brano non dice affatto che nel I secolo d.C. vi fosse una comunità cristiana a Babilonia, parrebbe solo confermare che almeno la città esistesse e che vi risiedesse una grossa comunità ebraica. Ma anche qui non ci si riferisce al tempo in cui fu attivo Pietro, cioè la seconda metà del I secolo, perché Giuseppe Flavio, parlando della sorte di Ircano, pone tutta la vicenda negli in cui anni in cui Erode viene nominato prima governatore e poi re della Giudea (Ant. Giud. XV. 11-1), cioè il 41-40 a.C., circa un secolo prima della compilazione della prima lettera di Pietro. Ai tempi di Pietro Babilonia non ospitava più alcuna grande comunità ebraica. I re seleucidi Seleuco I (304-280 a.C.) ed Antioco I (280-261 a.C.), infatti, costruirono una nuova città, Seleucia (sul fiume Tigri), che soppiantò la vecchia Babilonia sull’Eufrate. Nel 275 a.C. fu quindi emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi avrebbero dovuto lasciare Babilonia per recarsi a Seleucia: le mura e le fortezze di Babilonia furono smantellate e la sua vita economica e politica venne ridotta ai minimi termini. Successivamente, verso il 120 a.C., durante la guerra con i Parti, i seleucidi abbandonarono definitivamente la città ed i resti di quella che era stata una grande città furono stati rasi al suolo dal satrapo partico Euemero (anche detto Evemero).

Abbiamo molti riferimenti storici che confermano tutto ciò, ad esempio lo storico e geografo Strabone, contemporaneo di Pietro, scrive: “Che cosa è più, Seleucia al momento attuale è diventata più grande di Babilonia, mentre la maggior parte di Babilonia è così deserta che non si esiterebbe a dire come ha fatto un poeta comico in riferimento alle grandi città d’Arcadia: “La grande città è un grande deserto”. (Strabone, “Geografia” XVI, 1,5). 

Dello stesso tono sono anche tante altre importanti testimonianze storiche (Pausania, VIII 33, 3; Plinio il vecchio “Historia naturalis” VI, 120; Luciano “Caronte”, 23). All’epoca di Pietro (seconda metà del primo secolo), quindi, Babilonia era solo un cumulo di rovine deserte, quei pochi ebrei che erano rimasti se ne erano andati tutti a Seleucia. 
Tra l’altro Giuseppe Flavio, in antichità giudaiche scrive: ”… gli consentì di abitare in Babilonia, ove vi era ancora un gran numero di Giudei” (Ant. Giud. XV, 14, 2). Giuseppe Flavio usa la parola “ancora” confermando il declino della comunità ebraica di Babilonia, in pieno svolgimento, già un secolo prima della composizione della lettera di Pietro. Successivamente, nel I secolo, al tempo di Pietro, scoppiò una persecuzione di tutti i Giudei di Babilonia che dovettero lasciare Babilonia per trasferirsi a Seleucia (Ant. Giud. XVIII, 3, 8). 

Ma perché Pietro chiama Roma col nome di Babilonia? Ciò è spiegato dal fatto che Pietro era probabilmente braccato dalla polizia imperiale di Nerone e quindi usa il nome in codice di “Babilonia” per indicare in modo criptico che si trova a Roma. Ogni ebreo o cristiano presente a Roma e proveniente dalla diaspora ebraica (a Roma ce ne erano più di 50000, cfr J. Juster, “Les Juif dans l’empire romain”, Parigi 1914; J. Leopold e W. Grundmann “Umwelt des Urchristentum” Berlino 1982) viveva nell’ammonimento contenuto in Michea 4, 10, dove “Babilonia” è la sede del nemico (a quel tempo Roma ed i romani) e avrebbe sicuramente considerato i persistenti segni di decadenza morale e dell’oppressione dei poteri politi alla luce di Isaia 13, 14; 43, 13-21 e Geremia 51, 52, come riguardanti le turbolente vicende dei vari imperatori della dinastia Giulio-Caludia. D’altronde è storicamente accertato che l’epiteto “Babilonia” aveva acquistato, nel I secolo a Roma, un significato metaforico che affianca quello meramente geografico. Basta pensare alle commedie di Terenzio (Adelphoe), di Menandro (ne abbiamo notizia addirittura da Paolo, 1 Cor 15, 33) e Petronio (Satyricon), ecc… dove il lusso decadente della vita romana di quel periodo veniva identificato utilizzando proprio il termine di “Babilonia”. 

L’uso di questo termine, quindi, non poteva avere che un senso metaforico, anche nel Nuovo Testamento il nome di "Babilonia" designa la Roma pagana (Apocalisse capp 17 e 18) e così l'interpretarono, oltretutto, gli scrittori antichi, quali Papia, Clemente Alessandrino, Eusebio di Cesarea, S. Girolamo. In tal senso lo prendono tutti gli esegeti cattolici moderni insieme anche a molti protestanti. Lo stesso filosofo e storico francese Ernest Renan asserisce: “In questo passo Babilonia designa evidentemente Roma; è in tal modo che si chiama, nelle comunità primitive, la capitale dell'impero” (E. Renan “L'Antichrist”, p. 122). D’altronde Pietro usa spesso un linguaggio metaforico (1 Pt 2, 2; 2, 4; 3, 18; 3, 8), quindi non poteva scegliere un nome “in codice” più adatto per designare la capitale dell’impero romano, una città che a detta degli stessi storici romani: “confluiva da ogni parte e veniva celebrato tutto ciò che sa d'atroce e di vergognoso” (Tacito, “Annali”, 15, 44). 

Tornando alla lettera di Pietro leggiamo che l’apostolo porta il saluto di un’intera comunità cristiana: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pt 5, 13). Non esiste alcuna notizia storica di comunità cristiane a Babilonia nel I secolo, ed il Talmud babilonese riporta una presenza cristiana solo a partire dal III sec. Nel saluto della lettera di Pietro non si può, dunque, trattare di questa Babilonia di Mesopotamia. A Roma, invece, è certo che nel I secolo esisteva una tale comunità. Ancora, al versetto precedente leggiamo: “Per mezzo di Silvano fratello fedele come lo considero, vi ho scritto in poche parole per dare incoraggiamento….”. Questo Silvano è Sila, il fedele compagno di Paolo (Atti 15, 27) che lo accompagnerà fino a Roma (1 Tess. 1, 1). Pietro detta la sua lettera a Silvano e ciò è possibile perché insieme con Paolo si trovano tutti a Roma. 


Bibliografia 

O. Cullmann, “Saint Pierre”, Neuchatel 1962, 
G. Falbo, “Il primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli” Coletti, Roma 1989. 
A. Beni, “La nostra Chiesa”, Firenze: LEF, 1976, pp. 477-491

martedì 2 ottobre 2012

Margherita Hack, stelle, pianeti e fantasie laiciste

Margherita Hack, astrofisica, è nota a livello nazionale per le sue ricerche nel campo della spettroscopia stellare e della radioastronomia. Ma lo spazio interstellare non è il suo solo campo d’attività, infatti l’astronoma fiorentina è molto nota anche per il suo impegno politico di “atea” militante. 



Ovviamente niente da obiettare sulla liceità delle convinzioni della Hack e sulla legittimità del suo impegno politico, ma quando questo diviene un vero e proprio attacco alle idee altrui, sconfinando in una sorta di dileggio dei credenti e della Chiesa Cattolica, allora si abbandonano gli ambiti di un onesto confronto per una contrapposizione tipicamente laicistica. 

Più volte la Hack, imitando il suo “collega” matematico Odifreddi, non esita a reputare i credenti dei semplici creduloni che ancora sperano nelle favole. Ultimamente a Porto Cervo, invitata dall’Istituto religioso Euromediterraneo, la santa patrona dello scientismo ha sentenziato beffarda: 

L’idea di Dio nasce per spiegare ciò che la scienza non sa spiegare. La scienza dice cosa sono le stelle, come funzionano. Sappiamo ricostruire un album di famiglia dell’universo ma non sappiamo dire perché sia fatto così. Ed ecco che è stato inventato Dio. Dio è comodo, troppo comodo. Ma è un’idea infantile, come Babbo Natale” 

Ecco lo scientismo semplice, semplice della Hack, è il “caos” il vero creatore dell’ordine, con buona pace della seconda legge della termodinamica. Quelle dei cristiani sono favole infantili, mentre credere che tutto provenga dal niente è intelligente? Cos’è più assurdo: pensare tutto provenga da una mente superiore o dal niente? 

Eppure la Hack è divenuta una vera e propria icona del laicismo in Italia. La scienziata, infatti, non perde occasione di dare sfoggio di livore contro i cristiani e la Chiesa Cattolica. In occasione dell’apertura del meeting dell’UAAR (Unione degli Atei, Agnostici, Razionalisti) “Liberi di non credere”, il 19 settembre 2009, la Hack nel suo saluto introduttivo (che si può ascoltare qui) ha dato vita a tutto il suo repertorio di accuse: 

Però in Italia, se è veramente uno stato laico, ci sono casi che sono veramente vergognosi: penso, ad esempio, al fatto che in tutti gli edifici pubblici c’è il crocifisso, quando un giudice si è permesso di pretendere che il crocifisso fosse tolto per rispetto anche ai non credenti ed ai seguaci di altre religioni, questo giudice è stato condannato e gli è stato addirittura sospeso lo stipendio. Questo è un segno di laicità?... 

La Hack cerca segni di laicità, ma s’imbatte nei crocifissi senza sapere, però, che lei reputa “vergognoso” ciò che è stabilito da tribunali laici, che hanno applicato leggi laiche. Il giudice si è rifiutato di tenere l’udienza infischiandosene del diritto, ben più importante, di giustizia delle parti coinvolte. La Corte di Cassazione, infatti, nella sentenza del 15 marzo del 2011 ha stabilito che l’esposizione del crocifisso negli edifici pubblici “può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa” e pertanto il giudice era tenuto all’adempimento del proprio dovere nonostante la presenza del simbolo. 
Tra l’altro per la magistratura italiana il crocifisso non è solamente un simbolo cattolico, ma un segno della nostra civiltà, patrimonio storico-culturale italiano. E’ a tale principi che il Consiglio di Stato, massimo organo amministrativo, si è ispirato per pronunciarsi a favore della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con un parere del 1988 e uno del 2006. 

La Hack continua nel suo attacco alla Chiesa Cattolica parlando di fantasiose ingerenze: 

Poi ci sono tanti casi clamorosi, penso all’orrenda legge 40 in cui le ingerenze della chiesa sono tremende e violano la libertà dei cittadini e impediscono la ricerca scientifica. Per esempio sulle cellule staminali embrionali perché l’embrione avrebbe l’anima… 

La Chiesa è contro ogni tipo di procreazione assistita, quindi pensare ad una legge 40 “dettata” dalla Chiesa è quanto di più assurdo si possa affermare. Questa legge è stata approvata dal parlamento, quindi rispecchia la volontà del popolo italiano, non è stata violata alcuna libertà dei cittadini. La Hack commette il solito errore dei laicisti: Chiesa oscurantista che pensa a salvare le anime, ma quando mai? I cattolici sono sempre stati a favore della ricerca scientifica, ma che deve avvenire nel rispetto dei diritti dell’uomo. Si parla della vita umana dell’embrione, non della sua anima. L’embrione umano è vita, distruggendolo si elimina una vita umana. Eppure la Hack dovrebbe capire una cosa così semplice. 

Continua la nostra astronoma: 

Penso ai favoritismi di cui godono le organizzazioni religiose, gli edifici religiosi, non solo quelli addetti al culto, ma anche tanti alberghi, ostelli di religiosi che non pagano l’ICI e quindi fanno concorrenza illegale agli edifici pubblici non religiosi…” 

Qui il laicismo della Hack raggiunge vertici parossistici, imbevuta com’è del più bieco anticlericalismo. La nostra astronoma, evidentemente, si è dimenticata, o ignora, della legislazione che regola le agevolazioni statali alle organizzazioni non-profit. Il decreto legislativo 504 del 30 dicembre 1992, infatti, esenta dal pagamento dell'imposta gli immobili utilizzati da enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, nonché di attività di religione e di culto (articolo 7, comma 1, lettera i). E’ evidente, quindi, che l’esenzione non riguarda solamente la Chiesa Cattolica, ma anche numerosi altri enti religiosi, e non, impegnati in tanti servizi utili che lo Stato altrimenti non sarebbe stato in grado di assicurare. 

Alberghi ed ostelli religiosi non possono fare alcuna concorrenza, proprio perché non sono esenti dal pagamento dell’imposta. 

Il delirio, poi, continua imperterrito tra vagheggiamenti di libertà violate ed incitamenti alla lotta (?!) degni del più ridicolo degli “arruffapopolo”: 

…sono tutti casi di uno smaccato favoritismo a favore della Chiesa Cattolica e soprattutto oggi che in Italia ci sono tante persone di altre religioni, si sente ancora di più l’offesa di questa mancanza di rispetto della laicità dello Stato…” 

Quindi è necessario combattere contro questo andazzo, combattere contro l’invadenza della Chiesa, l’invadenza del Vaticano…” 

Quindi tutti noi cittadini abbiamo il diritto di credere o non credere, di seguire una religione piuttosto che un’altra, di dichiararsi atei o agnostici, questo è un diritto inalienabile che purtroppo viene violato…” 

La Hack rappresenta il paradigma del laicista, intollerante e prevaricatore, che non rispetta le convinzioni altrui e non esita a manipolare la realtà delle cose per attaccare ogni voce dissenziente.

mercoledì 26 settembre 2012

I cristiani e la politica

Durante l’ultima udienza concessa da Benedetto XVI a Castel Gandolfo ai partecipanti all’incontro dell’Internazionale Democratico-Cristiana, organizzazione guidata dal leader Udc Pier Ferdinando Casini e che rappresenta oltre cento partiti politici, il papa ha invitato i cristiani a impegnarsi in politica senza “flessioni o ripiegamenti”.

Prendendo spunto dalle gravi conseguenze della crisi economica il Santo Padre ha invitato i politici cristiani ad affrontare la grave situazione in modo “fiducioso e non rassegnato”, facendo in modo da non “limitarsi a rispondere alle urgenze di una logica di mercato”, ma ponendo al primo posto, come valore “imprescindibile”, la “ricerca del bene comune”. Tra tali valori “imprescindibili” c’è innanzitutto il “rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale, con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica”, impegno primario per ogni politico cristiano.

La reazione laicista, ovviamente, non si è lasciata attendere. Per il laicisti il richiamo del papa al rispetto dei valori fondamentali è ingerenza politica (ad esempio vedi qui), secondo loro la Chiesa non deve intromettersi negli affari interni di uno stato, specie se laico. Ma io mi chiedo: i valori fondamentali, su cui si fonda la nostra società, sono un affare interno di uno stato o non, piuttosto, il patrimonio di ogni uomo? Richiamare le coscienze al loro rispetto, come può essere considerato un atto d’ingerenza politica? 

Ma la pretesa più assurda è che i politici cristiani, secondo i laicisti, non dovrebbero seguire le raccomandazioni del papa, perché si tratterebbe di un’obbedienza ad un re straniero e perché le loro decisioni influirebbero anche sulla vita dei non credenti. L’unica morale ammessa per lo stato, quindi, deve essere quella laica, cioè ognuno è “libero” di fare quello che gli pare, di fatto l’inesistenza di una morale.

Ma come si può pretendere che un politico eletto rinneghi il proprio mandato? Che senso della democrazia è mai questo? La mentalità laicista è sempre la stessa, si traveste da democrazia, ma propugna sempre la prevaricazione a suo vantaggio.

giovedì 20 settembre 2012

La stupidità di certa satira laicista

Mentre nel mondo islamico è ancora forte il clima di protesta contro il film americano "blasfemo” sull’Islam, proteste che hanno portato ad incredibili e gravissimi episodi di violenza, il settimanale satirico di sinistra francese, Charlie Hebdo, ha pensato bene di gettare benzina sul fuoco con un’ulteriore provocazione anti-islamica. 

La pubblicazione di alcune vignette in cui viene messo alla berlina il profeta Maometto ha scatenato una recrudescenza della protesta islamica al punto che il governo di Parigi ha annunciato l’intenzione di chiudere tutte le ambasciate, i consolati e le scuole francesi in una ventina di paesi islamici. Al Qaeda ha ovviamente sfruttato la circostanza per minacciare la Francia di uccidere tutti gli ostaggi francesi in loro mano. 

Posto che la reazione violenta e spropositata degli islamici non ha assolutamente alcuna giustificazione e che è da condannare senza riserve, mi chiedo che utilità possa avere una satira del genere. Il laico presidente francese Hollande ha dichiarato che la libertà di espressione non deve avere limiti, ma pubblicare una vignetta volgare ed offensiva della fede di milioni di persone è veramente l’esercizio di una libertà d’espressione? Che concezione ha il laicismo nei confronti della satira? Offendere e creare odio? Lo scopo della satira dovrebbe essere quello di far pensare, crescere, suscitare il confronto, non di fomentare la contrapposizione violenta. 

Offendere il sacro è sempre esercizio d’inciviltà e dimostrazione di avere ben pochi argomenti da proporre.

domenica 16 settembre 2012

Gesù e il pesce

Nella spasmodica ricerca di prove che documentino una dipendenza del cristianesimo da culti preesistenti pagani, la subcultura laicista non esita a affidarsi a testi di scarsa o nulla affidabilità storica. E’ questo il caso dell’ormai famoso testo, diffusissimo in internet, “The Christ Conspiracy” dell’autrice statunitense D. M. Murdock, meglio conosciuta con lo pseudonimo di AcharyaS. 

Tra le sciocchezze antistoriche che vi si possono leggere spicca l’affermazione secondo la quale il fatto che Gesù sia stato associato dalle primitive comunità cristiane alla figura del pesce indicherebbe un collegamento tra il cristianesimo ed il paganesimo. Nelle catacombe cristiane, nei corredi ed ornamenti liturgici cristiani è, infatti, sempre presente la figura del pesce per rappresentare il Cristo. Secondo AcharyaS siccome la figura del pesce richiama decisamente l’età astrologica dei Pesci, Gesù non sarebbe altro che “l’Avatar solare dell’Era dei Pesci” e, quindi, una prova chiara della sopravvivenza dei culti primitivi nel nascente cristianesimo. 

Questa avventata teoria, presentata come una certezza assoluta, non si basa su nessuna prova certa. Non c’è, infatti, nessuna analogia tra i culti cristiani e l’astrologia. AcharyaS, tra l’altro, non fornisce alcun documento o fonte dove risulti che già nel I secolo d.C. l’era astrologica dei pesci fosse simboleggiata da un’avatar particolare. Molto probabilmente AcharyaS trae queste informazioni fantastiche da un sottofondo “New age”, molto forte negli Stati Uniti, dove esoteristi ed astrologi, come, ad esempio, i noti Alice e Foster Bailey, hanno diffuso una sorta di astrologia fondendo esoterismo con elementi presi dal Cristianesimo, dall’Induismo e dal Buddismo. 

Le fantasie di AcharyaS sono facilmente smentite dal fatto che nel I secolo le costellazioni erano semplicemente dei gruppi di stelle e non erano definiti i confini che separavano le regioni dello zodiaco. La divisione della volta celeste in dodici settori, 12 archi di 30 gradi misurati dall’equinozio di primavera, è avvenuta solo nel XIX secolo, si tratta, quindi, di una convenzione moderna stabilita dall’Unione Astronomica Internazionale. Affermare che Gesù fosse l’avatar dell’era dei pesci non ha, quindi, alcun senso in quanto gli ipotetici “cospiratori” cristiani non potevano conoscere la suddivisione moderna dello Zodiaco (Noel Swerdlow, professore di Astronomia ed Astrologia presso l’Università di Chicago, in “Una confutazione del libro di AcharyaS: La cospirazione di Cristo” – Mike Icona, Editori Truth Quest 2001). 

Inoltre nelle catacombe cristiane del II e III secolo il pesce non è affatto l’unico simbolo di Cristo, quindi viene a anche cadere l’associazione esclusiva tra Gesù e l’era dei pesci. In molti altri modi i Cristiani raffiguravano il Cristo: innanzitutto con il suo monogramma, una “Chi”, sovrapposta ad una “ro”, il quale non era altro che una croce dissimulata, il “Signum Christi” per eccellenza, ma anche con l’àncora, che rappresentava Cristo salvatore, il delfino, Cristo che ci ama, l’agnello, il Cristo redentore, il faro, cioè Cristo vera luce del mondo e l’albero, che simboleggiava Cristo come principio e fine di ogni cosa. 

Il pesce divenne il solenne simbolo di Cristo, che troviamo nelle catacombe fin dal II secolo, non certo per le ridicole motivazioni addotte da AcharyaS, ma in virtù dei racconti dei vangeli. Già Sant'Agostino a commento del brano evangelico di Giovanni che parla del pesce arrostito sulla brace servito da Gesù a sette apostoli sulle sponde del lago di Tiberiade (Gv 21, 9) afferma: “Piscis assus, Christus est”, cioè “il pesce arrostito è Cristo” (Agostino, Trattato su Giovanni, 123, 2). 

Mentre l'uso del pesce in arte pagana era un segno puramente decorativo senza alcun collegamento con la mitologia, il primo riferimento letterario al pesce simbolico ci proviene da Clemente di Alessandria che, verso l’anno 202, raccomanda ai fedeli di incidere la figura del pesce sui loro anelli (Pedagogo, III, xi). Il fatto che Clemente non premette alcuna spiegazione sul significato del simbolo lascia supporre che esso fosse già molto diffuso in Alessandria. Il pesce, quindi, come una sorta di “tessera” di riconoscimento in uso durante le persecuzioni fra i cristiani alessandrini residenti a Roma (R. Mowat “Origine du poisson mystique chezles anciens chrétiens” 1898). 

Tra l’altro è certo che durante le persecuzioni il pesce stilizzato, formato da due curve che partono da uno stesso punto, a sinistra (la "testa"), e che si incrociano sulla destra (la "coda"), fosse un simbolo per potersi riconoscere tra cristiani senza correre rischi di essere scoperti, il disegnare questo simbolo diveniva un sistema di riconoscimento. Quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà, tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono il pesce. Se l'altro completava il segno, i due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l'uno dell'altro. 

Altri dottori della Chiesa, citando i passi della Scrittura che paragonano il mondo al mare e gli uomini ai pesci osservano: “Cristo, novissimus Adam” (1 Cor 15, 45) è il pesce per eccellenza perché “se Cristo non fosse pesce (cioè uomo), non sarebbe risorto dai morti” (Severiano di Gabala – "Sermo in dedicazione pretiosae et vivificae crucis" – Omelie. 408 d.C.). Tertulliano, nel II secolo, per dire che il Battesimo ci fa seguaci di Gesù Cristo, porta la figura del pesce e dell’acqua (De baptismo, 1). Origene, nel III secolo, commentando il vangelo di Matteo (17, 24-27) osserva: “Questo pesce è la figura di colui che noi chiamiamo il pesce che operò il nostro affrancamento dalla legge e dal peccato” (Origene, Commento a Matteo, XIII, 1120). 

Il pesce fin dai tempi più remoti fu, quindi, una professione di cristianità, che si riscontra già nelle iscrizioni del II secolo. Nelle catacombe di san Callisto, nelle cripte di Lucina, a Roma, è stato scoperto il simbolo di un pesce che porta sul dorso il canestro con il pane ed il vino, chiaro richiamo dell’Eucaristia (De Rossi “Spicilegium Solesmense” III, pp 545 – 584). Come anche le famose iscrizioni di Abercio e di Pettorio, sempre del II secolo, che rendono la figura di Cristo eucaristico attraverso l’immagine del “pesce celeste”. Qui il pesce, in greco “ichthys", cioè “ΙΧΘΥΣ”, è un acrostico: Ιησοῦς, Χριστός, Θεoῦ, Υιός, Σωτήρ (Iesùs Cristòs Theù Uiòs Sotèr), cioè “Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore”. 


Bibliogafia 

G.B. De Rossi “Roma sotterranea cristiana” Voll 1-3, Roma1864-1877; 
P. Testini “Archeologia cristiana” Roma 1958; 
A. B. Jenkins, Philip. “Mystics and Messiahs: Cults and New Religions in American History” 2000; 
F. Delaunay “Note sur l’origine et la signification de l’emblème chrétien du poisson” 1880 
P. Kirby "Inscription of Abercius." Early Christian Writings” 2006. 
M. Hassett. "Symbolism of the Fish" The Catholic Encyclopedia. Vol. 6. New York: Robert Appleton Company, 1909. 16 Sept. 2012.

domenica 9 settembre 2012

La morte del cardinale Martini e l'eutanasia: vergogna laicista

E’ appena passata la forte emozione per la scomparsa del cardinale Carlo Maria Martini, un vero servo di Dio, mente illuminata e grande biblista, che resta ancora, come uno stomachevole fastidio, l’eco dell’indegna gazzarra alzata dalla propaganda laicista sul tema dell’eutanasia. 

Anche in un tale momento, di fronte al dolore di tutta la Chiesa per tale perdita, mentre ancora il cardinale Martini era in fin di vita, la macchina mediatica laicista non ha perso l’occasione per attaccare i cristiani accusandoli di incoerenza: per i poveri Eluana Englaro e Piergiorgio Welby bisognava prolungare la loro sofferenza, mentre per il cardinale si può scegliere di porre fine alla propria vita perché l’uomo non può ridursi ad un vegetale. 

Tale accusa è talmente meschina e cialtrona che lascia sbigottiti. Come non pensare alla cattiva fede quando in modo così palese viene confusa la pratica dell’eutanasia con quella del rifiuto dell’accanimento terapeutico? Come ha informato il medico personale di Martini, il professor Gianni Pezzoli, il cardinale, all’ultimo stadio della sua malattia, il morbo di Parkinson, già dalla seconda metà di agosto era entrato in una crisi irreversibile. Egli, restato lucido fino alla fine, sapeva bene che gli restava poco tempo da vivere e lo ha trascorso senza presidi sanitari non ordinari. Era in prossimità di una morte certa. Le cure ordinarie sono state somministrate, ma non le straordinarie, cioè non c’è stato accanimento terapeutico, pratica che è contro la dottrina cristiana sul fine vita. 

Per Eluana Englaro non fu così, la ragazza si trovava in uno stato vegetativo persistente da diciassette anni, ma non era affatto in prossimità della morte, era in condizioni stazionarie, in una situazione clinica completamente diversa dalle fasi terminali del morbo di Parkinson. Stessa situazione per Peirgiorgio Welby affetto da distrofia muscolare di Becker, una malattia a progressione lenta. Dopo quarantacinque anni ha chiesto che gli venisse tolto il respiratore, ma non si trovava in imminente pericolo di vita. La scelta di Welby fu quella di darsi volontariamente la morte perché non voleva più vivere in quelle condizioni e non la richiesta di non praticagli dei trattamenti perché accettava il fatto che la morte era prossima ed inevitabile, come nel caso del cardinale Martini. 

La morte del Cardinale Martini rappresenta l’accettazione della vita fino alla sua naturale conclusione secondo quella verità antropologica e quei principi etici che il Magistero cattolico insegna.